VOL1_Tesi_con copertina
57 2. Analisi storica dei catasti che teneva conto della tipologia di coltura e della bontà di ciascuna, ma le forme di allibramento erano variegate e non sempre chiaramente ricostruibili 10 . I catasti piemontesi, sebbene eterogenei e difformi da comunità a comunità, costituiscono un patrimonio documentario fondamentale per ricostruire anche gli assetti territoriali del Piemonte, oltre all’imposizione fiscale adottata. Dall’incrocio infatti con altri dati di natura architettonica, topografica e demografica, reperibili tramite ulteriori fonti, è possibile ricostruire uno spaccato dei luoghi tra XVI e XVII secolo, molto diverso da quello ricavabile tramite la coeva iconografia storica 11 . Si tratta di catasti divisi, in base alla natura del bene censito, in catasti di beni allodiali e catasti di beni enfiteutici. Nel primo caso si ricomprendono i beni in piena proprietà, nel secondo i fondi concessi dal proprietario in uso a terzi dietro corrispettivo di un canone annuo e dell’impegno a migliorare il fondo. I dati che venivano censiti riguardavano il numero dei fuochi, delle case, la consistenza e la forma degli agglomerati urbani e informazioni sulla struttura viaria e sull’economia agraria e produttiva. Fino alla metà del XVI secolo venivano valutati tutti i beni posseduti, fossero questi mobili, immobili, scorte di magazzino o di bestiame, considerando anche quote di partecipazione a imprese commerciali e spese relative alle opere militari del comune 12 . Successivamente si passò invece al calcolo dei soli valori immobiliari. Tali informazioni venivano denunciate dal proprietario e annotate dai funzionari in appositi registri. Le consegne potevano essere controllate da particolari commissioni composte da sette membri nominati tra i cittadini con la partecipazione di due notai. Restano invece non particolarmente chiari i criteri di valutazione dei beni e, come per tutti i catasti descrittivi basati sul principio del consegnamento, difficile era la verifica da parte delle autorità della correttezza delle denunce. Ben più tardo rispetto agli esempi citati precedentemente è il catasto Napoletano, detto “onciario” dall’espressione del valore d’estimo in once, risalente al 1742 ma ancora descrittivo, a riprova del fatto che tale impostazione catastale fu adoperata per molto tempo e venne abbandonata più o meno tardi a seconda della zona geografica interessata. Si trattava di un catasto molto vicino agli antichi estimi medievali sia per la mancanza di mappe, sia per il carattere dell’estimo che prendeva in considerazione tutti i beni dei possessori e non solo quelli fondiari 13 . L’imposta era reale e personale, quindi basata sia sulla consistenza dei beni che sul numero delle persone; venivano esentati completamente i beni delle parrocchie, i seminari, gli ospedali e i benefici assegnati agli ordinali come patrimonio sacro. Dovevano invece pagare metà del tributo i beni di proprietà delle chiese acquistati prima del 1741 mentre quelli acquistati in seguito a tale data avrebbero pagato il tributo completo 14 . Era un sistema farraginoso in quanto aveva escluso dalla catastazione «più che la metà della terra» e aveva «dato meno valore alle terre de’ ricchi e prepotenti, e più a quelle de’ poveri» 15 , calcolando l’imposta sul capitale anziché sulla rendita. Si trattò di un catasto «incapace di colpire i privilegi feudali e i particolarismi municipali» 16 , le cui problematiche sono da ricercare nella debolezza del governo centrale. In sintesi, i catasti descrittivi erano fonti non particolarmente attendibili per indagini quantitative sul territorio, in quanto viziate da omissioni o difetti nelle quantità dei beni denunciati, a causa della struttura stessa del consegnamento, che rendeva difficoltoso il controllo da parte delle autorità competenti. Ma nonostante la loro non completa attendibilità, i catasti descrittivi restano una fonte insostituibile per l’analisi della proprietà fondiaria e del paesaggio agrario, della toponomastica e della struttura demografica. 10 O livieri M., 1981, pp. 51-52 11 B onardi C., 2008, p. 89 12 B onardi C., 2008, pp. 90-91 13 O livieri M., 1981, pp. 67-69 14 Z angheri R., 1980, p. 102 15 Z angheri R., 1980, p. 102 16 Z angheri R., 1980, p. 106 Fig. 2 Catasto onciario napoletano. Premessa al Libro Onciario del comune di Colledimacine (Chieti) risalente al 1753. (http://www.pinopetrini.it/)
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