Barricate a Parma_ocred

MSAC TOGNI 30 __TTTT-=>-"yv55);: Partito ed il proletariato dovessero conservar saldi i nervi durante quel vento di follia e di fronte all’esigua minoranza fatta audace dalla loro civiltà e dalla tolleranza governativa”; “E” ridicolo pensare” — aggiunge- va La Giustizia — “che un movimento naturale come quello che spinge il Lavoro ad emanciparsi dallo sfruttamento e dalla speculazione, possa, es- sere arrestato dagli sfollagente, dalle rivoltelle e dalle bombe a mano” (10). Ma a fine luglio "22, fra le innumerevoli violenze compiute contro persone e cose del movimento operaio, si contavano già 19 esponen- ti uccisi (11 socialisti, 7 comunisti e 1 anarchico), 20 amministrazioni socialiste (tra cui quella del capoluogo) espulse, la maggior parte delle organizzazioni economiche e politiche del proletariato liquidate, centi- naia di quadri politici e sindacali picchiati, esiliati o “consegnati” in casa. L’esperienza suggerì nel ’22, in alternativa alla dottrina del fuoco di paglia, più disincantate (ma egualmente accademiche) interpretazioni del fascismo, come quella di Zibordi, ormai esule da un anno: “Coloro (anche tra i nostri) che invocano ora dallo Stato la restaurazione della legge, sembra non vedano come questa sia utopia, quando un fatto ‘extralegale è cresciuto e si è lasciato sviluppare, così forte” (11). Tuttavia il dogma della non resistenza e dell’automatico esaurimento del fascismo non veniva abbandonato dai dottrinari del ‘“metodo reggia- no”. Ancora nel ’23 l’organo socialista locale scriverà che il fascismo ‘‘agisce contro se medesimo” creandosi “di giorno in giorno un numero sempre maggiore di nemici e così si isola e si esaurisce automaticamente in ragione appunto dei suoi eccessi”, per cui bisogna “aver pazienza”, essere ‘fiduciosi più che mai nella vis medicatrix naturae” (12). Fra naturale che al contegno del riformismo reggiano venisse contrap- posto l’attivismo difensivo e offensivo del movimento operaio parmen- se. Scrive in proposito il prampoliniano Marmiroli: “A violenza egli (Prampolini) contrapponeva violenza e la giustificava, ma non se ne rendeva promotore. Del resto la vicina Parma, che alla ginnastica rivolu- zionaria della barricata si stava allenando, da quando ebbe per maestro il De Ambris, non ebbe contro il fascismo risultati maggiori della quie- tistica Reggio. Nonostante gli arditi del popolo del comunista Picelli, Parma venne invasa e soggiogata dalle cosiddette camicie nere, con un corteo di morti, feriti e vittime non inferiore a quello di altre città che quella tattica non usarono” (13). Conclusione palesemente arbitraria perché trascura la semplice circo- stanza che il successo del fascismo fu semmai dovuto alla carenza, in Italia, di una quantità di oltretorrenti. Senza contare che l’osservazione può essere agevolmente ribaltata, nel senso che la pur quieta e non violenta Reggio fu tra le prime città a subire il furore squadristico. La stessa Giustizia scriveva che ancora nel febbraio ’21 i dirigenti socialisti s’illudevano che il Reggiano sarebbe stato risparmiato ‘da atroci compe- tizioni”’, poiché “si diceva che il fenomeno fosse una reazione agli ecces- si bolscevichi e comunisti da noi mai esistiti”; e così essi continuavano tranquillamente ‘la loro opera di difesa e di assistenza della classe lavo- ratrice nelle organizzazioni, nelle cooperative, nei municipi, ecc. ecc.” (14). 3 - RESISTENZA ATTIVA E ARDITI DEL POPOLO. L'OMBRA DI PICELLI Va anche detto che non mancarono, nel Reggiano, episodi di resistenza attiva e di attacco ai fascisti. A parte qualche manifestazione spontanea del proletariato urbano, che non raramente sfuggiva alle inibizioni dello esecutivo prampoliniano e della C.d.L., si ricordano iniziative di orga- nizzazione e di lotta delle squadre di arditi del popolo e di arditi comu- nisti negli stessi ’21 e ’22. I centri più attivi erano le “Reggiane”, le cui squadre di arditi derivavano dai gruppi di guardie rosse che nel settem- bre del ’20 avevano presidiato la fabbrica occupata (15), le zone di S. Maurizio-Masone, del Correggese, della “bassa” e di tutta la fascia pros- sima al torrente Enza, dove più direttamente si avvertiva l’influenza degli arditi parmensi e di Picelli, con il quale si tenevano in contatto Camillo Montanari, segretario provinciale della F.G.C. e dirigente ope-

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