COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910
178 CAPO li. antichi tempi e tra popoli relativamente evoluti e raffinati nell’arte cucinaria, lo si spiega facilmente per la comodità di poter mangiare — facendo uso delle mani in mancanza di cucchiai, non ancora inventati — quelle primitive confezioni; come pure si spiega che certi popoli orientali persistano, ancora oggidì, a cibarsi, quasi esclusivamente, del p ila ff o pilao (1) di riso, del cuscussù, della basino, ed altri farinaggi e poltiglie, per la comodità di portarle alla bocca con mano piegata a zappa — come ce li descrivono tu tti i viaggiatori che si recarono a studiare e ci riferirono i costumi ban chettali di quei popoli eminentemente attaccati alle tradizioni folkloristiclie dei pasti atavici, e sem pre riluttanti, per misoneismo inveterato e sovente religioso, dal modificare le loro usanze, le loro abitudini, e più ancora dall’accettare quelle di altri popoli conquistatori, che considerano come « cani infedeli ». La storia del cucchiaio, come quella della forchetta, sarà sempre un libro chiuso o delle pagine nere per la maggior parte dei popoli asiatici ed africani, che continueranno a servirsi delle loro zampe superiori per « zappare » — come s’esprimeva Edmondo De Amicis alludendo al pranzo a cui venne invitato dal Ministro della Guerra del Marocco — nel cumulo del cuscussù, a guisa di scimmie antropomorfe. Abbiamo accennato, in una nota, che il soldato romano si serviva, per preparare il suo rancio castramentario, ossia da campo, del calderone massiccio, detto pila s, nel quale il ranciere faceva cuocere dei minestroni a base di erbaggi e di legumi, con lardo od omento, nel quale poi ognano sbricciolava — quando era versato nella gamella — un po’ di bucellatum ossia biscotto castrense, oppure di quello naoticum, che corrispondeva alla « galletta » o stiacciata biscotta dei nostri marinai. È un fatto che molti legumi, specialmente le fave, i ceci, le lenti, i piselli, e simili, servivano a confezionare dei passati o poltiglie ( pulimenta ), nelle quali il soldato romano poneva in molle dei crostini di pane castrense o siligineum, che corrispondeva alla nostra pagnotella, tanto più che i romani avevano dei forni portatili (clibana), il di cui uso avevano importato dall’Egitto. Egli è perciò che noi troviamo, nei nomi patronimici di molti valenti capitani ed uomini illustri romani, quali : i Fabi, i Lentuli, i Pisoni, i Ciceroni, una relazione — per avventura preferenziale — con alcuni legumi, come ne troveremo con alcuni pesci molto preferiti, quali : la triglia, l’orata, ecc. Oltre alle minestre di passati di verdura e di legumi, già da Celio Apicio menzionati sotto il titolo di Osprios, altre ne inventarono i cuochi arcaici italiani, specialmente quelle di verdure fresche tagliuzzate, che denominarono « giuliane » — probabilmente in onore di quel vegetariano pitagorico che fu l’imperatore Didio Giuliano Severo (nato a Milano nel 133 d. G. C.) che, come scrissero Elio Sparziano ed Ammiano Marcellino, non soleva cibarsi che di soli erbaggi e di farinaggi di spelta, conditi con olio e pochi aromi. Così sarebbe spiegata l’origine delle giuliane moderne. Ma i romani non è col solo pane o col biscotto inzuppato (panis in jusculo infusus) che con fezionavano il loro potus et esca o posca ; ma avevano anche le paste alimentari, come ne fanno fede, nel Museo Nazionale di Napoli, nelle bacheche della sezione alimentare degli scavi d’Ercolano e di Pompei, dove, in diverse urne di vetro, ammiransi vari tipi di paste alimentari, annerite dal fumo ed in gran parte bruciacchiate. E non sarebbe neppure inverosimile e tantomeno ardito l ’affermare — come già in altra parte antecedente accennavo — che i maccheroni campani -—• i quali conservano sempre la loro culla d’origine a Scafati, a Gragnano, vicino ai monti ignivomi del Somma e del Vesuvio (dove la sulfurazione delle acque sorgive di quelle plaghe conferisce alla pasta una tena cità e resistenza straordinaria, malgrado la prolungata cottura) — abbiano derivato la loro denomi nazione dalla machera o spada lunga del soldato latino, o meglio dall’analogia che quel tubo lungo (1) Il calderone o grande marmitta del soldato romano ehiamavasi pilas ; d’onde non sarebbe tanto discorde il supporre che pilao derivi da cibo colto o bollito nella pilas. A Nizza le pila sono i grandi serbatoi o enormi recipienti in cemento per conservare l’olio.
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