COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
DEI PASTELLI, ECC. 591 l’anfitrione troppo spiritoso, sotto pretesto ch’egli avesse osato distruggere Cartagine prima di lui Scipione. Lampridio e Petronio riferiscono i casi di alcune ferculo, (barelle) destinate a recare nel triclinio enormi lavori in pasta con statue per alzate di tavola. * •* * Dopo il Medio-Evo, datosi un po’ d’ordine al servizio delle mense, vennero istituiti, dopo le Entrate ed i .Rilievi, i così detti Tramezzi. La lunga lista dei Tramezzi che catalogava il Ménager de Paris ci dimostra che quei piatti o vivande appartenevano indifferentemente a tutte le sorta di preparazioni cucinarie ; poiché i pulcini ripieni succedono al « porco marino ( marsouin ) alla salsa », 1 pasticci d’allodole alle andovilles (bilordi di trippe di inaiale o d ’altro animale con cipolle trite e spezierie), di regaglie d’agnello e di capretto, e le frittelle colla pasta di farina intrisa nell’acqua, fatte con uova di luccio e al gusto di melarancia. In seguito, il lusso dei Tramezzi consistette nella molteplicità e nella diversità delle Torte. Ba- helais ne fa comparire di sedici specie in un solo pasto ; Taillevent menziona le torte converte, Ricopine, bourbonnaise, à deux visages (a due faccie), colle pere, coi pomi. Platina (1) enumerava : torta bianca fatta con burro, farina, formaggio, latte e spezierie ; la bolognese, fatta con cacio c°me nella bianca ; quella di bietole, prezzemolo, amarraco, loto tritolato, uova, burro o strutto, e zaffelano ; la torta di zucche, di rape, di pere, di cotogne, di fiori di sambucco, di riso, di rose, (h castagne, di miglio, di ciliege amare (marasche), di gamberi, d’anguille, di datteri, di mandorle dolci ed acqua rosata, di ceci rossi e mandorle, quella detta pantodapa (« tutte vivande »), con pi selli e uova di pesci, e quella di marzapane. Domenico Bomoli (2) menziona : la torta di meloni, la torta verde, la torta di ricotta, la torta di polpe di fagiani, di capponi, di pernici, di vitella e si bili ; la fallata ; la torta furagara alla genovese, lombarda, francese, romagnola, fiorentina, alla C(>cuzza marina, di cipolle, di visciole, di piselli, d’uva pergolese, ecc. D’altronde la voga delle torte datava da lontano, poiché nel libro francese dei Proverbes del XIII secolo si legge che le tartes de Dourlens ed i flans de Chartres godevano allora d’una grande celebrità. Si tratta puranco di un gdteau enfeuilles, in una carta di Koberto di Bouillon, vescovo d’Amiens nel 1311. Questi pasticci sono tuttavia meno antichi delle focacce di pasta ferma, dette « focaccie colla fava » o « torte dei Be Magi > (gaiette des llois), che sino dai primi tempi della monarchia francese comparivano su ogni mensa, non solo nel giorno dell’Epifania, ma eziandio ogni qualvolta 81 trattava di mettere in baldoria i convitati. In Italia, si soleva mettere, invece della fava, uno zecchino d’oro, come si legge nel libro delle Spese del Duca Borso di Modena (metà del XV secolo). I pasticci grassi furono in grande onore nella cucina ancestrale. Mentre che la confezione dei pasticcetti dolci e delle chicche rimaneva esclusivamente confidato alle cure delle buone ed abili donne di casa di ogni rango e condizione, a Parigi la corporazione dei pasticcieri (ch’ebbe i suoi statuti soltanto alla metà del XVI secolo) moltiplicava le differenti specie di tartare e di pasticci di carne, caldi e freddi, ch’erano gli ingegnosi prodotti d’un arte speciale, degna di rivaleggiare c°n quella della cucina. Una delle prime ricette conosciute per fare un pasticcio è dovuta a Gaces de la Bignè, primo cappellano del re Giovanni, di Carlo V e di Carlo VI. Essa venne ricavata (X) Lib. V ili, pag. 2 6 2 a 2 7 1 . E diz. Joh. Orifh Londra 1541 e Jean Petit Lyon MVXXX . (2) Lib. V. pag. 178 e 179 quindi 192 a 194. Ediz. Sibilla, Venezia 15 6 0 . Michele Tramezzino.
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