Barricate a Parma_ocred
pr usa questi settori si assume di fronte al fenomeno, spontaneamente germi- nato, degli “arditi del popolo”. Da parte riformista si ritiene, infatti, che opporsi al fascismo con le sue . stesse armi significherebbe non soltanto condannarsi a una sanguinosa disfatta per la disparità delle forze materiali, ma contribuire anche aun rincrudimento della violenza e a un allontanamento nel tempo del ri- torno alla legalità e alla marcia graduale verso il socialismo. Ispirato a scetticismo e finanche a indifferenza è l’atteggiamento dei massimalisti, . Chiusi nel loro fideismo e disposti ad attendere impavidi sotto l’imper- versare delle persecuzioni il compimento del destino, con uno Spirito che negli uomini migliori ricorda quello dei cristiani raccolti nelle cata- combe. Avversi al movimento sono i dirigenti comunisti che in esso vedono un diversivo in direzione di una lotta, quella contro il fascismo, marginale rispetto all’obiettivo strategico di fondo che resta quella della fascisti e antifascisti, ma tra rivoluzionari e controrivoluzionari, e al di là di questa linea si trovano insieme ai fascisti, tutti i partiti della borghesia e gli stessi quadri dirigenti del movimento operaio, riformisti e massimalisti. cattolici, cittadini di ogni credo politico, accomunati da uno spirito libertario che diventa lucida intuizione politica: il nemico da battere èil fascismo. uo Ma c’è di più, a Parma i combattenti delle barricate usano insieme la Ì politica delle armi e le armi della politica. L’orda di Balbo, che ha segnato con una scia di fuoco e di sangue la propria marcia partita da Ravenna, non soltanto è bloccata da una resi- stenza contrassegnata da una collettiva volontà a oltranza e da luminosi esempi di eroismo individuale — e Balbo stesso nel suo diario se ne fa involontario testimone — ma subisce anche una sconfitta politica. Lo sciopero cosiddetto legalitario proclamato senza entusiasmo dalle confederazioni sindacali il 31 luglio e fiaccamente condotto per rivendi- care il ritorno alla legalità nel paese, aveva visto ovunque i fascisti sostituirsi alle autorità dello stato, senza reazione da parte dei pubblici poteri. La resistenza di Parma, ponendo il governo di fronte alla minac- cia di una guerra civile, rovescia localmente i rapporti di forze. Il tra- passo di poteri, a conclusione della lotta, nelle mani delle autorità mili- tari, la fraternizzazione tra soldati e combattenti delle barricate, nono- | stante lo scoperto filo-fascismo dei quadri militari, la ritirata ingloriosa ‘ dell’orda squadrista sono episodi concatenati i quali contengono in sé il segno di una indicazione politica suscettibile di superare le astrazioni dottrinali e le incertezze politiche dei dirigenti socialisti e comunisti e di aprire una frattura nello schieramento di governo, obbligandolo a sce- gliere tra una politica di restaurazione legalitaria ancora possibile e l’incognita di una guerra civile. Lo sciopero legalitario, invece, si risolverà in quella che fu definita la “Caporetto del socialismo”, e il governo di capitolazione in capitola- zione, avrà un solo tardivo e vano sussulto, la proposta di stato d’asse- “dio quando Mussolini ha già vinto politicamente la partita: la proposta che il re respingerà, facendosi complice postumo dei delitti fin lì com- piuti e complice preventivo di quelli che seguiranno. Fino a qual punto l’intuizione politica che traspare dai fatti di Parma sia frutto di meditato disegno e fino a qual punto creazione spontanea di un movimento tradizionalmente refrattario a inquadrarsi passivamente di comodo, che delle barricate di Parma fu l’animatore e il capo, Guido Picelli che cadrà combattendo per la libertà del ‘popolo spagnolo. Ma quali siano i risultati di una tal ricerca resta il fatto che nella fosca e triste storia del “biennio nero” le cinque giornate di Parma rappresen- tano una pagina luminosa per l’antifascismo, suggestiva per lo studioso, 12 esemplare per tutto un popolo.
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