RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia

L’ ARTE DI ESSER FELICI 133 cumulatore, messo a contatto colle pile, si carica di tutta l’elet­ tricità che queste gli mandano. La conserva e la mantiene accu­ mulata, non lasciandone più uscire che quanto se ne desidera, e permette anzi che la si porti via per adoperarla altrove. Si tratta di trasformare in luce questa forza accumulata? Mediante due fili conduttori, si riannoda semplicemente la lampada che si vuol accendere all’apparecchio, e subito si vede sprigio­ narsi un arco luminoso di uno splendore appena paragonabile a quello d’un raggio solare. Queste lampade a incandescenza di Edison, di Swan, di Lane- Fox, di Maxim, sono, per vero dire, tanti piccoli capolavori di delicatezza e d’ingegno, che da qualche tempo rivaleggiano fra loro nei nostri magazzini, teatri, palazzi, e che domani brilleranno senza dubbio fino nelle nostre più modeste abitazioni. Qualunque sia il sistema, ogni lampada si compone di un filo debolissimo di carbone curvato a forma di U nell’interno di un globo in vetro assolutamente privo d’aria, o pieno, come nella lam­ pada Maxim, di un gas carburato del tutto inadatto alla combu­ stione. Per mezzo di due fili di platino fìssati nel piede della lampada, la corrente arriva all’arco di carbone che si accende subito, e quel tenuissimo filo vegetale calcinato, grosso appena quanto un capello, brucia, rischiara, irraggia in quel modo, ogni volta che passa la corrente, senza consumarsi, durante cinque o seicento ore in media. Con molta intelligenza e gusto, i nostri ingegneri elettricisti Lampade a incandescenza. A B. Bottoni di comunicazione . — C. Fili di ra ;ne p e r suppo rto . — D. Fili di car­ bone . — E. Commutatore.

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