COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

DEI PESCI E LORO SALSE 51 3 LXV, di un libro col medesimo titolo, i quali affermano — contrariamente a quanto si pratica og­ gigiorno — « che, più farai l’olio colle olive acerbissime tanto più sarà ottimo » (Quam acerbissima olea oleum facies, tam oleum optimum erit). Oltre che coll’olio, veniva misticato con aceto di Lesbo, che era un aceto aromatico, come p. e. quello al dragoncello dei moderni, e serviva anche a condire e fermare i pesci fritti, versato caldo sopra, come la « carpionata » o « scabecciata » o « giada » od altra marinatura moderna. Un’altra salsa da pesci era l ’atramenta o ju s nigrum , costituito, come lo dice il titolo, da un fondo negro — come, per avventura, il brodetto spartano —, che s’otteneva coll’inchiostro dei così detti calamai, seppie, muscardini, ecc. Questa salsa la troviamo — sotto il titolo di savor negro — negli Epulani italiani trecentisti e nella numerazione delle vivande di pesce dei banchetti Viscontei e Sforzeschi di Milano. Così, pure, facevano —■come dicemmo — salse prelibate colle curatelle di triglie, ma costosissime ; come, eziandio, collo sterco dell’astaco e dell’aragosta, stemperandolo con olio di Venafro, oppure Liburnico, garum , tuorli d ’uova sode, pepe ligustico, e via dicendo. Come Vatramenta, così il sangue di alcuni pesci serviva a fare salse. Nell’Epulario italiano tre­ centista dell’Università di Bologna, scoperto da Olindo Guerrini, menziona, per la lampreda, di raccoglierne il sangue per farne sapore o salsa. I crostacei venivano pure accompagnati da una salsa fatta con la loro così detta « cera », op­ pure coi « coralli » di ricci di mare, stemperati nello stesso oleogaro, o con il cornino (finocchio orientale), d ’onde la cominata degli Epularii italiani del 300. II famoso intingolo Bajano (da Baja presso Pozzuoli, nella Campania) era una salsa fatta con assenza d’ostriche e di spondili di Baja, con actinie (zoofiti marini), misti a pinocchi abbrustoliti, a ruta, semi di sedano, pepe, coriandro, coniino, savore (sapa di mosto) ed olio del Venafro. Nel capo II, § 2, del libro d ’Apicio, trovasi la descrizione di un intingolo allungato con vino ed acqua, misto ad aromi, che non è altro che il brodetto o corboglione dei nostri trattati moderni, cioè un court bouillon o « brodo abbassato» (boiiilla-baissa dei provenzali, ossia bouillon àbbaissé delle antiche metodologie francesi), nel quale, come oggidì, vengono cotti i grossi pesci, per servire quindi a contribuire nella confezione delle varie salse da pesci più conosciute. Nel capitolo dove Apicio parla delle Gonchiela, si trovano gli spunti delle salse e delle guar­ niture moderne per quegli apparecchi che servono alla confezione delle « cappe sante » o « capi­ santi », ossia delle conchiglie di »San Giacomo, Nel libro X, intitolato llalicits (Pescagioni), troviamo le marinate o scabecciate dei moderni, come pure la salamine saupiquet delle antiche metodologie francesi, e le « carpionate » dei piemon­ tesi. Con queste marinate o sahnixta venivano conservati e spediti : dalle Isole Jonie, dal Ponto Euxino, dalla Spagna, dalla Sardegna e da altri siti, i famosi tarikos o pesci scabecciati, rinchiusi, colla loro marinatura piccante e drogata (come i roll-mops dei moderni), dentro olle, orciuoli o giarre di terra cotta, chiuse ermeticamente — come le anfore del vino — con tappi di creta e bitume, «ome si pratica, oggigiorno, con i rocchi o « stortoni » d ’anguilla del Comacchiese o di Maremma, con i filetti di sgomberi o laxerti dei genovesi, e colle rinomate escabec.has spagnuole di selvag­ gina (da penna particolarmente), come, da noi, i tordi o le quaglie in concia di Ostuni nelle Puglie; di pernici, di coturnici e simili di Sardegna. La concia dei tyrotarichi era fatta a base di muria, ed anche, talvolta, condita con aceto e se­ nape per i pesci più fini, coi quali si confezionavano vivande prelibate, come la patina tyratarikì. Con questa muria le Vestali conservavano le carni ed i pesci destinati ai sagrifizii ed ai banchetti .ieratici ossia sacerdotali. La muria si combinava coll’olio, coll’aceto e col vino, diventando una vera salsa, come i salmis o salmistri moderni, e la salamura o savore de pessi degli Epularii italiani del Codice Catanense o Libro di cucina del 400, ai paragrafi LXXV1II o LXXX, oltre a quello, detto Cadelo, fatto con passato di code di gamberi — Vedi § LXXX VII — o savore de gamberi, L Arte Cucinaria in Italia. — G5.

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