Barricate a Parma_ocred
RINALDO SALVADORI il movimento operaio e la violenza fascista Quando si arrivò all’estate del 1922, i partiti e gli organismi di classe del movimento operaio italiano si trovavano alla vigilia della loro elimina- zione da parte delle forze fasciste. Ogni mezzo era stato impiegato per vietare l’ascesa democratica del popolo italiano teso verso la soluzione © di nuovi ed antichi problemi sociali: esso era stato ostacolato dai ceti e dai gruppi che si erano arricchiti durante la guerra con profitti scandalo- si, dai “corpi” dello stato alleati della conservazione, dai vecchi partiti tradizionali, ormai in declino. Già la nascita in Russia, nel 1917, di un nuovo tipo di organizzazione sociale aveva galvanizzato gli antagonismi anche in Italia; ciò avveniva in un paese con una economia ancora debole ed in buona parte rovinata dalla guerra. Essendo poi l’Italia superpopolata, i disoccupati erano più numerosi che negli altri paesi europei. La crisi economica del 1920-21 rese più esasperata la situazione, anche se la spinta rivoluzionaria delle masse, dopo l’occupazione delle fabbriche, si stava ormai estinguendo; nei mesi che vanno dall’autunno del 1920 alla primavera del 1921 la vecchia classe dirigente liberale, incapace sia di realizzare riforme so- stanziali, che di mantenere la legalità, viene sopravanzata dalle forma- zioni fasciste, che scelgono la violenza e la tecnica militare per stroncare ed arginare l’avanzata democratica delle masse, per portare, come si diceva allora, il paese all’Italia di “trent'anni prima”, quando il potere borghese e liberale non trovava limitazioni nei partiti operai e nei sinda- canti dei lavoratori; e poiché questo processo di ascesa si era svolto con una conquista graduale dei lavoratori, attraverso gli istituti della demo- crazia, pure conquistati con la lotta, la stessa democrazia doveva essere soppressa, dato che al fascismo appariva (e giustamente) la principale alleata dei lavoratori. Nella strategia fascista la violenza non costituiva un aspetto accidentale, ma un connotato fondamentale, come antitesi dei diritti politici delle masse; distruggere gli istituti nei quali e attraverso i quali le masse esercitavano un limitato diritto di contenimento del potere capitalistico era lo scopo dichiarato del fascismo. Non sempre gli storici hanno riser- vato la giusta attenzione alla violenza fascista; ancora oggi, per avere un quadro abbastanza completo del fenomeno bisogna risalire alla denun- cia pubblicata nel giugno del 1921 (e poi di nuovo nel marzo del 1922) dalla società editrice Avanti! con il titolo: Fascismo - primi elementi di una inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia (1). Se, per esem- pio, scorriamo da questa fonte le pagine che riguardano le aggressioni fasciste nel parmense nella primavera del 1921, ci troviamo di fronte ad un quadro significativo del fenomeno. Risulta subito evidente la debo- lezza dei partiti (socialista e comunista) e dei sindacati sui quali pesano, benché si parli molto di ‘“rivoluzione”’, decenni di predicazione sociali- sta, tesa a diffondere un rispetto doveroso verso la legalità democratica, ma non l’invito ad un rifiuto vigile dell’arbitrio, dell’aggressione e dell’ intimidazione. Sicché è per noi sconcertante la passività delle vittime del fascismo, quasi si trattasse di persone ben educate alle regole del vivere civile, che si trovano disarmate ed avvilite di fronte ad una im- provvisa aggressione. 13
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