COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
798 CAPO XVIII. una term inologia adeguata e corrispondente alla loro natura, origine, scopo, impiego, oppure alle qualità o doti intrinseche che ai loro prodotti erano inerenti od affini. Arricchiamo dunque la nostra lingua con neologism i sani e adatti, o presi anche ad imprestito da altre lingue se vogliam o che la nostra — la quale si dibatte tuttora in tutto l’oriente (ossia in quel « levante » d ’onde lo spirito intraprendente e commerciale dei mercanti veneti, ligu ri e toscani, trasse enormi ricchezze) contro più coraggiose iniziative — ritorni a ll’antico splendore. Ricordiamo che il sommo Leonardo da V inci — l ’artista più eclettico e d ’ ingegno multiforme che sia mai esistito al mondo, — nei suoi molteplici e svariati scritti, italianizzava tu tti i vocaboli che non trovava già italianizzati dal latino, ed in ciò fare ottemperava a ll’aurea sentenza che dettava Nicolò Machiavelli nel suo Dialogo della lingua, che dice : « Quella lingiia si chiama d'una patria, la quale converte i vocaboli ch'ella ha accattati da altri nell’uso suo, ed è si potente, che i vocaboli accattati non la disordinano , ma ella disordina loro, perchè quello eh’ella reca da altri, lo tira a sè in modo che par suo ». Ma sarà un gran pregio dell’opera di questa cronistoria della Cucina e della Mensa italiana il riferire l ’aspra battaglia, in gran parte a base di logicomachie e di bizantinismo polem ico, che s’ingaggiò, fin dai primi albori dell’anno 1908, intorno alla corrispondeute traduzione della parola Menu. Questo dibattito, che ebbe persino una eco nelle vetuste sale conventuali dell’Accademia della Crusca, appassionò i più illustri umanisti e letterati d’Italia, come dirò in seguito, il che dimostra — a prova lampante — quale intenso interesse abbia destato l ’accennata riforma iniziata e strenuamente condotta dal nostro Re. Cominciamo dalla accademia della Crusca, la quale, nella sua seduta in data del 12 gennaio 1908, per l ’organo del suo segretario, prof. Guido Mazzoni, sulla questione agitatasi sulla parola menu, faceva rispondere : « che la Crusca non usa intervenire nei dibattiti se non quando è interrogata da chi ne abbia autorità. Sulla parola « menu », e su tutta quanta la nomenclatura dei pranzi ufficiali, la Crusca ebbe l ’onore di rispondere a Sua Maestà il Re, che scrisse interpellandola in proposito, dando un nobile esempio di rispetto alla lingua nazionale, cosicché una pic cola controversia si è alzata a una bella affermazione di sentimenti che piace scorgere, anche per le minime cose, in Vittorio Emanuele III ». Il Re, dopo la risposta data dall’Accademia, decise dapprima di abolire la parola menu, accettando di sostituirla con la parola italiana lista. Quindi, come vedremo, preferì di adottare l ’antica dicitura dei metodologisti italiani, come lo Scappi, già in uso nelle Liste cibarie dei banchetti del Rinascimento italiano presso le Corti dei doviziosi principi delle varie regioni d’Italia, intestando la Lista o Minuta vivandaria colla semplice indicazione di : Pranzo, oppure di Colazione, e, nel caso occorrente, anche di Cena, seguita dai particolari soliti per indicare la data, l ’ubicazione, e designare in quale occorrenza festiva o solenne, oppure a quale Personaggio od alto Corpo,, nazionale od estero, il convito era da S. M. o dalle LL. MM. offerto E questa dicitura d’intestazione, d’altronde la più razionale e tradizionalmente ammessa nelle usanze o jirotocollo delle C oiti antiche italiane, è quella che venne pure accettata, se non dalla generalità — perchè lo snobismo della maggioranza delle nostre case signorili e la smania per l ’esoterismo gallico sono troppo ra dicati per svellerli, fosse pure dopo l ’esempio dato dal Re — almeno da una gran parte di persone cui non fa velo, nella loro missione di Anfitrioni, la secolare abitudine di vedere elencate, nei loro cartoncini stem mati, la serie delle più gustose vivande, in qualsiasi altra lingua : francese, inglese, russa, tedesca, e per sino turca, eccetto che italiana. Basti dire che, pochi mesi dopo quella iniziata riforma Reale, una Eccel lenza, borghese, Ministro degli affari Esteri di S. M. il Re d ’Italia, offriva un pranzo ad un ambasciatore di una Potenza amica, al di là dell’amaro Adriatico — per dirla alla D ’Annunziana — sfoggiando, sul dorato bristolino, un Menu libellato alla francese. Dopo la risposta — diremo alla Ponzio P ilato — del segretario dell’Accademia della Crusca, il Gior nale d’Italia apriva, nelle sue colonne, il posto ad un referendum, che dopo pochi giorni dovette affrettarsi di chiudere, tanta era fitta, continua ed insistente la pioggia di lettere che sulla vessata questione gli per venivano da tutte le parti d ’Italia. Oh beato paese di letterati !... Olindo Guerrini, l ’argutissimo scrittore che seppe così piacevolmente dar la baia agl’italiani inventando l ’esistenza d’uu morto nella personalità del poeta Lorenzo Stecchetti, scende anche lui in lizza con la se guente lettera, che secondo noi taglia la testa al toro : lettera della quale il Giornale d’Italia gli è gratissimo. On. Signore, Leggo nel suo ed in altri giornali che il Re ha ordinato di redigere il menu dei suoi pranzi in lingua italiana e non più francese, e tutti dicono che ha fatto benissimo. Ella però ha un dubbio del quale chiede la soluzione all’Accademia della Crusca. Come si tradurrà in italiano la stessa parola menni.
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