RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia

I B I S O G N I D E L L A V I T A mangiato secóndo la mia fame, bevuto secondo la mia sete, amato secondo il mio cuore, agito secondo il mio desiderio? Dopo aver coraggiosamente lavorato, non ho io quasi sempre raccolto il frutto delle mie fatiche? Fortuna e disgrazia, gioja e tristezza, ricchezza e miseria, che cosa vi è di umano che mi sia del tutto ignoto ? Al focolare della mia famiglia ho veduto cre­ scere i miei Agli presso la loro madre soave e coraggiosa. Nelle mie relazioni cogli altri uomini ho ottenuto la loro stima e la loro affezione. Infine ho avuto campo di coltivare la mia mente abbastanza per intravedere le mirabili armonie della natura e per comprendere le grandi opere dell’ingegno umano. Sì, perchè la mia vita dovrebbe ancora prolungarsi? Ad essa non manca più ora che di spegnersi in una morte calma e facile come si chiude con un pacifico sonno la giornata di lavoro. Al di là della morte. — Teoria pessimista. — Annientamento completo dell’essere umano. — Morire, ecco infatti la soluzione naturale e fatale del problema della vita. Ma dopo? C’è l’eterna notte o l’eterna aurora? La notte ed il nulla, dicono alcuni. Il corpo non è che materia organizzata per un tempo definito; passato questo tempo la natura riprende questa materia, la dis­ organizza, la scompone, la sparge in mille altre combinazioni di cui la più perfetta non potrebbe continuare sotto nessun punto di vista l’aggregato umano che riuniva gli stessi elementi in con­ dizioni affatto differenti. L’anima, aggiungono essi, è una semplice emanazione del cer­ vello come la luce elettrica è un’emanazione della pila, e perciò non può sopravivere alla materia. Essa si spegne colla morte dell’organo che la produce, come un orologio cessa di suonare quando il rotismo si ferma. E poi dove andrebbe quest’anima se avesse la facoltà di so­ pravivere? Intorno a noi, alla superfìcie della terra?

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