RAJBERTI - Arte di convitare parte seconda - 1937

passano gli anni, ma i mesi restano: e quando dob- biate cambiare, dite piuttosto marzo che maggio, per carità! Insomma, una volta entrati in questi im- pegni, siamo al dilemma: o romperla con una casa e non lasciarsi più vedere, o continuare per tutta la vita a scorgere i zefiri di primavera su di un volto che richiamerà piuttosto la brezzolina d'autunno. Un prete che faccia i l panegirico di un santo, o l'otta- vario dei morti, cambiando chiesa, ha la fortuna di poter sempre predicare le stesse parole ogni anno: e que' suoi scritti possono dirsi una piccola rendita perpetua, una C a r t eal ldel M o n.t e Ma i l povero poe- tastro, condannato a recitar sempre le stesse lodi nella casa istessa, deve continuamente variare sopra un tema già monotono e nullo. E questo sforzo è una fatica da retore così arida, così dura, così dif- ficile, che i l buon senso publico dovrebbe rivoltar- sene per compassione, e condannare i brindisi a perpetuo bando, con apposito e assoluto precetto di Galateo. Voglio citare un fatto che servirà di esempio saluta- re ai fabricatori di versi. Nel 1837 fui invitato pel giorno quattro novembre alla villeggiatura in Cena- no di don Carlo Vi l l a, che vi facea celebrare una testajuola in un suo oratorio, seguita da pranzo. E

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