COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

6 3 2 CAPO VI. G iovenale nella su d d e tta s a t ir a — , che diede m otivo ad u n a convocazione del Senato Rom ano, affinchè decidesse con quale salsa lo si sarebbe m ang iato , dopo av erlo fa tto cuocere : integer et cadavere toto (cio è: col corpo intiero) in u n a pescajuola d ’oro, a rricch ita di p ie tre preziose, al p a ri di quella placca o to rtie ra (« ruo to » dei napoletani) di E liogabalo, che per ricchezza e p reziosità di m ate ria ed a rtistic a lavorazione, v en n e design ata sotto il nom e di « scudo di M inerva ». D opo il rom bo v e n iv a , in scala di gradazione g u sta tiv a , la trig lia o m nllus barbata s, special- m en te quelle di scoglio, che p ro v en iv ano d alla Corsica ed anche da M arsiglia. Quelle grosse poi — sem pre p er spirito di m egalom ania p iu tto sto che p er squisitezza di p alato — ven iv ano p ag ate a prezzi m atti, fino ad 800 sesterzi la lib b ra (poco p iù di 300 fra n ch i, calcolando il sesterzio — piccola m on eta d ’arg en to — a 41 ce n t., come v a lev a sul principio che v en n e coniato, p er scendere, in seguito, fino al v alo re del no stro ventino). G iovenale j)arla di u n a trig lia acq u istata , p er 6000 se­ sterzi, d a un certo C rispino, u n plebeo arricch ito si, e lo apo stro fa con qu este p aro le : « Sei tu , C ri­ spino, che la p agh i, tu che sei stato v isto , altre v o lte, riv e stito di grossolana te la d ’E g itto ? » M arziale, ad un altro che a v ev a dato in cambio d ’u n a trig lia u n suo schiavo che gli co stav a 1300 scudi, lo inv estisce con q u e sta filippica : « M iserabile, non è u n pesce, è u n uom o, sì un uomo che tu m angi ! ». Già accennai a ll’aneddo to rife rito da Galeno, di quel tale che com perava delle triglie so ltan to per cucinarle in modo da co stitu ire u n a salsa, che o tten e v a facendone stem p erare le c u ­ ra te n e insiem e al il garoleo ; e succhiarne anche le te ste , il di cui sugo tro v a v a delizioso. « In questo pesce — scrive l ’A v eran i — più che in ogni altro si sfogò la folle frenesia dei golosi. V olevano v ed e rle m orire in tav o la, racchiuse in boccie di v e tro , p er tra stu llo e p er diletto della v ista ; perciocché in m orendo fanno bellissim e e stra v ag a n tissim e m u tazion i di colore. T a l­ vo lta le facevano guizzare d entro g ran d i vasche d ’arg en to so tto la m en sa, e giacenti a tav o la le pescavano, e come ho d etto le facevano m o rire ; di che av ev ano m eraviglioso p iacere. A lcuni le affogavano nel garo, salsa preziosissim a, e v iv e le condivano ; p er le quali cose i p escato ri v iv e le po rtaro n o a Rom a, come accenna M arziale, lib. X III, cap. 74 ». Dopo le trig lie, ai tem pi di P linio, ten e v a il p rin cip ato lo scaro che facevano ven ire dal m are C arpazio. « E ra lo scaro sim ile al dentice ; m a senza n iu n a com parazione e agguaglio più stim ato dai Rom ani. Non si pescava in qu esti m ari — scrive l ’A v eran i — , avv egn ach é il m ar Caspio ne fosse abbond an tissim o . Ma O ttavio, ossia O ttato E lip erto , amm iraglio, ne carco m olte n av i, nel m are C arpazio, e qn ind i tra sp o rta ti gli sem inò tr a O stia e N apoli ; ed acciocché m oltiplicassero, furono p e r cinque ann i te n u te g u ard ie, le quali, ch iunqu e p er a v v e n tu ra alcuno ne p rendesse a rito rn arlo ta n to sto in m are il costringessero. In q u esta m an iera lo searo, stato fin a quel tem po stran iero , d iv en n e dim estico d e ’ R om ani e le m ense loro nobilitò ». — « Lo scaro grasso è u n m ang iare da D io » affermò Epicam o, specialm ente condito co’ suoi in testin i che esalano u n profum o di m ammola. I n ­ fa tti lo scaro era considerato la beccaccia di m are. Boccone p relib ato e ra il fegato di scaro (come quello di Iota). N ell’Enciclopedia francese lo scaro v ien chiam ato, a causa dei suoi bei e v a rie g a ti colori : perroquet de mer, ossia « pappagallo di m are », come il labro, a l l e tt a n te stim ato dai Rom ani. Le m urene specialm ente av ev ano grido : m a so lam ente quelle v e n u te dallo stre tto di G ib ilterra e dal golfo di Messina, le quali A rch estrato , filosofo e po eta allegato da A teneo, dice essere u n a v iv an d a m eravigliosa : e sono lodate da Y arron e e da Macrobio e da m olti a ltri scritto ri. G iovenale, n ella bellissim a sa tira V , accenna ad una grossa m u ren a , che vien e d a ta a V irro n e, p ro v en ien te dai g u rg iti di Sicilia. Così, p u re, M arziale (lib. X III, epig. 75), p arlan d o delle m u ren e di Sicilia, a c ­ cen n a alla com une credenza degli uom ini, che qu este m u ren e, piene zeppe, e g rasse, colla cotenna a rro stita d al sole, no n potendosi tuffare nel m are, flu tu assero a fior d ’acqu a, onde i G reci le ch ia­ m avano r i à : ac, ed i L a tin i flutcc. Anche le anguille di quel golfo erano lo d atistim e. T u tti orm ai sanno come i Romani allevassero le m u ren e nei loro costosi v iv a i, e che, sovente,

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