GARZONI - La piazza universale - 1589
r ^ i v t ì\ s A L g. 7 o t fefììna,o vn ntadrigaletto,doueil cieco a'Madri a non s'accorge chela ma- riuolagli hafurbato i verfi,fenzaeffere difcouerta da veruno, maquefie pazzie fon poche rifletto alle altre che fannodn appiesitarle di cuori jpar titiper mezzp*uero che uiuone in fuoco come Salamandre,con l'antece– dente di qualche bei mamgl'hdun vergo di perle, di vna colonna d'oro,di due riccbiffimi pendentifun bell'iffmo diamate fi rubbino,doue è impref- ft> amore coi strali in mano uibrar cotradi loro acutiffimi colpi. Et il peg– gio di tutti i mali è il nohauer defio di rimouerfi mai da cotefle follie,do ut fono attuffati,& immerfipiù che rana detr e al fang o.fi feufano imiferico- gli effempi inutili di Tbefeodi Taride,di Hettore,di Tirano*? Hippolito* d'Androgco, di Leandro, di Lancillotto, di Trillane,iquali fofferferoirt amare pene acerbiffme, quafi che i martiri d'amore fono un giuoco, & che fila un uago trafluìlo,a penar per qucjìe Circi,e Me dee no meno fielera te,tbe crudeli. T^on fìtroua una "Hannio più cb'infanifca per D'ionifio;una Leotio che diueti ebria d'Epicuro ;una Gl'iceraebe porga il latte delle fine poppe all'innamorato Menadro;perche queslaivfelice etàmacad'amore in efie,albergo dì crudeltà* ricetto d'amarezza, per tefiimonic di quanti gttiliffimifpiriti moderni ha nelle lorpoefìe favellato di loro.Ecco Mtffer Malate fa da Rimini quanto fi rammarica in quella ssan%a,cbt comincia, j j S'io veggo intorno ale mie pene intenti Gli afpridohri, e le più crude fiere. Ecco M. Tompeo Tace, quanto fi difiera, cantando. Quiui mi doglio* quanto hin uoi bellezza, Tanto in me duri fono affannile pene. Etilmedefimopur. E bench'esempio ftaneUémia etadt > Di quanti slati fon miferi amanti. Ecco M. Vicenzp Quirino lamentar/i, dicendo. 0 notte, o cielo* mare, o piagge* montis Che sì ffieffo m'udite chiamar morte. Ecco il Sig. Luigi Gonzagadolerft'inqueiverfr. Quella ch'io dico in me turbatamoue Talhorgli effetti di Saturno* Marte. EccoM. Antonio Tlacidipianger la fua fciagura,in quelloflanZf. Toi chesìgraue duol m'ingombrai 1 alma, He più lice fperare altro che morte. Ecce M. Ludouico Martelli quel che dice ancor lui,. Lofio ben quel ch'io dico,& fallo ancora chi de'bei detti fuoim'htroppo aitata, Etvuol eh'ardendoi&purpregando mora,. Senza fua voce udir che m'i sì cara. EccoM. ClaudioTolomei dolerfifommamentedi tutte lor,dicendo, Chencnfi dolfealcafo di Fetonte. Febo» munì. Pompe» Pace . Vicer.xo Quirin o IJ Sig.Iu. ' gì Gexaii Antoni o Placidi . Ludoui c Martelli Claudi o Tcicnu ;
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