RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia

L ’ A R T E D I E S S E R . F E L I C I 759 disfare un’ambizione senza limiti, per arrivare ci agitiamo contro gli altri e contro noi stessi, intanto il tempo fugge,la vita passa e ad un tratto, spaventati, ci troviamo colle rughe e coi capelli bianchi. — Come! è già questa la fine! esclamiamo. Ma io non ho vissuto. Non conosco nulla che sia buono e bello nella esistenza. Che ho fatto finora se non penare, patire, piangere e soffrire? Per giungere più presto alla meta che ambivo ho respinto tutto quanto si offriva a me di gradevole e di gentile; gli spensierati piaceri della giovinezza, le pacifiche gioje del focolare, le con­ templazioni della natura, i sorrisi dell’amore! E quello cui ane­ lavo non si effettua e quello che sdegnavo mi sfugge! Orsù, presto, è tempo che viva, che goda anch’io. No, infelice, non è più tempo. L’ora dei piaceri che tu rim­ piangi è passata da un pezzo, è passata per sempre. Il tuo corpo è spossato, il tuo viso è appassito, la tua bocca non ha più denti, i tuoi occhi non hanno più fiamma. Il tuo sangue è senza ardore, il tuo cuore è nauseato. Le tue mani tre­ mano, i tuoi ginocchi si piegano, la tua schiena s’incurva e la tua testa s’inclina. Ti restano appena pochi istanti per riconoscere la tua miseria ed il tuo irreparabile errore, per gemerne e per piangerlo. La terra si apre sotto ai tuoi passi vacillanti, stai per morire. Contentezza e rassegnazione del saggio. — A questa lamentosa agonia dell’ambizioso come è preferibile la fine placida e serena del saggio che si spegne senza rammarichi, colla perfetta coscienza di aver compiuto i suoi doveri, colla consolante idea di aver co­ nosciuto nella vita le brevi gioje insieme alle lunghe pene! Tranquillamente sotto l’ultimo tetto che lo ripara e nell’umile agiatezza che basta ai suoi bisogni senili, egli guarda dall’orlo della tomba compiersi la sua esistenza collo stesso occhio calmo con cui vede dalla soglia della sua dimora la fine di una bella giornata. (

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