MARINETTI - Cucina futurista - 1932
abitudine, quest'altro vizio, quest'altra abbiezio- ne? Liberiamoci anche dalla pasta asciutta, ch'è anch'essa una schiavitù. Che ci gonfia le gana- sce, come a mascherotit da fontana; che ci in- toppa l'esofago, come a tacchini natal iz;i che ci lega le interiora con le sue funi mollose; e ci in-^ chioda alla scranna, repleti e istupidit, i apoplet- tici e sospirant,i con quella sensazione del l ' inu- tilità che, a seconda degli individu, ipuò dar pia- cere o vergogna, ma in ogni caso deve essere aborrita da chi vanti un'anima futurista, o sol- tanto giovine e sveglia. Insomma tu hai capito perfettamente, mio caro Marinett, i i l pericolo e i l disdoro di questo mito dei maccheron:i macaroni che ci han fruttato, al di là de l l ' Al p, i qualche metafora indecorosa. Si diceva, un tempo, che gli spaghetti noi l i man- giassimo con le mani: e forse i l senso della mal- dicenza era che non potessero, da una siffatta golosità, andare disgiunte sciatteria e sudiciume. Poi ci concessero le forchette, forse per avere i l diritto di dire a Ginevra che anche gli Italiani vanno armati fino ai denti : ma gli spaghetti non furono tolti dal nostro quadro folkloristico. Si sa oggi in tutta Europa quante porzioni ne mangi Primo Camera, come nel 1894 si sapeva quante ne divorasse Francesco Crisp.i L' italiano delle allegorie ha pur sempre l 'avida bocca spalancata su un piatto di tagliatelle, quando non sia di ver- micelil colanti sugo lungo le bramose canne. Ed [42]
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