COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910
180 CAPO II. grasso con « rognonata » di vitello e midollo di bue prelessato e tagliato a rotelle, oppure con « capirotata » (manicaretto o intingolo di carni varie a pezzi), oppure di rigaglie di pollo, animelle, filoni, e polpa di cappone, di fagiano, di pernici, ecc. ; oppure di magro (dove le fette di pane ve nivano immollate nel latte, quindi poste in tegghia butirrata, tramezzandole con fette di cacio gio vane, coll’aggiunta di panna e quindi fatte cuocere a lento fuoco, crogiuolando, oppure in forno tiepido). Di questo tipo era anche, in origine, la così detta « zuppa pavese », il p a n mitonnà dei piemontesi, e tante altre che ora vanno sotto nomi diversi. Dalle minestre di farinaggi o polentine, cotte in tiella con fuoco sopra e sotto, oppure g r a ti nate nel forno, si passa gradualmente a quelle — anche di pasta — collocate in stampi burrati o timballi o timpani, di cui gli antichi cuochi napoletani, come oggidì, conservano il primato e che i francesi adottarono, molto tempo dopo le calate di Carlo V ili in Italia, ma più specialmente dopo l’avvento sul trono di Francia di due regine fiorentine della Casa Ducale Dei Medici. Sorvolo su tutti quei generi di farinaggi che, come i gnocchi, gli agnolotti, i cappelletti, i tor tellini, i raviuoli, le morbidelle di riso, i mostazzoli, i maccheroni siringati, le maniche di frati ri piene, e tutte le paste di casa tagliate, formano la gloria della cucina romana, piemontese, emi liana, genovese, milanese, napoletana, e via dicendo. Basterà che accenni al fatto — importante per noi italiani — che già, negli epulari trecentisti, come quello del Codice inedito, N. 158 della Biblioteca dell'Università di Bologna (scoperto e citato da Olindo Gnorri ni nella sua conferenza : L a Tavola e la Cucina nel secolo X I V e X V , tenuta a Torino nel 1884, in occasione della Mostra Gastronomica), si trovano infinite ricette per fare gnocchi ed altre paste in brodi grassi, oppure, in tiella attuffati ; come pure, nel Libro di cocina dell’anonimo trecentista, edito da F. Zambrini (G. llomagnoli, Bologna 1863), troviamo una ricetta per fare lasagne. Nei trattati successivi, all’epoca e dopo la Rinascenza artistica italiana, troviamo già enumerati tu tti i farinaggi e paste grosse e piccole fatte in casa, come i tagliatelli, le fettuccine, le pappa- relle, gli stricchetti alla bolognese, i « maltagliati », ecc. Inquanto al risotto alla milanese — e questo l ’ho serbato per ultimo — risulta dalle cronache di scrittori ambrosiani, quali : il Corio, il Morigi, il Giulini ed altri, come fosse già ammannito fino dai tempi dell’entrata dell’imperatore Federico — l ’enobarbo sire di Lamagna — e che avendolo gustato, in un banchetto, ben condito collo zafferano e con burro e formaggio lodigiano, abbia tro vato tanto squisito quel riso, da definirlo ottimo, d ’onde dal risimi optimum — come lo qualificò il Barbarossa — ne venne, per contrazione ed abbreviazione popolare, il risoptum, quindi la parola risotto. Dopo questi cenni, per avventura troppo prolissi, ma necessari per confortare e materiare l ’o pera di rivendicazione da noi propostaci, per riconquistare l’antico splendore ed il primato italico nel l’arte cuciniera e nelle dottrine gastronomiche che vennero sparse, a così larga mano, in tanti trattati che nessuna nazione può vantarne sì numerosi e competenti, noi deponiamo la penna dello storiografo alimurgico e riprendiamo a svolgere la serie delle formole che ci forniscono i nostri col- laboratori temprati al fuoco dell’esperienza dei loro fornelli. Come si vede, questo capitolo costituirà, si può dire — al pari di quello delle Minestre re gionali italiane — u n ’altra scorsa, quasi riservata, nel campo folkloristico delle vivande regionali nostrane, così variate e così ricche da non temere alcuna concorrenza : sia nell’ammannimento fon damentale, che nella guarnitura.
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