RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia

L ’ARTE DI ESSER FELICI 527 tazze di thè, le sue grosse bacche rosse e le sue rigide foglie spinose, lucide come lame di brunito metallo. Altrove è un tronco d’albero tutto irto di radici tortuose, tutto pieno di caverne e di spaccature, che si porta trionfalmente nel caminetto già acceso e rovente; e la lunga serata trascorre tra la narrazione di racconti meravigliosi, le ciance vivaci, le risate sonore, le castagne arrostite, che si mangiano inaffian- dole con vino generoso. Poi al ritorno dalla messa notturna si ricominciala veglia che l’enorme ceppo di Natale, che cigola e rugge, gettando da’suoi mille fori lunghe fiamme d’azzurro e di porpora, scoppietta, irradia, riscalda, illumina l’ambiente. Il pasto dopo la messa di mezzanotte, la ripresa della veglia, è la conclusione tradizionale e, se vogliamo, lo scioglimento ob­ bligato di ogni buona festa di Natale, cattolica o pagana. Infatti non si può ragionevolmente pretendere che delle brave persone le quali dopo aver assistito ad una cerimonia religiosa rincasano alle due del mattino, abbiano da coricarsi a stomaco digiuno; a maggior ragione devesi dunque concedere tale soddi­ sfazione ai miscredenti i quali, lungi dall’aver passato il loro tempo nel raccoglimento e nella preghiera, si sono affaticati tutta la notte nel cantare, nel ridere, nel danzare, nel correre pei balli e pei teatri. Malauguratamente codesta ripresa della veglia non è per gli scettici che un pretesto di far baldoria, un’occasione di stravizzo e d’orgia, per conseguenza è tu tt’altro che un ristoro igienico. Ove si eccettuino Parigi e le grandi città, ove sulla lista degli alberghi sono inscritte le vivande più scelte e prelibate, in tutti gli altri siti la notte di Natale deve per forza di tradizione fare la sua comparsa trionfale sulla mensa di famiglia, arrosto a puntino e farcito di marroni, quel povero palmipede sì calun­ niato che si chiama l’oca, l’oca dal ventre obeso e dal collo lungo.

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