COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

438 CAPO XI. Solo, d ice, si possono le erbe m angiare in poca qu antità « perché ham ettano gli hurnori, et non clan nu trim ento ». Conferma l ’opin ion e d ’A verrois ( A verro é che il gran commento feo ; cioè d ’Ari- sto tele), « essere tu tte le herbe di lor natura ten d en ti à hum ore m elan con ico, eccetto la lattu ca, et la bu glossa » . Quindi passa a descrivere le qu alità fisiologiche d egli erbaggi : A cetosa, B asilico (grande e piccolo), B iete, B orraggine, B u g lossa , Cauli, In d iv ia , Cicoria, R u ch etta, F in occh io, L a t­ tuca, Maiorana, M elissa, P retrosem olo, R osm arino, R u ta, S alv ia, Senape, Spinaci (1), Sparagi, A glio, S calogne, C ipolle, Carote o P astin ach e, N avo n i, Rape, P orri, Cappari, R afan i, Cardi o Carciofi. Nel capo X parla dei legum i e del m odo di farli b en cuocere, com inciando dal farro, dal riso, dal cece bianco e ro sso , dalle fa ve, e cc ., sino alle len ticch ie, ai lu p in i, ai fa g iu o li, alla cicerchia, ai piselli, a ll’anice e al cim ino. Il curioso è di leggere le opin ion i m ediche che si aveva n o a quei tem pi su lle virtù oppure sugli in co n ven ien ti di ogni pian ta : erb aggi, legum i, in salate e condim enti, b asate su lle dottrine antiche di A risto tile (2), di Celso, di P lin io , di G aleno, di P itagora, di Solino, di D ioscorid e, e cc ., di quelle d egli arabi com e A v icen n a e della Scuola Salernitana ven en d o sino al bologn ese M attioli, in sign e botanico, e Baldassare P isa n elli, m edico celeb re, di cui alcune sono ancor tuttora nel vo lgo radi­ cate, sp ecialm en te le più assurde, com e la ricetta d e ll’olio balsam ico chiam ato B a rb o la io , di fiori di rosm arino, data da un dotto arabo, che guarirebbe tu tti i m ali ; così pure la v irtù , m olto ortodossa, di fugare i D em on ii che avrebbe un ram etto di rosm arino ! Stupend a l ’argom entazione di quel p o r ­ to g h ese che afferma avere g li asini m iglior stom aco degli uom ini perchè m angiano e digeriscono i cardi anche selv a tici. Il Cristoforo di M essisbu rgo, com e pure lo Scappi, parlano delle Molle;/nane (d ette enche p om i d i sdegno ), che non sono altro che le m elanzane, e il T anari nella sua opera « L ’econom ia del gen tilu om o in v illa » , e p recisam ente nel libro IV , dice : « più con osciu ti sono i M elenzani in L igu ria, a Rom a, che in qu este parti (n e ll'E m ilia ) , così d e tti, qu asi M a la in sa n a , perchè m an giati, turbano la m en te » . A g giu n ge che è p iu ttosto cibo per g li Ebrei. Secondo lo Scappi, in v ece (V . lib . I I 1, dal cap. C C X X X i a C C X X X ii), le m olign ane sono u tili sp ecialm ente in giorno qu adragesim ale, ed in seg n a a farle sottestare cioè — dopo averle m ondate della buccia e tag liate in lun go a fette, e fatte perlessare e sgocciolare su d ’un tagliere — infarin ate e d isp oste a strati in un tegam e di terra un to d ’olio, « spargen dovi so p ra m enta, m a jo ra n a , p im p in e lla , e petrosem olo battu to, e cime d i finocchio fre sc o battu to, ovvero finocchio secco e spig oli d ’a g li am ­ m accati, p ep e, canella, g a ro fa n i, sale a sufficienza, sbruffandole d ’a gresto, e spo lverizzan do le d i zuc- caro et in questo m odo se ne fa ra n n o due o tre su oli, fa c en d o li cuocere nel m odo clic si cuoceno le torte, et come sarann o cotte, servanosi ca ld i in p ia tti con il loro brodo so p ra , e se non sa rà giorno d i v ig ilia si tram ezzerann o d i fe tte d i p r o v a tu ra o d i cascio et p a n g r a tta to , et in loco d ’olio si ado- p r e r à butiro » . Una v ivan d a m olto in uso a R om a, a ll’epoca dello Scappi, è la zazzera (Cap. CCXXV iii) fatta con scorze di zucca, le quali v en iv a n o portate da S avon a « secche ed a m a zzu o li legati nel modo che si legano le gavette d i corde d a liuto, e son bianchissim e e p a re lio strin ghe d i coram e bianco e quando son cotte, una lib ra d i esse f a r à cinque p ia tti, c p er cuocere si fa n n o p e rlessa re in acqua che bolla, e p e rlessa te si ta glian o in p e zzu o li, et se ne fa m in estra co’ cipollette battute nel modo (1) Il marchese Tartara di Bologna (Lib. I V pag. 2 5 7 del suo libro : L ’Economia del gentiluomo in villa) insegna a fa r torta, detta Gussone, co’ spinaci, uva secca, noci trite, mosto cotto ; così pure tortelli. (2) S’attribuiva pure al cavolo il potere d ’impedire Vubbriachezza : « Affirmat Aristoteles in P r o b l e m a t i b u s — scrive il Platina nel lib. V II — nil seque ebrietati mederi qn a m brassicam ». In Francia, invece, e nella stessa Parigi si usa, per dissipare i fum i dell’ubbriacliezza, di mangiare la zuppa di cipolla e formaggio (soupe à l ’oignon et fromage) ; e questo pregiudizio vige specialmente tra gli studenti del Qnartier latin, di cui molti sono fu tu ri m edici!... Sali ammoniacali ci vogliono, altro che cavoli e cipolle! Inquanto ai fagiuoli, si doveva — secondo il Platina — bere vino schietto, subito dopo averli mangiati, per digerirli : < Vinum merum post pha- seolos bibeudnm omnino e s t » .

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