COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol I - 1910

DEI PESCI E LORO SALSE 70 3 Veremite dei Francesi) vive dentro un nicchio non suo, ed i così detti Caragoi dei veneti che costituiscono cibi poco agognati ed affatto volgari, noi abbiamo, tra gli Antipodi (crostacei che nuotano di fianco), il « Gamberello dei ruscelli » ( Gammarus fluviatili*) che i Francesi chiamano Crevette des ruisseaux. Nel gruppo aggiunto dei Xifosnri (cioè colla coda spadiforme), citerò, fra i Dimuli (che vivono nei mari dell’America e dell’Asia), soltanto un bizzarro crostaceo edule, quello denominato, impropriamente, « Pesce padella » o « Pesce casserola », perchè la sua ampia scaglia ha la forma d ’una padella e se ne servono gli indigeni, come recipiente, dopo avere mangiato l’abitatore e proprietario di quella__ casa. Ho creduto ben di fare precedere questa importante branca dell’ ittiologia gastronomica dai brevi cenni surriferiti di storia naturale, tanto piii necessari che, nella cucina italiana incorrono molti errori di terminologia — specialmente per quei crostacei che i Francesi chiamano erevettes, salicoqne, crevette bouquet, erevette grise, palemon, crangon, ecc. — mentre, sovente alcuni cuochi italiani, del continente, non sanno distinguere le varie specie tra loro. Noi le abbiamo chiamate « gamberette », benché il loro vero nome sia quello di palemone o pandolo. Chiamasi invece gambero fluviale, gamberetto, gamberello, ecc., quello che i Fraucesi chiamano éerevisse. Il granchio marino corrisponde al canore dei Francesi, al crabe tourteau, o écrevisse de m er : l’astaco allo homard dei F rancesi; l ’aragosta o aligosta alla langouste dei Francesi (dal latino locusta o grillo saltarino). Abbiamo già visto in quale concetto di supremazia gastronomica tenessero i Greci ed i Romani arcaici i crostacei, particolarmente gli astachi, le aligoste ed i gamberi (sia di mare che di fiume). Menzionai le spese pazze che facevano alcuni megalomani — come Cajo Irrio, Sergio Orata, e Lucullo a Mintnrno — per ottenere le specie le più grosse; così narrasi diApicio, che avendogli alcuno riferito esservi in una lo­ calità della costa d’Africa delle grossissime locuste, fece armare subito una nave, e recatosi sulla costa designata, si fece recare da quei pescatori le più grosse ; ora essendosi assicurato che non erano molto maggiori di quelle d’Italia, senza scendere in terra diede volta, e a Roma ritornossene. Nei vari conviti descritti da Macrobio, da Lampridio, da Petronio, da Ateneo, da Giovenale, da Orazio e da Marziale, noi vediamo sovente comparire le aligoste o gli astachi ; per esempio colla coda posta, a piatto, su d ’una lettiera di punte di sparagi novelli di Ravenna, conditi con tuorli d ’uova ed olio del Ve- nafro, disposti a raggiera, quasi da formare una coda a ventaglio, come Giovenale ce ne descrive una, nella satira contro i parassiti, riferendoci il pranzo di Virrone. È strano però : che tanto conto facessero i Romani di quei crostacei, nelle loro mense, mentre che poi nei banchetti medioevali non sono punto mentovati. Bisogna dire che l’invasione barbarica di quelle orde di Teutoni — carnivori e bevitori di cervogia — abbia fatto bandire da quelle mense — dove soltanto abbondava la selvaggina e le carni semicrude dei bovini — quei crostacei che non sapevano neppure cosa fossero ; comportandosi come quei negri — menzionati da Gustavo Flaubert in Salambò, nella descrizione e ricostruzione archeologica dell’orgia banchettale svolgentesi a Megara sobborgo di Cartagine nei giardini di Amilcare Barca —, graffiantisi il viso colle branche rosse delle arigoste che non avevano mai vedute. E neppure nei banchetti trecenteschi o del Rinascimento italiano, riferiti dal Corio, dal T. Calchi, dal- l’Aliprando, dal Galvaneo Fiamma, dal Bettinelli per la Lombardia ; dal Sanudo, dal Della Croce, e dal Pompeo Molmenti per l’antica repubblica Veneta ; dal Vincenzo Cervio e dal Cav. Fusoritto, nel Trin­ ciante, per gli S tati della Chiesa; dalle cronache fiorentine del Villani, o dallo Zibaldone di Messer Gio­ vanni Rucellai, nè dalla Vita privata dei Fiorentini di Guido Biagi ; nè dal Diario bolognese di Gaspare Nadi, dal Bianchini per i pranzi di nozze Bentivoglieschi, nè dal conte Perticari e dal senatore Marco Tabarrini per quelli pesaresi ed urbinati nelle nozze di Costanzo Sforza con Camilla d ’Aragona ; nè da quelli descritti dai Giornali di Giuliano Passero, detto il « telaiolo », per i banchetti partenopei alla corte regale di Ca- stelcapuano ; nè da quelli degli Estensi di F errara e di Modena riferiti dal conte Gandini ; dei Gonzaga di M antova; dei Della Rovere d ’Urbino, ecc., mai s’incontrano, tra le vivande d ’apparato, i grossi cro­ stacei. Soltanto i gamberi contribuiscono in larga parte, per confezionare « zuppa di bisca » (derivata dalla contrattura di biscotta, d ’onde l’origine della parola bisque dei Francesi), con passato di gamberi e code sgu­ sciate dei medesimi, e per comporre il famoso Cadelo, detto anche Savore de gamberi, come se ne legge la ricetta, nella formola LXXXXII del Libro di Cócina, del codice Casataneuse del 300, nella sua dicitura integrale : « Toy li gamberi e lessali e trame fuori le code monde ; poy pesta tuto l’altro e mitige un poco d’ aqua, poij la colla. Toy un poco di lierbe bone e toy rossi de ovi e mandole, overo molena de pane, e pista ben in mortaro, e distempera con agresto; mitige un poco d’aqua sì che non sia acetoso; e mitige specie dolce forte e olio; pigi li code e mitili in quello savore che ty ay fato e fa bollire quando te pare ».

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