Burgio_Il monastero di S. Ulderico
darico di Alessandro Araldi (Parma 1460 circa-1528 o 1529), ” il più quotato pittore parmense del ‘500 prima dell’avvento del Correggio ” secondo Au- gusta Ghidiglia Quintavalle, che per prima gli ha dedicato una monografia (1958), e secondo Maria Cristina Chiusa , nel suo volume Alessandro Araldi. La “Maniera antico-moderna” a Parma (Quaderni di Parma per l’arte, 1996) “ l’interprete più significativo del protorinascimento padano ”. Il pittore svolse gran parte della sua attività presso il monastero benedet- tino di San Paolo, a partire dal 1505, ed è probabile che i suoi impegni nel cenobio proseguissero ben oltre il 1514, data alla quale portò a compimen- to, questa volta per la Badessa Giovanna da Piacenza, la celebre e sugge- stiva decorazione della cosiddetta “Camera delle grottesche”. Non stupisce, quindi, che per l’affresco del refettorio di Sant’Uldarico si ipotizzi un intervento dell’Araldi, proprio in considerazione del legame esi- stente tra i monasteri di San Paolo e del peso culturale mantenuto dal mo- nastero benedettino in seno alla comunità parmense, quasi una piccola corte : la Badessa Cabrina Carissimi, che si dice ivi ritratta e committente dell’opera, fu colei che nel 1505 commissionò il pregevole coro ligneo della chiesa all’artista Gian Giacomo Baruffi (1505-1507), e le carte d’archivio ci dicono che ” il 27 maggio temporariamente alloggiava nel monastero di San Paolo dove moriva la Badessa Cecila Bergonzi e nel maggio stesso veniva eletta la celebre Giovanna da Piacenza ” (E. Scarabelli Zunti, Memorie… , vol. II, c.260). Quanto ai nostri dipinti, che si collocano entro il secondo decennio del ‘500, le ricerche fin qui condotte, sia presso la Biblioteca Palatina che presso l’Archivio di Stato, non ci hanno permesso riscontri documentali sulle committenze e sulle maestranze impegnate: le quietanze di paga- menti, repertoriate nel “Registro delle scritture dell’archivio” del mona- stero del 1727, partono solo dal 1520 e giungono alla fine del ‘600 (tra cui quelle ad ”Artisti”, e, ad esempio, per “ materiale et indorature dell’ancona dell’Altar Maggiore della Chiesa di S. Ulderico dell’anno 1622 e 1623 ”), e purtroppo non compaiono più nel nuovo registro documentale del 1751, su cui si basano le odierne classificazione e collocazione dei documenti. Quello che possiamo affermare, data la precarietà degli affreschi e la qua- lità compromessa dalle disgraziate vicende conservative che abbiamo ri- percorso, è che si tratta di opera di artista emiliano coetaneo dell’Araldi: forse appartenente alla sua cerchia o a quella di Francesco Raibolini detto il Francia (1450-1517), caposcuola di una fortunata bottega bolognese (che 36
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