COUGNET DA FLIPPARE- L'arte cucinaria italiana vol II - 1911
CAPO XVIII. stonchi del quale riferivo i brani più salienti del suo magistrale articolo intitolato : È la signora Lingua Italiana che parla, comparso nel Corriere della Sera di Milano, in data del 10 gennaio 1908, pubblicandoli nella suddetta Rivista Italiana d’Arte Culinaria da me diretta. Il prof. Pastonchi, con felice prosopopea, finge che una signora — vestita bizzarramente, ed amman tata con uno serico mantello a fiorami, variato di pietre preziose e frangiato d ’oro, ma con molti schizzi di fango, e stinture di polvere... e, sotto, una veste di colori diversi, a rattoppi e a sbrindelli, qui di seta, là di panno ruvido, come cucita insieme per burla da un rigattiere da teatro... — venga a trovarlo nel suo eremo di Grugliasco, e, dopo avere palesato l ’essere suo, cioè aver dichiarato essere la Lingua Italiana in persona, confida al poeta di Giostra d’amore , di Oltre l’umana gioia, e di tanti altri leggiadri carmi, i suoi crucci ; si lamenta principalmente dell’oblìo in cui per tanti anni la lasciarono, tanto da essere igno rata dalla maggior parte degli italiani; quindi affrontando la questione per la quale venne « in questi ul tim i giorni frastornata » (cioè per la questione della traduzione italiana della parola menu ) manifesta la sua gioia per essere stata tirata d all’oblìo dal Re d ’Italia, e, dopo tanti anni, essere ritornata a diventare idioma ufficiale di Corte, per quanto, come lingua, in un servizio « di bocca ». Ma cediamo la parola alla signora Lingua Italiana, che, giunta a questo punto del suo colloquio col vate ligure, prosegue nel suo discorso : « Infine, mentirei, se ti dicessi che l ’origine non m i abbia fatto dare un balzo di gioia. Sai, 1111 Re d’Italia che si occupa di m e... son cose insolite e commoventi. Non e’ero avvezza e non me l’aspettavo. Un tempo lontano andavo a Corte quando l ’Italia non esisteva che per la mia virtù e stava divisa a pezzi come la veste che io porto. Allora qualche principotto, qualche ducastro mi prediligeva, e col favore di certa gente, tra estrosa e dotta, mi accoglieva con una larghezza piacente e auche festosa. Ma, dopo, i re — in tu tt’altra faccenda affaccendati — non mostravano più d’avermi a mente. Ora, di colpo... il Re mi vuole a nominare le sue vivande, fino ad oggi superbe dei lor nomi gallici. È un principio um ile, ma, se ci rifletti, piacevolissimo. Entro per la bocca, solletico il palato, sazio g li stom achi... Non saprei come ec citare in maniera più agitata la fantasia dei moderni... Riprendo g li uomini per la gola. Certo, sarò così più ascoltata che se tentassi nna introduzione per mezzo delle circolari m inisteriali. Hai visto anche al banchetto per G iannino? (intendi Traversa , il rinomato commediografo, N. d. D .r A. C. ). Spinaci con un c solo ! Che delizia, anche se non erano alla francese, cioè « latteggiati al passatello », come direbbe il mio ineffa bile Raffaellino Fornaciari ! Che schiocco di lingua devono aver salivato i buoni p u risti!... « Tornando al dettato, un re che mi vuole alla sua m ensa... capirai... che è cosa da tenersene. Sono popolana è vero: nata dal popolo; ma che vuoi? — fa un certo effetto sentirsi accarezzare da un re! Ma quei terribili giornalisti, non mi hanno permesso di crogiolarmi la mia piccola gioia in pace ; e, subito, mi hanno scatenato contro la smania pettegola del gran pubblico : scompigliandom i l ’Italia per una sola pa rola. O grande anima del Bembo ! nominiamo puro italicam ente le vivande ; ma come chiameremo — Dio dei cieli ! —- il menu ? « Su, Lingua Italiana, sprizza dal tuo segreto il vocabolo acconcio : su insegnaci la memoria della nostra grandezza, tu la più bella, tu la più ricca, tu la più cara, tu l ’unica, tu la nostra sempre adorata per la gloria di Dante e di n oi! Che ci offri tu, dunque? L is ta ? Ma è generico. D istinta? Ma è anche generico. Elenco ? Nota ? Tutti l ’ugual colpa. « Minuta ? No : non suona bene : è una cattiva approssimazione, un omaggio di sghembo al bandito menu ! E perchè non si farebbe a meno di tutto ciò, scrivendo semplicemente colazione, pranzo, cena ? U sa rono già ben così un tempo. Eppure.... lista porta il suifragio di qualche antico. Il tale del buon secolo diceva appunto che « la lista dei cibi avrebbe dato il gorgoglio a un moribondo » e il cotale, notissimo come buon parlante, disse anche lista in un in v ito .... eccetera.... « Spero bene che tu mi onorerai col crederò che in tutta l ’ardua questionciuccia, io non ho mai aperto bocca, se non per gridare, frugata dall’uno, stiracchiata dall’altro, lacerata da un terzo....... « Io mi ci divertirei un mondo se potessi starmene in disparte a goder la disputa : ma quei forsennati mi ci tiran dentro per i capelli. E pensa che mi dolgono ancora sulle braccia i livid i per quella famosa dibattuta sul pane che « cricchia », « crocchia », « scrocchia », « stride » e sim ili scorticature. Il buon Edmondo ( intendi De Amicis, N. d. D .r A. C.) ne cerchi, se la trova perdonanza ! « Ma questa volta mi meraviglia non poco che si siano acquetati a pochi ossi, abbastanza presto, e non m ’abbian esplorato di più nel segreto ; e tratte fuori certe vecchie saputerie non le abbiano proposte a lucenti novità. Perchè non ricordarsi di quel gaudente che dava, nel secolo d’oro, spessi conviti, e man dava in anticipo con l ’invito la godenda ? Ecco una parola non generica, e creatrice di imagiui. Ci si vede una faccia lieta, e una cibaria saporita. « Godenda » / e i francesi non chiamano forse « la dolorosa » il conto ? « E chi è mai quegli che diceva « eletta » e quell’altro che diceva « rinsegno » f « Ma un uomo di cotta, scaltro alle vivande come alle preei, non potrebbe dire untuosamente « inci tatoria »? E uno svenevole la stuzzicosa? E quanti non dovrebbero dire, con un amaro ammonimento, l ’inutile?
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