COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

DEI PESCI E LORO SALSE 581 perchè grassi e ben pasciuti, sboccandovi la cloaca massima. I Romani distinguevano due sorta di labraci o ragni : alcuni con la pancia sparsa di nere macchie, a ltri con la pancia bianchissima, e questi ultimi erano rip u ta ti gustosissimi, sia per la bianchezza che per la squisitezza delicata delle carni, tantoché lanati s’addim andavano. Anche tuttora, nel Tevere, vi sono labraci dalle carni squisite come tu tti gli a ltri per- coidi cui appartengono, raggiungendo delle stature fuori dell’ordinario, altrettanto colossali di quelle del Labrax Lupus del Mediterraneo. (Vedi questo pesce nei P e s c i d i m a r e ). Della LtampFeda. La Lampetra o Lampridia, tan to prediletta dagli antichi ghiottoni romani, al punto che, nei vasti e costosi vivai, venivano nutricate con carne umana, come n arra lo facesse Arsinio Pollione, app artien e ai ciclostomi (cioè « a bocca ro to n d a » come succhiatoi, al pari delle sanguisughe) ed ha 7 piccoli fori b ran ­ chiali, di seguito all’occhio, che gli antichi cuochi, nell’apprestamento di questo pesco, avevano cura di turare con chiodi di garofano —- al pari del foro anale — m entre, nella bocca, ponevano una piccola noce moscata, oppure altra bagola. Le lamprede si dividono in fluviatili e marine. La prim a (Petromyson fluviatilis) è molto rara in Italia, ed anzi sembra che non s’incontri che nel Ticino, ma non ha nessun valore nell’arte culinaria. Più comune è la cosi detta Lampreda di Planer (Petromyzon Pianeri ), che abita nelle acque di Lombardia : Lago Mag­ giore e di Lugano, nel Ticino, nella Tresa, nel Vedeggio, nel Laveggio, Fàlloppia e perfluo nelle paludi e fossati presso Milano, ed è molto piccola perchè allo stato larvale, cioè di Ammocaetes branchialis. Perciò, in fatto di lamprede squisite, non si deve p arlare che di quella marina dell’Oceano o del Me­ diterraneo. I Romani stimavano quelle di Sicilia. Queste, al p ari di a ltri pesci, come le cheppie, il sal­ mone, lo storione, il labrace ed altri, abbandonano le acque salse nella primavera, per rimontare il corso dei fiumi (e da noi particolarmente, il Ticino, il Pò, il Tevere, l ’Arno, l ’Adige, ecc.) all’epoca della fregola. Assomiglia alla murena, però la lampreda le è inferiore come delicatezza di carni. Però, prima di avere fre­ golato, la lampreda possiede un certo sapore che piace a gran numero di buongustai ; ma, sì tosto dopo la fregola, la lampreda diventa magra e più vischiosa e glutinosa dell’ordinario. O ltre alla murena — come forma, bianchezza, gustosità di carni e laboriosa digeribilità di queste — le lamprede si avvicinano molto all’anguilla ; e, senza parlare degli antichi Romani che, dopo averle fatte annegare vive nel cecubo, nel falerno, oppure nel vino greco, le confezionavano in geladìa (disposte a mo’ di spira o di voluta, — come l’aspide o colubro d’acqua o biacco di padule — ed aromatizzate coW'aspice o spica latifolia , simile alla lavanda o spigo nardo , perciò dette aspis , anche per la frig id ità o gelo dell’ofi- diano), alle lamprede convengono tu tti i trattam en ti delle anguille. Anche i cuochi medioevali e della rinascenza italiana confezionavano — come vedemmo per le an­ guille — pastelli e coppi di lamprede ; oltre che le servivano « allo specchio », cioè in geladìa, dopo averle fatte annegare nel vino di Cipro o nella vernaccia di Montefiascone, e tu rato , come si disse, i fori bran­ chiali e term inale dell’ano, con chiodi di garofano. Le lamprede, stando agli Epularii del 200 al 300 ed ai Libri de Cócina del 400 al 500, venivano cu­ cinate con molti aromi e spezie, pignnoli e mandorle monde soppeste, ed anche pistacchi, tantoché costi­ tuivano vivande afrodisiache molto stimate dai papi e cardinali che ne facevano uso ed abuso. Rinomata vivanda era in Francia la lampreda in saulce d’hypocras, citata da Rabelais. Nella descrizione dei banchetti reali e principeschi del medio-evo, le lamprede, come le anguille « in pastero » o « in geladìa », vi figurano quasi sempre. Alla mensa dei duchi dì Savoia erano stimate le lam­ prede del lago Borgetto ( Bourget ) e d ’Yverdon (lago di Nevvcliatel in Svizzera). Il Bellatruchi — tesoriere generale dei conti di Savoia (1377-1382) — n arra che il m inistro del principe d’Acaja, trovandosi in Avi­ gnone, inviò al suo signore, a Pinerolo, ima galantina di lamprede del Rodano da quella città dei papi. Anche nei così detti pastelli di Lorena venivano racchiusi tronconi di lamprede, tanto g rad iti alla Mensa di Filippo di Savoia, signore di Piemonte (1294). Così, pure, sullo scorcio del XVI secolo, un di­ scendente dei detti Sabaudi, Carlo Emanuele I duca di Savoia — detto « il Grande » — prediligeva molto

RkJQdWJsaXNoZXIy ODkxNTE=