Hospitale_ocred
3. L’Ospedale Grande è la mia casa L’Ospedale Grande è la mia casa. To sono cresciuta qui, tra queste mura. Non ho conosciuto i miei genitori. Mi hanno lasciata qui - sicuri che qualcuno mi avrebbe aiutato. È stato un gesto d’amore - a suo modo. Ho imparato a pregare, a lavorare nell’orto, a lavare i panni nei fossi. Ho portato pane e minestra a malati e sofferenti. Ho fatto giocare i bambini più piccoli - sognando un giorno un figlio tutto mio. Quando sono diventata grande - mi hanno detto che non avrei più potuto restare qui. Ero una bella ragazza e volevano darmi in sposa a un ciabattino. Mi hanno dato una dote di venti soldi. Lui ha portato al rettore un paio di scarpe bellissime, perché potessi diventare sua sposa. Non avevo mai visto quel ragazzo, non conoscevo gli uomini e non sapevo nulla sull’amore. Sono andata a vivere con lui dall’altra parte della città - dove aveva casa e bottega. Volevo un figlio ma quel ragazzo non mi piaceva. E non mi piaceva quella casa, quell’odore di cuoio e di colla. Avevo nostalgia di queste mura, della mia vera casa. Lui mi ha preso con la forza. Ho avuto un bambino, ma mio marito è morto prima che nascesse. Si è tagliato con un ferro cucendo una tomaia e la ferita ha fatto infezione. Quando è nato il mio Pietro, ho chiesto di tornare all'Ospedale Grande. Avevo tanto latte, potevo sfamare almeno due bambini. Così, ho avuto due figli in una sola volta. L’Ospedale Vecchio negli anni Quaranta, visto da ovest (Parma, Archivio Storico Comunale, Collezione E.p.T.) 129
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