COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

DELLE CARNI DA MACELLO Lo S tu fa to deriva per antonomasia da una speciale cottura, ed è un nome elle si dà ad una particolare vivanda popolare italiana. Questa cottura si compie a recipienti ben cbinsi e lentam ente; si applica spe­ cialmente alle carni clie cuociono dentro a salse speciali od anche nel proprio sugo, ma sono di natura delicata per cui si richiede poco calore, quasi di stufa. Dicesi anche « stracotto » nell’Em ilia ; e corrisponde a ll’antico « addobbato » dei cuoclii italiani e provenzali (1). Il rappreso è quasi sempre una cottura a secco o con pochi ingredienti, ordinariamente grassi. Dicesi per estensione rappreso ( poclié) anche di un vegetabile, di un budino, o di altri composti, cotti nel bagnomaria : le nova affogate pocliées, ecc. Ij’allessatura si compie ordinariamente n ell’ acqua o nel brodo mediante 1’ ebollizione del liquido, la quale deve svolgersi in modo appena sensibile ed usando delle cautele dell’arte. Per la cottura col vapore occorrono appositi recipienti, ma per gli effetti cucinari si ha circa il medesimo risultato dell’allessatura. Del Bue o JWanzo. Abbiamo già parlato, trattando dei Brodi , dei caratteri generali cbe deve avere la bnona carne di Bue, perciò, per evitare ripetizioni, rimandiamo il lettore a quel capitolo. Inquanto alle distinzioni tra le carni di bue, di toro e di vacca (ben ingrassata e non spossata dal lavoro o dall’allattamento), è assai difficile stabilirle con criteri differenziali assoluti. Le masse muscolari delle carni del toro sono ordinariamente assai spesse, sopratutto dalla spalla al collo ; alla loro superfìcie sovente si rimarca un riflesso azzurrognolo dovuto alle aponevrosi, che sono più spesse e resistenti di quelle del bue ; il grasso è meno diffuso, come copertura, egli è più bianco di quello del bue ; però se il toro è giovane e ben impinguato, il grasso di copertura può essere esteso e tale da ingannare anche l ’occhio più esercitato ; la carne non assume la co­ lorazione rosso carica ed un odore speciale — sopratutto nei muscoli della coscia — che nei tori di tre a cinque anni ; ma n egli animali più giovani, che non hanno ancora servito per la riproduzione, la carne è, al contrario, meno colorata di quella del bue. Del resto, date queste condizioni : torello giovane ben im ­ pinguato, non ancora impiegato per la riproduzione, la sua carne poco o nulla differisce da quella del bue. La carne vaccina — qualora provenga da animale sano, giovane, ben pingue e non estenuato dall’al- lattamento — è altrettanto buona di quella del bue. È un pregiudizio di considerare la carne vaccina (dato le suddette condizioni) tanto inferiore a quella bovina ; sono pregiudizii che traggono talvolta la loro ori­ gine da alcune sorgenti di sentimentalità o di proibizione religiosa, come quella che interdice la carne di (1) L ’antico addobbo italiano, che trova tuttora riscontro nella dobba dei dialetti iirovenzali e nizzardi , e nella daube della lingua francese, consisteva in una vivanda, sia di carne da macello (come alcuni pezzi del Ime) sia di pollame (infatti leggo in un libro di cucina del 6 0 0 una ricetta di Cappone in addobbo), che dopo avere subito una ben addatta concia o marinatura , a base d ’infuso con erbe aromatiche , olio, pepe , sale, sugo di limone e simili — che chiamavano « addobbare » (dauber) — veniva steccata , (specialmente le carni), spolverata di pepe e di spezie diverse , nonché con filettini d’aglio, ed inchiodata con « chiovi di garofalo » (onde il garofolato, che tuttora addimandasi lo stracotto di bue « alla romana » e come tale lo designa, nelle sue poesie dialettali roma­ nesche, Gioachino Belli), per venire poi stufato nella pignatta od olla di coccio — funzionante da stufarola — (coperchiata da un pezzo di carta bibula , per assorbire il vapore acqueo , e da una ciotola, sopraposta , piena d’acqua fredda, forse per diminuire l’ossidazione del carbonio ), con cipolla , porri, scalogni , ed altri agliacei: sedano, carota , navoni, ed altri legumi aromatici ed ubbriacata di vino, come s’usa oggidì. Così Vaddobbo o ad­ dobbamento, come translato , dalla suntuaria delle acconciature od abbigliamenti femminili e dal conferimento ono­ rifico delle insegne del grado nobiliare presso i cavalieri antichi , era passato nelle chiese , poi nelle cucine. I ge­ novesi conservano la voce « in addobbo » per alcune conserve speziate sott’olio.

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