COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911

560 CAPO XII. un’ora a fuoco vivo, tenendola bagnata col burro e lardo della leccarda ; co tta che sia, salatela, levate l’unto dalla leccarda e bagnate la lepre, sempre sullo spiedo, con due cuc­ chiaiate di buon aceto, quindi con due cucchiaiate di fondo chiaro e mezza tazza di vel­ lutata. Versate sulla lepre un bicchiere di panna acida e levatela dallo spiedo; ponetela sopra teglia in stufa. Riducete intanto la salsa della leccarda, unendole il sugo d’un limone, e passatela per stam igna. D isbrigliate la lepre, tagliatela a fette, così pure la sella, come di pratica, onde sia facile servirsene, ed a pezzi non troppo grossi ; riunite la lepre come se fosse intiera, e ponetela su piatto lungo, contornandola con dei crostoni di polenta al parmigiano, fritti color oro, e davanti alla lepre ponete dei mazzetti di crescione ; salsatela colla sua salsa ottenu ta, e servite a parte una salsa di ribes. 3601. — Leprott i a r r os to . A llestite due leprotti, distaccate le spalle e il collo, disossate i petti, legate i muscoli addominali al disotto, ritira te l’osso del grosso della coscia senza romperlo, tag liate le zampe per incrociarle e mantenerle ritte attraversando le con una piccola asticciuola, pa­ ra te le carni dei filetti e quelle del grosso delle coscie, ritirando l’epiderm ide per la r­ dellarle con lardo fino ; attrav e rsa te i leprotti con lo schidione, assicuratelo sullo spiedo per cuocerli a buon fuoco, du ran te 30 o 40 minuti. Da ultimo, salateli, toglieteli dallo spiedo, tag liate trasversalm ente la lombata e le coscie, rim ettete in forma i leprotti, accomo­ dandoli, su un piatto con un poco di buon sugo. Deg l i arrosti di cacciagione di penna. Se consultiamo gii antichi Epulari italiani e Libri di Cucina, dal codice trecentista dell’anonimo, più volte citato, scoperto nella Biblioteca dell’Università di Bologna, da Olindo Gnerrini, e venendo fino ai trattati di rosticcieria del XV III secolo, quanti animali pennuti noi non vediamo sfilare attraverso gli schi­ dioni a manovella, ad arganello, ed a movimento da orologeria a pendolo !... Dal cigno alla grue, dall’ai­ rone alla cicogna, tu tti g li uccelli dell’aria e dell’acqua vanno a finire rostiti. Ma chi mangia ora il cigno l’airone, la cicogna, la gru ed altri trampolieri come il porfirione, il fenicottero e sim ili ? Eppure a quel­ l ’epoca erano assai stim ati. Chi non ricorda la graziosa novella boccaccesca dell’arguto cuoco Chichibbio, che avendo avuto l ’incombenza di far rostire una grue, non potè resistere alla tentazione di divorarne una gamba, tanto era solleticante il profumo ch’esalava quel trampoliero ? Il padrone cerca invano la se­ conda gamba, fa chiamare il cuoco, che, come cadesse dalle nuvole, sostiene che le grue hanno una gamba sola, e si fa forte di dimostrarlo. A ll’indomani di buon mattino, il padrone con Chiohibbio vanno a ve­ rificare nella prossima palude ; sorprendono un gruppo di quei palmipedi ancora addormentati che s t a n n o — come di loro abitudine — con una sola gamba poggiata a terra ; mentre l ’altra la nascondono piegata sotto l ’ala. ■— Vede — ad d itan d o le g rue al padrone — che ho ragione io, dice gongolando di gioia C hichibbio. — Aspetta un poco — contesta il padrone — e, così dicendo, batte fortemente le palme delle mani tantoché, a quel rumore, svegliatesi le grue, s’affrettano a poggiare l ’altra zampa a terra, prima di spic­ care il volo. Vedi, che ora hanno due gambe, mariuolo !... — Embé ! — replica Chichibbio — perchè non ci ha battuto le mani a tavola a quella grue, per farle mettere giù l ’altra ? Con questo aneddoto passiamo, ora, alle forinole dei rostiti di penna che sono in uso oggigiorno.

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