COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

176 CAPO V ili. Nel registro delle spese fatte per la mensa dei Priori di Firenze, nel 1344, troviamo clie oltre :ille « lingue rinvestite », fra le carni tritate per comporre il così detto « solcio », eravi il capo di porco ; e clie nella « crostata » entrava la « carne secca » ; che per fare la gelatina si adoperavano otto libre di testa e sei di piedi di porco, due zampe e otto piedi di becco, e due pollastre grasse ; che le frittellette friggevansi nel suguaccio. Tra le vivande di porco vi erano, oltre le rinomate « soppressati » di testa di porco, i sanguinacci, il mallegati, la finocchiona, ecc. ; ma principalmente l’arista o scamerita, (filetto di maiale steccato, cotto nel forno, con aromi, tra cui il lauro ed il ginepro), ed i salami fiorentini. Milano pure vanta le sue sal- siccie o luganighe, i suoi salami grossi e quelli piccoli di Brianza ; i salsiciotti detti « cacciatori » ; il « salame di testa » ed il cervellate) indigeno, tanto da far chiamare, ancora adesso, cervellée i pizzicagnoli. Genova famosa per i suoi berodi o sanguinacci ricchi, con cervella, pignuoli, pistacchi, oltre al sangue ed al latte ed a pezzetti di rete e grasso di pancia fresco. Nelle Marche e nelle Romagne è popolare la porchetta , che si vende al dettaglio, come pure le costi­ gliele. Ottimi i prosciutti delle varie regioni italiane, specialmente rinomati quelli dolci di San Daniele del Friuli ed i così detti « di montagna » della regione Laziale (vedi Antipasti nel I volume). La porchetta costituiva, nella cucina medioevale, una vivanda degna di comparire sulle mense le più aristocratiche. Infatti, nel banchetto dato, a Milano, da Galeazzo II, nel cortile del palazzo dell'Arenga, vi era la porchetta. D all’Epulario del XIV secolo, rintracciato da Lodovico F rati, rileviamo questa ricetta : « Per c u o c e r e bene una porchetta. — In primo luogo che sia bene pelata in modo che sia « bianca e netta ; e poi fendela per la schena et caccia fora interiore et lavale molto bene, et poi tolie « aglio tagliato minuto et uno puoco de bono lardo et un puoco de casio grattato et qualche ova et « pepe, uno puoco de zafferano et m istica tutte queste cose insieme, et mettele nella ditta porchetta et « dapoi cusila et legala bene et ponila a cuocere nel spedo. Ma falla cuoxere adagio et che sia bene cotta « così la carne corno el pieno de dentro. E t fa uno puoco de salamora con aceto et zafferano, e togli due « ram itelle de rosmarino o salvia et getta spesse volte de tale salamora in su la porchetta ». La vivanda più prelibata di questo animale era il maialetto da latte, cotto nel forno, della quale daremo la ricetta, in seguito, insieme alle altre formule. Delle carni del porco e della pizzicheria. « L ’aspetto esteriore del porco macellato, scrive il Dott. A. Moreau, del servizio veterinario sanitario di Parigi, nel bel libro : La Cuisine et la table moderne, differisce sensibilmente secondo ohe sia stato sbol- lentito, oppure abbrustolito. E gli è più uniformante bianco allorché stato trattato co ll’acqua bollente, mentre che l ’abbrustolatura conferisce alla pelle o cotenna delle tonalità fulve, a chiazze. I due procedi­ menti si valgono. La carne di porco è di color rosato ; ma si rimarca fra i differenti muscoli d ’una me­ desima regione delle differenze di gradazione nelle tinte accentuatissime ». Il grasso è bianco ed untuoso, abbondantissimo alla superficie del corpo (lardo); esso penetra e tramezza g l’interstizi muscolari e n ’impregna talvolta tutto il muscolo intiero. La parete anteriore del ventre è tap­ pezzata o foderata da un ricco pannicolo adiposo (panna), che serve alla preparazione dello strutto o « su- gnaccio ». 1 porci nutriti con residui di caseifici, come le scorie di latte o sieri, con dei residui di grasso ed altri rifiuti di macellerie e di pescherie, di zuppe o « zotte » troppo brodolenti ed untuose, e con certi « panelli » a base di cascami di oleifici, cioè di avanzi di semi eieosi e grassi, ecc., hanno le carni pallide slavate, e d’odore talvolta ripugnanti. La troia o scrofa che ha figliato ha le carni brune e floscie ; il suo lardo è sottile e poco consistente. Nel verro la carne è di color bruno cupo, compatta, d ’odore acuto e sgradevole ; la cotenna del dorso è sovente la sede d’un ispessimento considerevole che rende il lardo di questa regione assolutamente inu ti­ lizzabile. Venendo alle buone qualità che deve avere la carne di porco di prima scelta, diremo che dev’es­ sere di color roseo pallido, marmorizzata di grasso e di un grano tino ; il lardo dev’essere spesso, bianco,

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