COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

442 CAPO XI. lore pugnando iu compagnia degli altri prodi, rimasto solo a comandare il campo di battaglia, diventa un campione fiacco o poco esperto che compromette la giornata. « E lasciando da parte le metafore, dobbiamo ritenere che i cavoli, qualunque sia la specie a cui ap­ partengono, sono sostanze alimentari rispettabili, quando si presentano stretti in intimo connubio con un pezzo di mammifero o con un volatile domestico o selvatico, o quando servono di dolce correttivo ad altre pietanze ricche di fibrina, di albumina o di principi stimolanti. Di per sè stessi sono gravi a ll’apparecchio digestivo, flatulenti e ben poco sostanziosi (omissis). « Con questa pianta appartenente alle erucifere, e quindi della stessa fam iglia di molti fra gli infiniti cavalieri del nostro felicissimo reame, si prepara il sauer-lcrawt dei tedeschi o choucronte dei francesi, tri­ tando finamente il cavol bianco e pestandolo come l ’uva dentro un tino e lasciandolo chiuso a fermentare per 4 a 5 settimane. Dicono che questo pottiniccio sia un eccellente condimento per il lesso, e che aiuti eccellentemente i processi digestivi, e sarà verissimo l ’uno e l ’altro requisito ; ma, per la mia parte, pre­ ferisco a questo intingolo straniero, una cucchiaiata di semplice mostarda, magari un peperone, un ramo­ laccio, persuaso che non è roba putrefatta, e che pizzica abbastanza per sollecitare le funzioni stomacali, che, per grazia del cielo, in me sono abbastanza rigogliose per non avere bisogno degli stimoli tedeschi. « 11 cavolo però sarà sempre un cibo indigesto e flatulento, e se non vi fosse altro rimprovero da fargli vi sarebbe pur sempre quello delle cattive esalazioni che spande nella sua cottura, e che riempiono la casa di un odore così ignobile che inspira a primo acchito l ’idea della miseria. « Lo stesso non può però dirsi dello rape, di cui si utilizzano le foglie e le radici globose che rag­ giungono talvolta il volume di una testa umana, per la qual cosa il titolo di testa di rapa regalato a certi buoni padroni riesce preciso a meraviglia. « Le fronde lessate, e quindi rifatte nel tegame colla carne di majale, forniscono una pietanza sapo­ rita e molto tenera che incontra il gradimento generale, conio servono di piacevole contorno al bollito di vitello le loro sottili estremità cotte a ll’acqua bollente e servite a modo d’insalata. I capi fatti bollire in precedenza e ridotti in piccoli frammenti, rappresentano uno dei m igliori accessori a certi stufati di fam iglia, nei quali, se il protagonista rimanesse solo a spiegare le sue glorie, strapperebbe agli a s t a n t i certi sbadigli ben più tremendi, come quelli che provengono non dalla noia ma dall’appetito. « Anche condite semplicemente coll’olio e coll’aceto queste radici della brassica napum, quando pro­ vengono da un terreno rigoglioso, oflxono un alimento molto gradito e dirò pure, fino ad un certo punto sostanzioso, essendo tenere e molto zuccherine ; e pei ragazzi specialmente meritano di essere preferiti alle insipide patate. « La carota (della quale si usa solamente la radice), essendo alquanto essa pure zuccherina, ha diritto di aspirare all’onore della cucina ; ma le suo fibre sono duro ,e indigeste, però molti la tengono in pregio per quel sapore aromatico e piccante che possiede. « Molto m igliore dell’itterica carota, è la rubiconda barbabietola, che contiene una quantità notevole di zucchero, e che cotta al forno diventa dolce e gentile come una fanciulla innamorata. Incisa in fette sottilissim e ed aspersa di olio, di aceto e contornata di foglie di basilico, ci regala un’insalatina così cara che gli uomini certo la chiamerebbero la delizia pei pranzi signorili, se questa pianta, invece di vegetare ubertosa nel nostro clima temperato, esigesse la temperatura artificiale delle serre ed avesse, in conseguenza, un nomaccio forestiero ed un prezzo favoloso. Ma la sempliciona che si è mostrata contenta del paese e volle farla da generosa coi suoi connazionali, ha perduto ogni prestigio, e deve avere dicatti che l ’industria si degni utilizzarla nella fabbricazione dello zucchero e d ell’alcool, e che il povero bracciante, devoto al­ l ’insulsa polenta di granturco, Io faccia la grazia d’accordarle, qualche volta, e, direi quasi per c a p r i c c i o , l’onore di sfamare i suoi ragazzi. Quando si tratta d’ingiustizie, anche il povero ed il ricco si trovano d ’accordo ! « Le zucche, le zucchette ed i suoi f i o r i forniscono i n estate un vistoso contributo alle p r o v v i s i o n i vittuarie, ed io, per serbarmi giudice imparziale, debbo riconoscere in questo frutto un eccellente piatto di soccorso che si accetta volentieri nei dì canicolari, quando il corpo, riarso dal sole, richiede un v i t t o rinfrescante. « Una frittura dei suoi fiori si gradisce volentieri, come si accetta con piacere un’insalata di ziic- cliettine cotte bene per correggere l ’aridità di un pezzo di bollito, quando al di fuori stride la cicala ; ed il piacere va congiunto all’utile reale, poiché posseggono veramente proprietà nutritive e temperanti. « Il cardo, che i toscani chiamano il gobbo per la forma curva che presenta, è poco nutritivo ; i»9 cotto e spogliato della buccia, si presta in vari modi all’abilità del cuciniere, e riesce morbido iu maniera che non compromette la buona digestione. Cucinato al cacio e al burro, o trippaio, come si dice volgar­ mente, si converte in un manicaretto de’ più grati, e piacevole pure riesce cotto al sugo della carne nel

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