COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

562 CAPO VI. D e l l ’A n g u i l l a . È imo dei pesci più n oti a ll’antichità al pari dei cougri, delle murene, delle lamprede e di altri pesci anguiformi, che perciò venivano anche denom inati aspis (aspidi), particolarmente quando erano ser­ viti in geladìa (donde probabilmeute il nome d ’aspics a certi rifreddi moderni). Cucinavansi in varie maniere, che poco differiscono da quelle odierne. Le anguille venivano affogate — come pure le lamprede — nel vino di Cipro o nella vernaccia. Rinomati erano, nel medio-evo, i pastelli (1), i «coppi d ’ang u illa» , dei quali era tan to ghiotto il papa Martino IV, tantoché il divino Alighieri lo mise nel Purgatorio dove : « ............................. purga pel digiuno Le anguille eli Bolsena e la vernaccia ». Nel banchetto dato da Galeazzo II e da Bianca di Savoia, a Milano, il 25 Giugno 1364, nel cortile del palazzo d ell’Arenga, in occasione del maritaggio della loro figliola Violante con Lionello tiglio del re d ’Inghilterra, noi troviamo, alla V III imbandigione, dei « pasteri d ’inguille grosse»; così, pure, alla X im­ bandigione, della « g elatin a di pesce, cioè lamprede ». Le «lamprede in zeladia inargentata » compaiono pure in un altro banchetto Visconteo, datosi a Milano nel cortile del palazzo ducale di piazza dell’Arenga; come si legge negli Annali del Corio e del Morigi. L 1 anguilla vulgaris vive abitualmente nelle acque dolci ; ma per generare ha bisogno di scendere in mare; questa discesa, che si chiama calata, h a luogo nelle notti oscure e specialmente in quelle burrascose d ’autunno, epoca nella quale è più facile e copiosa la pesca, particolarmente nelle valli paludose di Co- macehio. Le anguille neonate abbandonano il mare ed entrano nelle pallidi o nei fiumi, verso la fine di Gennaio ed in Febbraio ; durante questo ingresso, detto montata, vengono pescate alla foce dei fiumi, in grande quantità, col nome di cieche e servono anche ai piscicultori per ripopolare, con esse, gli stagni ed i laghi, nei quali, mancando la comunicazione col mare, le anguille non possono riprodursi. Così dicasi per gli ammoceti, o piccole lamprede nella loro forma larvale, che servono di aleviui per i piscicultori. Alcuni recenti studi, menzionati da Paolo Lioy, come quelli intrapresi dal prof. Enrico Giglioli per la fauna abissale nel Mediterraneo, e dal prof. L. Bianco nel Tirreno, specialmente nella tra tta di Messina, hanno rilevato che : tanto l’anguilla, quanto i congri e murene ed altri congeneri, hanno bisogno di de­ porre le uova negli abissi del mare ad una profondità non inferiore a 500 m etri e che, a guisa delle rane, subiscono una metamorfosi come quella dei girini. Questo primo periodo di v ita, diremo « larvale », delle anguille è rappreseutato dal Leptocephalus hrevirostris, che ha l ’aspetto d ’una foglia di leandro, trasparente come il vetro e che era ritenuto finora come una specie a sè, quindi si trasformano in anguille capillari, le dette cieche, che, quando rimontano i fiumi od a ltri corsi d’acque dolci, non sono lunghe mai meno di 50 m illimetri. Inquanto alle vecchie anguille, scese nel mare per generare, non se ne sa più nulla ; probabil­ mente finiranno di ad attarsi al nuovo ambiente degli abissi marini, come i congri e le murene, oppure subiranno anche loro qualche mostruosa trasformazione come il Tetrodonte od il « pesce luna ». L ’anguilla, atteso la conformazione particolare delle sue branchie, a semplice fessura; per la sua forma cilindrica e viscidezza della pelle, può vivere molto tempo e strisciare fuori dell’acqua, il che accade, il più sovente, not­ tetempo; ma la direzione della sua marcia è sempre rivolta ad un corso d ’acqua, come se un bisogno di tran sazio n e da un luogo all’altro, particolarm ente per recarsi nelle acque d ’un lago interno od alla r i­ cerca d ’una pastura adatta, la spingano ad attraversare i p rati e le valli che separano l’abbandonato sog­ giorno per un altro nuovo (2). In Lombardia, se l’anguilla scarseggia nel Lago Maggiore, abbonda nella Tresa, (1) Nel libro de Cocina dell’anonimo trecentesco, a proposito del pastello d ’anguilla, dice : « Scortica bene le anguille, lavale, nettale, tagliale, e fatta la crosta dura, ponetevele drento. G ittavi suso specie in bona quantità e polivi un poco d ’oglio e succhio di citrangole o limoeelli; e cotto mangiate caldo ». (2) Benché alcuni neghino queste translazìoni migratorie, pure vennero confermate da molti naturalisti. 1 pe­ scatori di Porlezza e del Tresa distinguono due sorta d’anguille : la pascólóna, che rimane nel lago e nel fiume e quella di corsa più scura e nerastra, che emigra da un sito ad un altro.

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