DOTTOR ANTONIO - Il frutteto a tavola e in dispensa - 1887 c

88 si raccoglie l'amaro che possiede . Si ricordino del proverbio: all'amico pela il fico, al nemico il per– sico. Per saporire la pesc a va mangiata senz a pe– larla e senz a tagliarla. Le foglie ed i fiori del pesc o sono velenosi, contenendo acido idrocianico, t u t– tavia i n medicina se ne fà uso qualche volta come contro stimolanti e vermifughi. I fiori e le foglie recenti, anno inoltre una virtù purgativa, se ne fà infusione e sciroppo, perdono molto coll'essicazione. Irwcaso di avvelenamento coi fiori, foglie o man– dorle de' suoi f r u t t i, si soccorre con etere al quale s'aggiungono una ventina di gocci e di laudano. Coi frutti ben maturi, che passan o facilmente alla fer– mentazione , se ne può ricavare un vino leggero, assa i piacevole a bersi. La gomma che scorre dal suo tronco e da'suoi rami può adoperarsi invece della gomma arabica. La Scuol a Salernitana sentenzia: Persica cum tnuslo vohis datur ordine justo Sumere, sic et mos nucibus sodando racemos. Raccomand a insomma di mangiar la pesc a col vino onde quei versi : Petre, quid est Pesca? Cum vino nobilis esca. I Greci, fatta astrazione di Dioscoride che la chiama frutto salubre , la tenevano come nociva, quasi velenosa . Plinio lo dichiarò salubre ed inno– cuo e ne insegnò a spremerne i l succ o nel vino. Erano celebri le pesch e della Sabinia. I Romani amavano la speci e duracina e la chiamavano pomo di Persia , malum persicum. I l pesc o fu conosciuto ed acclimatizzato da noi dopo la spedizione di Ales– sandro e bisogna che foss e assa i raramente coltivato, perchè al tempo di Plinio, le pesch e valevano per– fino trenta sesterzi l'una, cioè circa sei delle nostre lire. Non saprei dire perchè a certi gonzi, i l popolo milanese, appiccò i l nomignolo di persegli.

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