COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

416 CAPO X. zona olearia, si cibano di olive, di cui sono pure ghiotti, al pari degli acini d’uva co’ quali s’ubbriacano. I francesi designano il tordino pingue di ginepro e d ’altra bacca montana col nome poco appropriato di grive. Ora, in Piemonte — forse perchè faceva parte, ai tempi di Cesare, della Gallia cisalpina — tu tti si ostinano a chiamare col nome di griva, quei più grossi tordi da campo (tanto inferiori ai veri tordi viscivori), che si nutrono di grani e specialmente di frumento e d’altre civaie. N ell’Emilia, invece le grive dei piemontesi, le designano col nome di starletle, quasi fossero una varietà di storni ; infatti, come sapore di carni, s’approssimano più a quello degli storni che a quello dei veri tordi. Anzi, dirò, che molte per­ sone preferiscono mangiare un merlo che una griva o stórleda. Perciò, come raccomanda Figaro : « non facciamo confusione »; il tordo, da noi italiani, s ’intende quello boschereccio e non quel passeraceo frugivero che in Piemonte designano col nome di griva. I tordi — ben noti agli antichi romani che li conservavano, con enorme dispendio, durante tutto l ’inverno, negli ornitoni — sono deliziosi specialmente a ll’epoca delle vendemmie, in ottobre, perchè grassi e teneri per il regime d’uva che stanno facendo ; anche quelli montani pasciuti di bacche di ginepro rie­ scono un mangiare saporito ed igienico, perchè il ginepro è stomatico. II tordo non si sbuzza ; però conviene toglierli il ventriglio perchè talvolta contiene grani tossici, come p. e. quelli d ’elleboro, che potrebbero provocare coliche e vom iti dolorosi. Se però il ventriglio contiene bacche di ginepro o di biancospino, di bagolaro, di sambuco, olive, uva, more e sim ili, lo si può rimettere dentro il tordo, facendolo rientrare dal gozzo, inversamente al modo con cui si era cavato. * ■f * I francesi hanno un proverbio gastronomico che dice : fante de grives on munge des merles. Sembrerebbe che il merlo — secondo quel proverbio — sia un ben meschino surrogote del tordo. Esagerazione ! il merlo giovane, ben nutrito — specialmente a ll’epoca della vendemmia, cioè quando ritorna dalla montagna, dalle macchie di more selvatiche, colle carni profumate di ginepro — è tenero e saporito quasi quanto il tordo Ottimo è il così detto merlo di Corsica e di Sardegna. Piuttosto questo proverbio sarebbe più adattato a certi poco coscienziosi trattori e locandieri che, ben sovente, fante de merles dànno degli storni dalle carni asciutte e tigliose. Però anche gli storni delle prime nidiate, a ll’epoca dell’uva, non son troppo cattivi e servono per fare salm isi. A Ostuni, nelle Puglie, si pongono i tordi in concia. 3 2 3 5 . — Tordi a ll’imperiale. Disossate ima dozzina di to rd i, come di pratica, lasciando loro le zampine. F arciteli con una purèa di fegato grasso ben condizionata-, passata per staccio di ferro, e nel mezzo ponete un tartu fo crudo di dimensione ad a tta . Biformateli e avvolgeteli in carta pergamena bu rrata. P iazzateli in casserola ; versateci sopra una tazza d ’ essenza di tord i ed un bicchiere di Marsala. Cuoceteli delicatamente e lasciateli nella loro cozione 20 m inuti. Colle carcasse e gli occorrenti ingredienti ricavate una buon’essenza, che colla cozione ed una tazza di semidiaccia confezionerete una saporita salsa. Al momento di servire piazzate i tord i su apposita bordura di farcia di pollo molto delicata, avente nel mezzo dei tartufi cotti nel vino d ’A sti spumante secco. 3 2 3 6 . — Tordi alla buona massa ia . Cuocete i tordi con 20 gr. di lardoni per caduno. Poneteli in una terrin a calda con 25 gr. di burro per ogni tordo ; scaldate ed aggiungete dei crostoni di pane tagliati a piccoli dadi (10 gr. per tordo), saltellati nel burro. Completate staccando il fondo con un pochino di cognac ; coprite e serv ite caldissimo. 3 2 3 7 . — Crostini di tordi. Disossateli, assaporateli, e guarnite ciascuno con una nocella di farcia, con un dadetto di fegato grasso e un dadolino di tartufo. Biformateli ; avviluppate ciascuno con una

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