COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
422 CAPO X. Imballate questi uccelletti, separatam ente, con una sottile striscia di garza e m etteteli ad affogare, 5 o 6 m inuti, in un fondo di cacciagione marcato come d ’ordinario. Sballate gli ortolani, e serbateli in caldo. Scavate 12 grossi tartufi, svuotandoli per modo da poter contenere l ’uccellino nel loro interno. Racchiudete i tartufi, coprendoli co’ loro coperchi, che salderete mediante uu cordoncino di farcia da chenelli. Assaporateli con sale, pepe, e spezie ; cin tateteli con una bardella di lardo tag liata finissima. Avvolgete ogni tartufo in vari fogli di carta da cucina e poneteli a cuocere sotto le ceneri calde ben pulite, du ran te 35 a 40 m inuti circa. Sballate i tartufi, disponeteli su p iatto rotondo, e servite, in contempo, il fondo degli ortolani che avrete sdiacciato con vino di Porto, e addizionato con 2 o 3 cucchiaiate di fondo di vitello legato. Del Beccafico. Gli antichi chiamavano Ficedula il beccafico, ma anche AvU Cypria (uccello di Cipro), perchè in Grecia e in Roma lo si faceva venire da Cipro confezionato in salamoia. Il Beccafico è assolutamente il più squi sito e succolento tra i piccoli uccelli di becco fino ; così, pure, l ’usignuolo. Soltanto che il beccafico è poco noto, essendo di passaggio soltanto in plaghe dove abbondano g li alberi di fico, che diano frutti precoci e dolci, come, da noi, la riviera ligure, specialmente quella di ponente, fino a Ventim iglia, Nizza, e tutta la Provenza. Perciò non lo potendosi avere a propria disposizione come si può fare con l ’ortolano — e sic come gli epuloni moderni non sono tanto pazzi megalomani quanto lo erano i romani arcaici, che negli or- nitoni (a serra calda), allevavano i tordi, le ficedule (i beccafichi), ed altri uccelli migratori, per modo da averne tutto l’anno — perciò si fa poca menzione del beccafico nelle metodologie, come pure del pettirosso e di altri squisiti uccelletti, quali : il fioraucino, (il più piccolo dei nostri uccellini eduli, dopo il reatino e la cincietta a coda lunga). Inquanto a ll’usignuolo, già lo accennai; il sentimentalismo per questo uc cello musico (quantunque a ll’epoca dell’apertura della caccia non canti più, salvo a gracidare come una lana) trattiene molti dall’ucciderli, tanto più che diventano sempre più rari, causa della ricerca che si fa dei nidi in primavera, per allevare questi virtuosi del trillo, che si vendono a prezzi favolosi, quanto i loro colleghi e colleghe bipedi implumi, si fanno pagare le note dagli impresari dei teatri americani. Ma per chi può pagarsi ima schidionatina di beccafichi, grassi come canonici, e cotti a puntino, con un po’ di sale, pepe, e succo di limone, è sicuro di mangiare il m iglior boccone che vi sia al mondo. « Il beccafico, come la quaglia e l ’ortolano, cotto dentro la carta burrata, sotto la cenere, non lascia nulla a desiderare per il sapore », sentenziava Vuillemont. I cruscanti celebrano la « beccaficata ». Brillant Savarin, cbe possedeva una sconfinata affezione per il beccliafico, così scrisse : « Fra g li uccelli, il primo per ordine di eccellenza è senza obbiezione il beccafico. Oltre alla sua gras sezza egli possiede un leggero gusto d ’amarognolo ed un profumo unico e così altamente squisito, che im pregna, riempie ed imbalsama tutte le facoltà digestive. Se un beccafico avesse la grossezza di un fagiano lo si pagherebbe egualmente ad un iugero di terra. « Pochi sanno mangiare gli uccelletti, e cioè ortolani, beccafichi, capinere, ecc. e perciò credo utile trasmettervi la ricetta comunicatami dal canonico Carcot, un ghiottone che a forza di stadi pratici si era innalzato dalla ghiottoneria alla gastronomia. « Cominciate col togliere il ventriglio, ad un uccellino ben grasso, poscia prendetelo per il becco, conditelo con sale e pepe, spingetelo con destrezza nella vostra bocca senza toccarlo ne con le labbra ne con i denti, troncate coi denti fin presso le vostre dita, e masticate vivam ente. Ne risulterà un sugo ab bastanza abbondante per avviluppare tutto l ’organo della respirazione, e gusterete un piacere assolutamente sconosciuto dal volgo ». « Il Re Ferdinando di Napoli, narra Alessandro Dumas, gran cacciatore e gran ghiottone, aveva osser vato che al loro passaggio sull’antica Partenope, i beccafichi si abbattevano particolarmente sulla collina di Capodimonte, e perciò fece costruire in quella località un castello che gli costò la bagatella di cinque
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