SORBIATTI - La gastronomia moderna - 1871 copia
CAPITOLO DECIMOTERZO. 437 DEGLI A R R O S T I (DES RÓTIS). Quanto agli ar ros t i, ecco alcune osservazioni generali di pratica : 1.° Il tempo voluto per la cottura dell 'arrosto dee propor- zionarsi alla natura delle carni che vengono adoperale. Cosi il bue ed il montone richiedono un grado meno di coltura, mentre in caso diverso restano queste carni troppo spogliate del loro sugo osmazomico. Invece tulle le altre carni debbono essere colle regolarmente a proporzione della loro grossezza, e sempre avvertendo che nè abbiano a stillar sangue in ta- gliarle, nè abbiano a riescir secche od arsiccie. 2.° L'arrosto collo allo spiedo perde meno del suo osma- zoma, e quindi riesce più sapido che non cuocendolo in te- game o in cazzeruola. E necessaria però l'avvertenza di non pungerlo, siccome inopportunamente fanno taluni onde rico- noscerne la col tura. 3.° I grossi pezzi amano d'essere incartocciati con carta bis- unta d'olio o di burro, secondo il genere di cui si traila. Il pollame giovine si fa cuocere lardellalo o no, come aggrada. La selvaggina, come fagiani, beccacce, pernici, ecc., veslesi di una larga sfaldella di lardo e d'un foglio di carta bisunlata. Le quaglie, le beccaccine, i tordi, ecc., si cuociono collo stomaco coperto d'una fella di lardo ed alcune foglie di salvia. La sal- via adoprasi anche cogli uccelletti, i quali debbonsi cuocere a fiamma ardente, salandoli loslo che si saranno rosolali. Del resto, avendo già nei capi precedenti parlalo dei vani generi servibili per l 'arrosto, mi limiterò qui a darne poco più di un elenco generale.
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