Dalcò_Dizionario parmigiane
Vittima di una strage di civili causata da un bombardamento degli alleati che colpì un rifugio antiaereo al Cornocchio. Vi erano 150 persone fra parmigiani e viaggiatori di un treno costretto a fermarsi dopo l’allarme. Obiettivo principale era la stazione ferroviaria. Persero la vita 61 persone. Sul luogo venne eretto un monumento. Bibl.: Barbieri V., La popolazione civile di Parma nella guerra 40-45 , Associazione nazionale vittime civili di guerra, Parma 1975, p 79 e p 146. Scarica Anita Carignano (PR) 29 febbraio 1926 - Parma 7 maggio 2005 Commerciante. Nacque in una grande famiglia patriarcale in cui il nonno e la nonna paterni erano due pilastri, capaci di trasmettere valori e principi solidi. Il padre era il maggiore dei fratelli, un uomo tenace, serio, autorevole, innamoratissimo della moglie Aurora. Era la primogenita: a quei tempi, nascere femmina in una famiglia contadina, e soprattutto per prima, voleva dire sentirsi responsabile di tutti i fratelli (tre maschi) giunti dopo e questo contribuì a rafforzarne il carattere e a fornirle la capacità di raggiungere i suoi obiettivi. Tra lei e suo padre vi era un legame molto forte, un’intesa perfetta, ma morì quando Anita aveva solo dodici anni: si trovò quindi a dover crescere in fretta e ad aiutare la madre nella crescita dei fratelli. Da ragazzina spensierata si era trasformata in una donna e le gravi difficoltà personali si inserivano nel difficile contesto che anticipava la Seconda Guerra Mondiale. La famiglia si trasferì vicino ai parenti a Gaione e poi ad Alberi e, infine, a Parma dove la madre aveva comprato una casa e aperto un negozio in borgo Guazzo, vicino alla Chiesa della SS.Trinità. Anita aiutava la madre, ma il suo spirito indipendente non le consentiva di sentirsi soddisfatta: i fratelli erano stati mandati in collegio, ma per lei niente scuola. Perfino quando le proposero un impiego in banca (dato che molti uomini erano al fronte e occorreva rimpiazzarli), la madre si oppose all’idea in modo categorico. Ma la vita le offrì un’altra possibilità: nel 1943 il denaro che suo padre aveva depositato in banca prima di morire era libero da vincoli e lei fu mandata a ritirarlo su delega della madre. Tornando a casa allungò di poco la strada e capitò davanti alla latteria di borgo Tommasini. La proprietaria aveva intenzione di cedere l’attività: quindi si guardò intorno e si immaginò dietro al bancone. Andò a casa e ne parlò coi suoi che, naturalmente, lo considerarono uno scherzo di cui non tenere conto. Quel denaro, che un tempo poteva rappresentare un piccolo patrimonio, con la guerra e l’inflazione si era notevolmente ridotto ed era indispensabile per sopravvivere. Ma tanto si impuntò, che diventò padrona di quella latteria che per tutti i parmigiani del centro sarebbe diventata la “latteria della signora Anita”. I tempi erano difficili. Nell’inverno del ’43 i bombardamenti avevano frantumato le vetrine della latteria, ma ogni mattina andava a lavorare felice, nonostante i geloni, il presidio tedesco a pochi metri di distanza e le difficoltà nel reperire la merce da vendere. Per trovare il burro andava in bicicletta anche fino a San Secondo in mezzo alla furia dell’aereo Pippo che cercava bersagli su cui scagliare le proprie bombe. La guerra finì e arrivò il boom economico: la latteria cominciò a prosperare, diventando luogo d’incontro di molti clienti. Il tempo era scandito proprio da questi: prima gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori che passavano per comprare la merenda; più tardi arrivavano le casalinghe per il burro e le uova, e quindi i liberi professionisti, per una sosta caffè; poi la gente del quartiere dallo spazzino, al postino e a fine mattinata di nuovo i ragazzini che uscivano da scuola a caccia di caramelle. E si ricominciava con gli abituali clienti pomeridiani. Così ogni giorno: apertura ore 6.00 chiusura ore 21.00, orario continuato tutto l’anno con serrata a Natale e a Pasqua. Solo dopo più di vent’anni di attività la latteria iniziò a chiudere alla domenica. Dall’“Anita” d’estate si gustava la granita col ghiaccio tritato e d’inverno le torte e i tortelli. Questi erano preparati nel retrobottega dal marito Ezio, che l’ha affiancata in negozio e nella vita fino alla fine. Anita sapeva ascoltare e consigliare: in molti si recavano nella sua latteria per scambiare due chiacchiere, per un sostegno, per un conforto. Nel lavoro fu capace di rinnovarsi, quasi un’imprenditrice perché seppe sempre adeguarsi ai tempi: negli anni della guerra riusciva a trovare la forza per non arrendersi anche se era da sola e soprattutto “donna sola”, sapeva tener testa a tedeschi, fascisti e partigiani; in tempo di pace seppe stare al passo con le trasformazioni della vita e
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