Hospitale_ocred

718 Il principio della residenza diviene nei fatti l'elemento discriminante di appartenenza alla comunità, sia per chi ha scelto la vita comune che per chi è assistito dalla struttura! che, lo ricordo, nei primi anni del Duecento occupava un casamento interno nell’area a sud di Strada D’azeglio, in prossimità di Borgo Cocconi, era dotato di una sua chie- sa ed acquisiva l’uso esclusivo di un certo tratto del canale Cinghio. Pochi anni dopo, nel 1214, l’ente appare essersi notevolmente allargato occupando spazi più articolati e presumi- bilmente più ampi; risulta suddiviso in due sezioni ubicate in casamenti collocati sui entrambi i lati della strada: alcuni a nord, dov'è un ospizio intitolato a Rodolfo Tanzi cui è annessa la chiesa di Ognissanti, e altri a sud della strada, con una struttura dedicata a Sant'Antonio e il cimitero. Dal 1216 non abbiamo più notizie documentarie di Rodolfo, a cui succederà dal 1219 il rettore Pietro presbiter, dunque un ecclesiastico, il cui ruolo di direttore della comunità ospedaliera laica può aver favorito rapporti armonici con l’autorità vescovile. In questo momento l’ospeda- le è definito alternativamente con tre nomi: è di Sant'Antonio, di Ognissanti, oppure -più popolarmente- di Rodolfo, a seconda che si voglia rimarcarne la dimensione religiosa o l’istanza di solidarietà laica. Nel 1253 il rettore e i confratelli scrivono a Papa Innocenzo IV segnalando di ricevere numerosi malati (non modica multitudo) e tanti bambini abbandonati dalle famiglie. Compare per la prima volta il tema dell’assistenza all’infan- zia, caratterizzante nei tempi a venire in modo forte le competenze dell’ospedale che per una sua intera sezione sarà detto “degli esposti”: bambini lasciati soprattutto da famiglie in difficoltà che non potevano farsene carico. I neonati venivano dati in affido a balie residenti all’esterno e stipendiate affinché li nutrissero col latte, che li avrebbero riportati all’ospedale dopo lo svezzamento. Le notizie relative a queste donne, risalenti però soprattutto ai secoli seguenti, dipingono un affresco di tramee di affetti correlati all’ospedale: vi erano balie sospettate di non aver comu- nicato la morte del bambino in affido per continuare a ricevere il compenso, ve ne erano altresì tante che al termine del periodo di affido non lo volevano restituire ed optavano per l’adozione!*. Il confine fra l’esterno e l’interno della comunità è una maglia lassa, che lascia entrare ed uscire dai suoi varchi. Nell’ospedale vivevano, risiedendovi, tre categorie di persone: i poveri e i malati, residenti temporanei -se non tro- vavano la morte nel cimitero dell’ospedale-; i fanciulli esposti, che dopo il periodo a balia venivano restituiti all’o- spedale per restarvi fino al matrimonio, per le ragazze, o alla collocazione presso una famiglia o un luogo di lavoro per i maschi; i conversi e le converse che costituivano il motore dell’ente medievale e vi risiedevano normalmente fino al termine della vita!. Questa comunità, divisa in due consortia, era guidata da uno dei suoi membri che avesse risieduto lì per almeno cinque anni, eletto dai confratelli maschi. Si entrava nella confraternita a seguito di un preciso rituale di accoglienza che prevedeva i voti di povertà, castità e obbedienza, oltre al lascito testamentario dei propri beni all’ospedale e all’obbligo di residenza interna. Il numero di confratelli previsto all’inizio del Trecento è di 20 uomini e 6 donne!°.

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