RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia
L’ARTE DI ESSER FELICI 431 stati, perfino distrutti in certi punti dalla pirale, dall’oidio e dalla fillossera; tre volte in pochi anni i vignaiuoli hanno disperato della vigna e tuttavia questa venerabile madre del vino vive ancora, sempre salvata dai parassiti dalla buona natura del suolo dove fu piantata. Tuttavia la vigna, dopo aver tanto sofferto e rischiato di morire nelle nostre provincie, è stata molto coltivata all’estero. In Italia, in Ispagna, in Algeria, sopratutto in America, si cercò di adattarla ai terreni reputati prima i più ingrati, o emen dando i terreni stessi, o piantando ceppi più resistenti e più rustici. In tutte le regioni vinicole del vecchio e del nuovo conti nente ora si fabbrica dunque una certa quantità di vino più o meno naturale, ma il prodotto di queste vigne nuove è ancora ben lontano dal possedere le qualità, le virtù perfette dei vini elaborati dalle vecchie vigne francesi sotto il clima eccezionale che le matura. Se per la coltura della vigna non si procede dappertutto nello stesso modo, dappertutto invece la produzione del vino ri sulta dalle stesse operazioni e dagli stessi fenomeni: lo schiaccia mento preventivo dei grappoli e la consecutiva fermentazione del succo dell’uva. I grappoli, subito dopo la vendemmia, sono ammassati in grandi botti e pigiati da uomini calzati di zoccoli. Un liquido abbondante, il mosto, spiccia sotto questa pressione, e rimane sulle vinaccie finché la fermentazione sviluppandosi faccia salire alla superficie in mezzo alla schiuma i racimoli e le pellicole dell’uva. Queste sostanze sollevate dalle bolle d’acido carbonico costituiscono quello che i vignaiuoli chiamano il cappello. Termi nata l’effervescenza, questo cappello va sotto, e allora si mette il vino in botti dove la fermentazione termina prontamente. È alla massa delle vinacce che il vino deve il suo colore caratteristico.
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