COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
414 CAPO X. il lungo in due metà, trita ten e le interiora che m etterete dentro la casserola con 1 deci litro di sugo, qualche grano di pepe ; concedete un bollore ; ritira te sull’angolo del for nello, finite con una noce di burro ed il sugo di mezzo limone. Servite nel recipiente. NB . — Siccome il vannello è della medesima grossezza all’incirca del piviere, occor reranno 5 o 0 vannelli per 10 persone. 3 2 3 3 . — Vannelli alla Sév ignacq . Spennate, fiammeggiate e svuotate i vannelli, poneteli, senza imbrigliarli, in una casserola con un buon pezzo di burro fresco ed un mazzetto guarn ito ; assaporate con sale e pepe: fateli irrig id ire su fuoco moderato. Appena i vannelli assumono il colore dorato, spolverateli leggermente con farina; fateli dorare completamente, e bagnateli con vino di Madera (3 decil. per ogni paio di vannelli); continuate adagino la cottura. Appena cotti, ritirateli, e disponeteli su piatto caldissimo. Immediatamente, senza perdere un secondo, m ettete in casserola qualche bel tartufo, già pronto e sbucciato. A ttiv a te il fuoco e lasciate i tartufi non più di 5 o 6 m inuti nella salsa; ritirateli e disponeteli a corona intorno ai vannelli. P assate la salsa pel colino fino; addizionatele il sugo d ’un limone, e versatela sui vannelli. Servite immediatamente come piatto gustosisssimo d ’entrata. Del Chiurlo. Il Chiurlo — di cui vi è il piccolo ed il grande, detto Chiurlo reale — è un trampoliere longirostro — cioè col becco lungo come la beccaccia, ma non come questa diritto, ma curvo a ll’estremità a ll’opposto dell’ avocetta che lo ha curvo a ll’iusù — comune negli acquitrini litoranei, dove si trova di passaggio. I francesi lo chiamano, onomatopeicamente, Courlis, imitando col nome il grido che egli emette di cour-lì, appoggiando su ll’ultima sillaba con tuono acutissimo. La sua statura, specialmente pel grande o Reale, arriva e sovente sorpassa i 60 cent, di lunghezza. La carne del chiurlo, specialmente giovane, è assai buona, ma sovente sà di pesciume, secondo g li acquitrini salmastri in cui s’è pasciuto, ma, tuttavia è sempre migliore di quella della folaga o macreuse dei francesi (da non confondere col foulque o poule à’eau, la nostra « gallinella »). Al Chiurlo s’adattano tu tti gli apprestamenti della beccaccia. Dell’ Ottarda. La grande Ottarda ( Otis tarda dei naturalisti) appartiene al genere dei trampolieri alettoridi (figura di passaggio dei trampolieri ai gallinacei come la « gallina pastora » d ’America), che vivono, allo stato sel vaggio, nelle pianure oppure in altri luoghi delle regioni torride e temperate piantate d’arbusti. Hanno gambe alte, becco robusto, con setole alla base a guisa di baffi. La forma dell’Ottarda ricorda quella dello struzzo, e la sua grossezza sorpassa quella dei più grossi tacchini, raggiungendo talvolta il rispettabile peso di 17 Kg. Le sue uova sono di un color bruno olivastro, picchiettate da macchioline più scure ; sono della grossessa delle uova d’oca. L ’Ottarda costituisce un bel capo di selvaggina da penna al pari del tacchino selvatico o Wild code d’America, di cui già facemmo cenno, e del Cateturoo « gallinaccio » selvatico d’Au stralia. La sua cottura richiede un’ora e un quarto ed anche un’ora e mezza. Per quanto concerne l ’ Ottarda minore già ne parlammo a proposito delle Pernici e dei Fagiani.
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