COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

482 CAPO XI. È noto, a tal proposito, il bisticcio che fece un giorno Cicerone, quando avendo udito che un antico cuoco sollecitava presso un suo amico il voto per ottenere una carica (essendosi egli arricchito e diventato tanto ambizioso da indispettirsi contro chi gli ricordasse la sua antica professione): Ego, quoque, te favebo, che vorrebbe dire : « Io pure ti favorirò », ma, anche, lo , o cuoco, ti favorirò, Le m igliori fave pei Romani erano le « bajane », cioè quelle di Baja, donde il nome di bazzanne che i genovesi danno alle fave grosse di baccello. Come si è detto per i ceci, affinchè le fave riescano tenere e dolci, non si deve attendere che esse abbiano raggiunto la loro completa maturità. Le estremità tenere delle fave, smazzate, si ammaniscono per fare vivande sia di grasso che di magro, e riescono cibo delicato e sano. I semi o baccelli si mangiano appena giunti ad un terzo di loro grossezza, nella stessa guisa che si mangiano i fagiuoli per cornetti. Quando, invece, hanno raggiunto il loro intero sviluppo, si ammaniscono i semi sgusciati, togliendo loro la buccia, perchè fibrosa e di difficile digestione. Le qualità m igliori per la cucina sono : la fava olandese precoce, la fava breventana, la marzuola , quella di Siviglia (molto larga e piatta), la fava d'acqua dolce, la Giuliana verde, la nana di Beek (verde, precocissima, ricercata come primizia e di sapore gratissimo). I francesi desi­ gnano le fave destinate a far vivande sotto il nome di Féves de marais. Ottime sono le fave sbucciate e spaccate nella minestra ed in purea come si pratica pel macco in Sicilia. 3 3 6 4 . — Fave con besciame lla . Pelate e cuocete nell’acqua salata delle fave tenere; cotte clie siano, ponetele in una casserola con burro t'uso facendole asciugare a fuoco len to ; assaporate con sale, pepe, noce moscata ed un pizzico di zucchero; versateci qualche cucchiaiata di buona besciamella e rimestate. Gotte, servitele cou crostini o ttenu ti in questo modo: p rendete della mollica di pane raffermo, tag liata della forma che volete, stendetela su un p iatto, versateci sopra del la tte tiepido, lasciatela inzuppare alquanto, poi ponetela a sgocciolare sullo staccio. F a te fondere del burro in un tegame, passate i crostoni ottenu ti nell’uovo frullato, e po­ neteli nel burro a soffriggere da ambo le p arti su fuoco lento (Questi crostoni possono servire per qualsiasi p iatto di legumi). 3 3 6 5 . — Fave a ll’ortolana. Scegliete di quelle piccole primaticcie, saranno migliori anche colla buccia; qualora fosssero grosse, sbucciatele prima di m etterle a cuocere nell’acqua bollente. L e s s a te , sgrondatele e ponetele in una salsa al la tte un po’ densa, finita all’ultimo istan te, con un po’ di burro fresco, e della erba cunella (sarriette dei francesi) trita ta . Del pinocchio. L ’Anethum foeniculum è specialmente coltivato ed impiegato per far vivanda in Italia. Si m a n g i a n o non solo crudi al pinzimonio, in istato verde, ma anche sbianchiti, nella stessa guisa che i cardi ed i sedani, quando l ’ortolano li ha rincalzati con terra fino a metà fronde onde conservarli per l ’inverno bei bianchi e teneri, particolarmente il grumolo e le coste. Le m igliori varietà per la cucina sono il finocchio grossissimo di Napoli, quello dolce di Firenze e di Ro­ magna e quelli di Lombardia. I semi del finocchio — noti in Lombardia sotto il nome di erba bona — sono droga di cucina fin dal tempo dei prischi romani, e dei pasticcieri. Questi semi generalmente s’impiegano per dar sapore alle carni porcine che si mettono allo spiedo, ai pesci fritti ed ai gamberi salati, e ad al­ cune salse. Così, pure, si aggiungono alle castagne che si fanno lesse, specialmente « pelate » o « succiole »,

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