Barricate a Parma_ocred
66 grafia. Il giornale poté uscire solo il 12 agosto, condannando tra l’altro il comportamento della forza pubblica che pur forte di oltre cento uomini si era allontanata di fronte alla minaccia delle squadre fasciste anziché difendere la sede del giornale. Nonostante i gravi danni morali e materiali, il giornale dimostrava di voler risorgere dalle ceneri e di voler riprendere come prima la sua battaglia per la democrazia. Più ponderato l’atteggiamento dei periodici. Trascurando l’atteggiamento del ‘‘Bolletti- no dell’Associazione agraria” di aperta e ovvia adesione alle tesi fasciste (l’articolo di fondo nel numero del 12 agosto, condannava senza mezze misure lo sciopero e giustificava la reazione fascista, dando la colpa di quanto era successo all’assenteismo delle forze dell’ordine, accusate, nientemeno, che di favorire la sinistra), ci soffermeremo peraltro su quanto espressero i due periodici socialisti dell’epoca, L'Internazionale e L'Idea. Il primo, espressione dei sindacalisti, animato da Alceste De Ambris e Renzo Pezzani, nel numero del 12 agosto se magnificava la battaglia combattuta sembrava più desideroso di lavorare in pace, an- ziché continuare una lotta che si preannunciava durissima. Identifican- do fascismo e bolscevismo, il movimento si richiudeva nel proprio gu- scio, incapace di tracciare una linea netta di divisione tra amici e nemici di classe, (e nello stesso senso si poneva anche l’articolo di fondo del 19 agosto). Inversamente, /'/dea, settimanale socialista, nel numero del 19 agosto, ricostruendo le violenze di pochi giorni prima, sotto il titolo “L’orgia infame”, con tono profetico ammoniva ‘una classe che ubria- cata dal senso della forza che le concede il possesso della ricchezza, pensa di poter sopprimere con atti di terrore gli istituti e gli uomini rappresentativi del proletariato, non può che seminare l’odio e lo spirito di vendetta. Un governo che riempie le carceri di socialisti e manda le guardie regie a spalleggiare e fiancheggiare i demolitori di camere del lavoro, non fa che accumulare le premesse di una catastrofe nazionale, di cui non si possono prevedere i limiti e le proporzioni”. Qui parla già il movimento della Resistenza: la coscienza che il fascismo avrebbe vinto, si faceva ogni giorno più chiara; ma altrettanto chiara si afferma- va la necessità di continuare la lotta occulta o palese con tutti i mezzi, fino alla definitiva sconfitta della reazione. Non trascureremo, infine, il commento dell’organo dei cattolici La Gio- vane Montagna nel numero del 17 agosto; il periodico pur condannando lo sciopero generale, e invocando la pacificazione, non poteva tacere che la legge era stata calpestata dall’inefficienza dello stato liberale: quest’ultimo giustificato nella sua inerzia dell’“esigue forze di cui dispo- neva(? )”. Ma dai popolari le cui forze avevano preso parte attiva alla lotta, veniva espressa una accusa abbastanza interessante: si denunziava la “tresca della stampa liberale e fascista per far passare Parma comè una città eminentemente rivoluzionaria e comunista e che come tale doveva avere una lezione”. Il giornale non poteva tacere dei suoi morti, delle ‘“bastonature a sangue” inflitte dai fascisti, degli assalti alla sede del partito Popolare e dell’Unione del Lavoro; rilevava altresì la grande soddisfazione della cittadinanza all’arrivo dell’autorità militare e il seve- ro giudizio della popolazione di fronte al modo con cui era stata con- dotta e mantenuta l’occupazione fascista. Di lì a poco avvenimenti ancora più gravi, avrebbero profondamente alterato la vita politica dello stato. Se, come dice il senatore Arfé, (Storia del Socialismo italiano, Torino, 1965, p. 311), ‘per l’Emilia era passata la colonna di fuoco di Balbo che aveva lasciato sulla sua scia una traccia di fumo e di sangue” alcuni quartieri di Parma non ne furono contaminati; anzi proprio da essi sarebbe partito, vent’anni dopo, il movimento di liberazione nazionale.
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