RENGADE, I bisogni della vita, 1887 copia

L ’ A R T E D I E S S E R F E L I C I 763 Ad ogni istante noi ne risentiremmo la buona o cattiva influenza, e senza dubbio da un pezzo i nostri chimici l’avrebbero scoperta. 0 si aggirerebbe essa come una forza vana e senza mezzi di manifestarsi negli spazii infiniti che separano i mondi? Ai nostri occhi armati dei più forti istrumenti i cieli pajono vuoti e deserti. Separandosi dal suo involucro mortale, andrebbe essa a con­ densarsi nell’ etere, o anche,come qualcuno ha supposto, ad ani­ mare un essere più perfetto sopra un altro pianeta? Ma allora, come nei casi precedenti, disgiunta dall’organo della memoria destinato ad imputridire quaggiù, quest’anima sublimata non si ricorderebbe più di ciò ch’essa è stata sulla terra e questa perdita di ogni ricordo equivarrebbe alla morte assoluta, alla negazione della sopravivenza. Dopo tutto, perchè no? continuano i filosofi pessimisti. Perchè la nostra meschina esistenza non dovrebbe avere per conclusione la morte eterna? Perchè non dovremmo noi ritornare al niente da cui non possiamo negare di essere usciti? Meno di cento anni fa noi non esistevamo in nessun luogo e nulla di quello che doveva esser noi aveva il sospetto della nostra futura nascita. Perchè cent’anni dopo dovremo noi perdurare in qualche luogo? Dove? In quello che non abbiamo coscienza di aver lasciato venendo al mondo ? Del resto, a che servirebbe questo ricominciamento di un’esi­ stenza oltre la tomba? La spaventevole prospettiva di viver sempre è poi preferibile alla rassicurante idea di riposare per sempre? Le ore del sonno nella vita non hanno per tutti uguale dolcezza come le ore della veglia? Sgraziatamente morire non vuol dire riposarsi. Infatti se tutti gli esseri cominciano e finiscono, 'la vita pas­ sando dagli uni agli altri continua e non cessa. Essa è il movi­ mento perpetuo, e più si muove più è attiva.

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