COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

570 CAPO VI. gli designa il P latina nel libro X del suo tra tta to — appartiene alla fam iglia degli A terinidi ed al sot- t'ordine dei mugiliformi, ed a ll’ordine degli acantotterigi. Si conoscono ben 40 varietà di A tteriue, tu tte di piccole dimensioni, non arrivando la più grande a 17 cm. di lunghezza, e quasi tu tte sono marine, salvo alcune poche le quali sono lacustri e fluviali. Il loro corpo è pressoché fusiforme, coperto di squame cicloidi, e adorno, sui la ti, d ’una striscia ar­ gentea che viene paragonata ad una spiga. Hanno generalmente degli occhi grandi, ed alcuni sproporzio­ n ati al loro capo (Oocione o L atterino capoccione). Sono molto prolifici, tantoché gli antichi, credendo che si riproducessero spontaneamente, gli confusero con avanotti di altri pesci, designandoli sotto la specifica di Nonnati, mentrechè emettono uova relativam ente grosse rispetto alla loro piccolezza. La loro carne è ricercata, come cibo, particolarm ente —■ come accennai — nell’antica regione del Lazio, nella provincia di Roma ed in quella propinqua di Grosseto ; anzi in quest’ultima i latterin i vengono m a ­ rin ati — come per i pesciolini lagunari del Comacchiese —, ed i più grossi salati e messi in barili, facen­ doli ^tassare per acciughe o sardine. Il così detto « Pesce Argentino », 1’ « Agone » dei laghi lombardi, 1’ « Aterina sardara » o « L atterino sardaro » o Crognolo, 1’ « Agon » d ’Istria o « Corunedda la tta ra », il « Cornale », il « Cabasotto », il « Pesce latte », il « Lagone », la « Corinella », il « Muscione » o « Mochon » ed un’infinità di altri nomi dialettali, servono a designare e distinguere le sv ariate specie d’A tterini — sia d ’acqua salsa che dolce ■— ma spe­ cialmente quelli rappresentati dall’A tterina lacustre (Atherina laeustris) che, come già accennai, prolifica ab­ bondantemente nei laghi d ’acqua dolce del Lazio, ed in quelli salm astri d ’Orbetello. I L atterin i dei laghi dei dintorni di Roma si apprestano in frittu ra , ed anche in frittelle i più pic­ coli. I più grossi si confezionano alla « mugnaia ». Del Barbio o Balbo. Il Barbio, o Barbo o Balbio (Barbeau o Barbillon dei francesi), già noto fin d a ll’antichità (Barbi Ti­ berini), è un pesce d ’acqua dolce, assai comune, che appartiene ai ciproidi ; ha la carne poco consistente, bianca, gustosa. Ve ne sono di varie specie, ma le più note sono il barbio comune ed il barbio fluviale. Anche questo pesce è più pregiato in F ran cia che in Italia, forse perchè l ’Ita lia abbonda assai di pesci fini d’acqua dolce, come lo storione, la tro ta m ontanina e la salmonata, il persico, il temolo, il coregone, il luccio, il carpione, l’anguilla, il capitone, la tinca, la lampreda, e non ha bisogno di ricorrere a pesci meno fini e saporiti — tanto più se piccoli —, specialmente per le mense signorili. Comunque siasi il barbo, dopo essere stato convenientemente slimacciato ( 1 ), viene cucinato in varie maniere, specialmente cotto « al (1) Chiamasi slimacciamento (limonage dei francesi) quell'operazione che consiste nel purgare e nell’eliminare, con vari metodi preconizzati dai cuochi pratici, quel cattivo gusto di limaccioso — proveniente dal limo o fango di palude nel quale vivono certi pesci — che gli renderebbe intollerabili al palato d’un buongustaio, il quale, d'altronde, preferirà sempre , ed a ragione, soltanto qtiei medesimi pesci provenienti da acque correnti c limpide di fiume o di lago , anziché da stagni, fossi e paludi. Comunque siasi , siccome i barbi, i carpioni, le anguille le tinche e simili, sovente provengono da acque stagnanti e limacciose, perciò se il cuoco non ha il tempo e mezzi per tenerli vivi durante vari giorni dentro tinozze a doppio fondo, con acqua limpida di fonte rinnovantesi, op­ pure mantenerli vivi nell’acqua corrente dentro casse di zinco chiuse, ma appositamente perforate (come inventarono, per i loro vivai, i fra ti Certosini ed i Camaldolesi), egli dovrà ricorrere ad alcuni mezzi empirici , tra i quali consigliamo i seguenti : « Fate ingoiare al pesce, quando è ancor ben vivo, una cucchiaiata, oppure un bicchiere d’aceto, a seconda e regola della sua grossezza, quindi, quando procederete allo disquamamento, avrete cura di raschiare il pesce a più riprese, conciossiachè il trattamento all’aceto provoca un’essudazione oleosa verso la cute, di essenza limac­ ciosa che bisogna assolutamente eliminare ; oltre il raschiamento, converrà, fare sgorgare il pesce, mantenendolo, durante una o due ore, nell’acqua acidnlata ». Un altro metodo più rapido ed espeditivo, per chi ha fretta, è il seguente, ma che però devesi applicare nel­ l’istante che si procede alla cottura del pesce : « Aprite il ventre del pesce che volete slimacciare, sbuzzatelo completamente, quindi immergetelo nell’acqua calda (non però bollente) e lasciatevelo durante mezzo minuto; ritiratelo, asciugatelo bene con un pannolino, quindi desquamatelo, tagliategli le natatoie e via dicendo, per procedere alla sua immediata cozione ».

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