Barricate a Parma_ocred

40 crisi politica nella rivolta armata Le barricate, che nell’agosto 1922 preclusero alle ‘orde di Italo Balbo l'occupazione di Parma, sono tate il momento culminante dell’azione politica del deputato socialista Guido Picelli. Poco più di due mesi dopo, il colpo di stato di Mussolini portava il fascismo al potere permet- tendogli così di controllare gli organi dello stato e di stroncare ogni resistenza alla propria volontà prevaricatrice. Le cinque giornate di Parma restavano così consegnate alla storia e solo vent'anni dopo, quando la lotta della Resistenza restituì al nostro paese le libertà democratiche, poterono trovare una adeguata valutazione. Guido Picelli, che era stato l’organizzatore e l’animatore della resistenza armata come capo riconosciuto degli “Arditi del popolo”, vide svanire, con l’abbattimento delle “sue” barricate e la firma del patto di pacifica- zione; ognî residua speranza di realizzare il sogno, perseguito per anni, di una concreta unità del proletariato parmense e’ di quello italiano capace di sconfiggere il fascismo sul suo stesso terreno: quello della lotta armata. Questo, infatti, mi pare il carattere saliente della figura di Picelli: quello di un uomo che aveva intuito i possibili sviluppi della situazione italia- na, così come si veniva delineando dal 1919 in poi; che aveva espresso giudizi precisi e in qualche momento quasi profetici circa la vera essenza del fascismo; che aveva individuato nell’unità della classe lavoratrice il possibile antidoto all’avvelenamento nazionalistico che si stava svilup- pando; che aveva infine elaborato una strategia di opposizione al fasci- smo incardinata nella lotta armata che il proletariato unito avrebbe dovuto mettere in atto. La concezione picelliana dell’antifascismo si configura come la terza tesi nel quadro politico italiano. Da una parte Gramsci portava avanti il discorso della opposizione al fascismo attraverso la lotta rivoluzionaria di classe, politicamente guida- ta dal partito comunista; Sturzo, dall’altra, prefigurava un’alleanza poli- tico-parlamentare fra cattolici e socialisti, capace di dare sviluppo alle necessarie riforme sociali, nel rispetto del sistema democratico, Picelli, infine, considerava essenziale l’unità armata del proletariato, al di fuori di ogni schema politico ed ideologico. In questa visione, Picelli finì col trovarsi sostanzialmente solo. Né il partito socialista che lo aveva portato al parlamento sia pure come pro- testa alla sua incarcerazione, né il partito comunista al quale egli si era successivamente avvicinato, vollero mai concedere il loro avallo. Più volte, anzi, si posero in aperto contrasto con le sue idee, lo sconfes- sarono, lo emarginarono politicamente. Affidiamoci, per avvalorare questa tesi, alla ricca documentazione che ci viene dai giornali dell’epoca. Il 4 giugno 1921 su L’/dea, apparve un articolo a firma di Guido Picelli in cui tra l’altro si legge: “Nell’interesse collettivo devono tacere i vari dissensi politici, scomparire le questioni individuali, i piccoli rancori vecchi e nuovi; pensando solo che ogni essere è l’elemento indispensabi- BRUNO CASONATO

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