COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
DELLE CARNI DA MACELLO 173 I romani poi trassero dal porco lucri enormi, come pure dal cinghiale, che ingrassavano, con grande eura ed arte, in boschi riservati, come insegna Varrone nel libro III delle faccende rustiche, nel quale copiosamente e distesamente insegna l ’arte di nutrire ed ingrassare ogni sorta d’animali, e trarre dalla villa grandissimo guadagno. Così Quinto Fulvio, Tito Pompeo, Quinto Ortensio ed altri s’arricchirono isti tuendo parchi ove tenevano racchiusi, oltre alle lepri, a ’ capriuoli, ai cervi, anche porci, pecore, cinghiali ed altri animali selvatici. Questi chiusi apportavano gran frutto ai romani, perchè alcuna volta di gran lunga trapassava la rendita dei poderi : sicché al padrone di più rispondeva la villa che il terreno. Sulle “nense dei romani arcaici, nei loro lauti banchetti, il porco oppure il cinghiale — sia « laureato » che * troiano » — formava, più che la « pezza di resistenza », il capolavoro del cuoco artista. Infattti il « porco troiano », ripieno di ficedule (ossia di beccafichi), di tordi arrosto ; oppure d’ostriche, di salsiceie e d’ altri bocconi saporiti, delicati e costosissim i, costituiva un caput cwnce, formidabile. Lo diceva « troiano », alludendo a quel cavallo di Troia ch’era ripieno di soldati greci. Le carni trite eolie quali riempivano o farcivano il porco o porchetto, le chiamavano isicla, e quelle condite col sale, salis Micia, d’onde per abitudine invalse il nome moderno di salsiccia. II primo che mise in tavola un intero cinghiale fu Servilio Rullo ; e non tardò che quest’ usanza di- 'enne comune e quotidiana, e tanto accrebbe questo scialacquamento, che ne ponevano in tavola due o tre Per antipasto. Nel convito di Carano, descritto da Ateneo, a ciascun convitato si pose avanti uno ster minato cinghiale ; perchè la boria che allora imperava era che gli animali fossero grossissimi ; e perciò li Pascevano largamente, e sfo g g ia tam ele 1’ ingrassavano, al punto da raggiungere il peso di m ille libbre, tantoché Seneca e Varrone li chiamavano apros milliarios. Scrive Ateneo, che: « un cuoco cosse uno di questi smisurati cinghiali mezzo lesso e mezzo arrosto senza spaccarlo, e con tanta leggiadra maestria l ’acconciò, per maniera che non si vedeva nè la ferita ond’era t Unt°, nè alcuna apertura, onde di tanti animali e si buon bocconi fosse stato riempito questo cinghiale °iano ». i porci, dopo i cinghiali, tenevano il secondo posto nei banchetti romani. Si sà che Apioio nutriva Pasceva a sazietà i porci con certi fichi venuti dalla Soria, e così ingrassati face vali soffocare, di re- 1 ente, con una strabocchevole bevitura di vino m ielato. E questi porci, come si disse dei cinghiali, li ‘einavano intieri dopo averli farciti dei più ghiotti farcimina (1) ed altre isicia, specialmente d ’ostriche, 1116 kliogabalo insegnò per il primo, facendo persino salsiceie di quei molluschi e riempiendone i polli. c. , la o n d e il porco somministrava alle mense abbondantissima copia di vivande, ed è meravigliosa cosa 0 le dice Plinio : Xeque alio ex animali numeriosior materia ganem : quinquaginta prope sapores, cwm ceteris »elh^1 Nientedimeno i saggi mangiatori o buongustai appetivano solamente il grifo, e sì del maschio come e ^ a femmina le parti della natura destinate alla generazione : onde ne seguiva un grande scialacquamento ved (1enarÌ 6 P01'0') e perciò fu giuocoforza, che più volte le leggi, vietando cotali vivande, vi prov- « * ° , Per quanto queste leggi non fossero mai che per breve tempo osservate. Non può senza rnera- la leggersi ciò che scrive Plinio delle differenze del sapore o della bontà dell'utero della troia ; tanto ‘ Sagacità che adoperav ano nel giudicare della qualità dei sapori. Quel che Plinio ed altri chiama si ci° ° d°men fu da Publio, poeta mimico, nominato snmtn, e dai nostri cuochi, con nome tratto dai latini, pop ama sommata (2). Ammazzavano le troie un giorno dopo il parto, e tagliando loro la pancia colle p u^j. Plene di latte, facevano in questa maniera le sommate con avidità dei golosi appetiti, in guisa che ate i j*0 a nou cenava mai senza questa vivanda ; som igliante facevano delle scrofe di cinghiali, le som- colle ’ 6 qUaH eran0 ancor più gradite ; e si legge che Eliogabalo ne consumasse trecento in dieci giorni, q 01° vulve, privando delle loro madri tanti porcellini e ruffolotti. fossei. 1 1ueste sommate, uteri, vulve, placente, glande, testicoli, e sim ili, sia di troia che di scrofa esse Hata , ’ ° einghiale o di verro, erano molto comuni, come oggidì invece sono rarissime ; ed è assai nomi- Usava ' &1 8°rÌttori ^“ella vivanda ritrovata da Elio Vero, la quale Adriano imperatore frequentemente oi„gLi® lh e ?Wamavasi tetrasarmaco o pentafarmaco, ed era un pasticcio ripieno di sommata, di prosciutto di oltre • P’ ^ carne di fagiano e di pavone. Anche nel porco troiano, menzionato da Ateneo nel libro IX, tordi ed altri buoni bocconi, più sopra da noi accennati, vi erano le sommate e gli uteri tagliati •dpicio, nel libro I I , intitolalo Sarcoptes (carni tagliale o tritate, cioè isicia), del suo trattato De con pepe rn a ’ fnse9na’ f ra altre cose, a fare le tomaculeo o polpette di fegato di maiale, tagliuzzato e drogato * f egJl’in lÌ!,U8tiC° e quindi involto nella reticella grassa, detta omentnm, come sarebbero quelli chiamati (2) x '; ° * f eyat'eHi » dai cuochi moderni. j y _ pranzo dato dal Cardinal Borghese al Duca di Feria , recatosi a Soma come ambasciatore presso 1 * ' menzionata una vivanda di sommate con v iscid e.
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