LA CUCINA ITALIANA 1930

L A C U C I N A I T A L I A N A " LA TAVOLA MANICARETTI • PIATTI PRELIBATI - CUCINA FOLCLORISTICA • CUCINA CONVIVÍALE Una ricetta d e 1 S e n. ROSSINI TORTA COLORETO Ci scusi l'illustre on. Rossini se abbiamo rive- lato che V« ignoto compositore » — com'egli fìr- pia la ricetta — risponde al... sen. Rossini. I giornalisti commettono sempre indiscrezioni!... Fate la comune pasta frolla usando quelle dosi che sono nello vostro abitudini. Se però volete attenervi alle proporzioni determinate dall'idea- tore della t«rta (dicono le cronache che sia Va- tel maggiordomo di Fouquet che la servì a Luigi XIV), prendete gr. 500 farina ottima qualità e finemente setacciata — gr. 400 burro — gr. 150 zucchero in polvere — raschiatura di mezzo li- mone — poco sale. Fate sul tavolo di marmo la fontana — ponete dentro burro (prima manipolato) — zucchero e raschiatura e il poco sale. —• Impastate delica- tamente aggiungendo quel numero di rossi d'uo- vo sufficienti a rendere l'impasto consistente ma morbido al tatto — non usate acqua nè latte. Spolverate il tavolo di farina e stendete la pa- sta allo spessore di 2-3 millimetri circa — dalla sfoglia ricavate quattro circoli o se vi piace qua- drati e rettangoli di dimensioni scalanti di pochi millimetri. Mettete separatamente su lastra e fate cuocere al calor biondo, fuoco moderato. I Intanto preparate: conserva di marena non troppo dolce, crema alla vainiglia piuttosto so- stenuta ma senza farina, zabaglione al marsala (o se vi piace il forte al cognac o rum) alquanto denso. Porrete la lastra di pasta più grande su porta- torta (legno o cartone) o su piatto adatto. Sten- detevi sopra delicatamente la conserva allo spes- sore di 2 millimetri circa — Su questa l'altra lastra di pasta che per dimensioni segue e su questa la crema e così di seguito — lastra — zabaglione e ultima lastra. Premete molto leggermente il tutto in modo da fare bene aderire lastre e ripieni. Se desiderate fare una torta più ricca e volu- minosa aggiungete altre lastre e altri ripieni (conserva ribes — pas'.a mandorle — cioccolat- to, ecc.). Coprite bene il tutto con ghiaccio, crema e se- minatevi sopra piccoli confettini multicolori (Migliarini) o anche mandorle tagliale a liste- rei le e tostate. Rimettete in forno a dolce calore per raffer- mare la ghiaccia. Naturalmente, prima di distendere la ghiaccia avrete tutto intorno ripulita con coltello taglien- te la torta in modo da dare forma tronco-conica La torta cosi pronta la lascerete in luogo di calore temperato per un paio di giorni da per- mettere àgli strati di ben compenetrarsi e for- mare un tutto morbido e facile al taglio. Tagliate a rettangoli od a spicchi e servite. — Ignoto compositore. Una ricetta di ALCEO TONI I CAPPELLETTI ROMAGNOLI Ricetta ed istruzioni per la composizione dei Cappelletti romagnoli; da non confondersi con quelle inique contraffazioni commerciali che vanno sotto il nome di tortellini alla bolognese. Si prenda un chilogramma di fior di farina, t!i buona qualità e, sul tagliere, si impasti con otto o nove uova fresche. (Impastate e dimena- te vigorosamente con le mani sino a renderla un massello ben levigato e lucido, di una certa soda polposità carnosa. E' questo il primo « tem- po » della « pasta » romagnola in genere, che dai non romagnoli, imitatori volentieri, ma ine- sperti, si compie senza la delicata cura, e ne esce una filaccida liquescente poltiglia, buona per af- figgere manifesti murali). Si divida in due parti l'impasto fatto, e se ne formino due sfoglie sottilissime tirandole, pez- zo per pezzo, col matterello. L'operazione è delicata, che, a non essere guardinghi e pratici, la sfoglia si strappa, si buca, riesce disuguale, a più spessori, e non se ne à costrutto conveniente. Si consiglia, per que- sto, di girare il massello poco a poco, ad ogni leggera spianata di matterello. Da parte, poi, si prepari il « ripieno » con le seguenti sostanze : Un petto di cappone, una piccola braciola di maiale (lonza) rosolate in un tegame o, me- glio assai, ai ferri, con la bragia del ceppo, che dà il calore più conveniente e si può dire odo- rante agli arrosti di carne. Si triti finemente e vi s'aggiungano un ettogrammo di formaggio te- nero e dolce, come la « crescenza » , o lo strac- chino; altrettanti di parmigiano grattuggiato e naturalmente stagionato e del più delicato ed amato profumo, il tuorlo e l 'albume di due uova; la polvere di mezza noce moscata; sale e pepe quanto basti, per avere l'accorta e giu- sta formula del principe della letteratura culi- naria d'Italia: l'Artusi. Si stemperino le uova ed il formaggio, e si mescolino con la carne il parmigiano e i coloniali, sino a formarne un molle impasto. A questo punto si tagli la sfoglia a quadretti di circa 5 centimetri per lato. Su di essi qua- drati, al centro, si deponga una certa quantità di ripieno, presso a poco del volume di una noc- ciola. Si pieghino trasversalmente i quadretti, facendo combaciare le punte ed ottenendo così un triangolo al centro, nel quale resterà chiuso il ripieno. Si prema indi leggermente l 'orlo dei due lati combaciati, badando che il ripieno stesso non rimanga schiacciato e che non possa disperdersi. Si uniscano poi le due estremità del lato piegato in modo da formare come un anello, e si rialzi la terza punta, che, così, farà da tesa a quella specie di cappello che ne uscirà. E il cappelletto è fatto. Ora, si tratta di cuo- cerlo e di condirlo. Se si desidera asciutto, la sua morte naturale, come si dice in Romagna, è col ragù di maiale e va cotto semplicemen- te nell'acqua, con molta acqua. Chi lo preferi- sce altriménti della maniera classica e tradi- zionale del giamo natalizio, Io faccia bollire in un bel paiuolo di brodo di cappone ed anche di manzo che è il « vaglio » per eccellenza dei brodi dall'occhio giallo, intensi, sapidi e profu- mati come favolosi balsami: in quel brodo cioè che, secondo i miei grandi corregionali sensua- lissimi spiritualizzati dei piaceri della tavola, fa risuscitare i morti. Mi sono indugiato in particolari ed in osser- vazioni e parrà ch'io abbia scritto un romanzo. Ma i cappelletti meriterebbero un premio.... ALCEO TONI. ne trovereste di caratteristiche. Ma eccovi inve- ce una ricetta italiana d'un piatto molto in uso nella Savoia dove la vostra cucina è tenuta in grande onore, adattata un po' al gusto francese. Dunque, io prescrivo gli agnolotti: Fate una pasta con farina, un po' di sale, un po ' d'acqua e due uova. A parte preparate un ammorsellato di carne bollita di montone, pre- feribilmente di coscia. Fate cuocere per pochi minuti con burro fresco, un po' di consumato, un pugno di farina, e poi lasciate raffreddare. Dopo aver spianata la vostra pasta col rullo, di- stribuite l 'ammorsellato in tanti mucchietti del volume di un cucchiaino da caffè. Coprite con una seconda foglia di pasta che già avrete pre- parata uguale alla prima e dividete gli agnelot- ti incidendo con un bicchierino da liquore. Così preparati, versateli nel consumato bol- lente e lasciateli cuocere per venti minuti, poi ritirateli e passateli in una scodella di porcel- lana resistente al fuoco con aggiunta di un pez- zo di burro fresco. Spargete su ogni strato di agnelotti gruiera grattugiato con un po' di pe- pe e coprite il tutto di consumato e sugo di car- ne nella proporzione di un terzo di sugo e due terzi di consumato. Poneteli nel forno per tre quarti d'ora o un'ora e poi servite caldo. Vi avverto che la pasta deve essere stata spia- nata col rullo molto sottile: eseguite bene que- sta prescrizione e, nel leccarvi le dita, ricorda- tevi del vostro >- "¡HENRY BORDEAUX. tanti altri hanno la gioia di poter mangiare sen- za economia. E vedete cosa che può parer con- tradittoria : se essi non mangiassero molto, in- numerevoli persone mangerebbero meno. Dunque, vuotare il fagiano, disossando lo sto- maco: riempirlo di fegato d'oca, con pezzetti di tartufi cotti in un vino generoso. Non è proibi- to dar la preferenza al Porto. Far marinare per tre giorni il fagiano nel vi- no (mettiamo Porto) avendo cura che ne sia ri- coperto. Quindi, cuocerlo nella casseruola. Ridurre il vino che ha servito alla marinata, aggiungervi parecchi tartufi: collocar il fagiano su i tartufi e scaldar ancora per dieci minuti. TORDI ALLA POLONESE Quando i vostri tordi sono bene spiumati, poneteli in una casseruola con lardo sciolto, tar- tufi e funghi tagliati; aggiungete cinque o sei cipollette, un mazzetto di droghe aromatiche, animelle di vitello o d'agnello bollite e una fet- ta di prosciutto affumicato. Imbevete con un bicchiere di Champagne (o Barolo) ed un po' di brodo ristretto; salate, pe- pate e lasciate cuocere dolcemente. Dopo cotti, spruzzate i tordi con gocce di li- mone, togliete il mazzetto di droghe aromati- che e la fetta di prosciutto. Quando l'intingolo si è ristretto bene, servite i tordi contornati dal- le animelle che si son cotte insieme. — A. DUMAS, Padre. GLI AGNELOTTI... ITALIANI DI HENRY BORDEAUX Potrei rimandarvi, per trovare una mia ricet- ta, a qualcuna delle mie opere; Le Lac noir — per esempio — o La Petite Mademoiselle dove BRACIOLA DI MANZO ALLA CAMPAGNOLA (dose per sei persone) Prendere 6 braciole di puro magro di un etto ciascuna; ben battute, Preparare il seguente impasto: Una mollica di pane ammorbidito nel latte, 2 uova, parmi- giano, sale, pepe, scorza di limone, un poco di aglio, prosciutto, fare il tutto ben fine, riem- pire le 6 braciole^ un poco di prezzemolo, av- volgerle, fermare le aperture con stecchini, pas- sarle alla farina, metterle in casseruola con ci- polla fine, quando il tutto sarà colorito, levare il grasso e metterci un bicchiere di Chianti e dopo, un poco di salsa di pomodoro. Quando sono cotte servirle con un contorno di taglierini fre- schi, avendo cura di passare la salsa. — EGIDIO BETTINI, capo cuoco del « Palace-hotel » di Fi- renze. STUFATO DELL'« EREMITAGGIO » (Questo piatto scoperto da lui stesso, offriva il filosofo ginevrino ai suoi ospiti alVErmitage). Prendete un chilo di carne di bue, una bella fetta di prosciutto grasso e magro, aggiungete un garetto e un piede di vitello ripulito per la gelatina. Tagliate il prosciutto con una grossa carota ed una cipolla in pezzetti minutissimi; tappezzate con questi il fondo del tegame e po- netevi sopra la carne e il garetto col piede. Versateci due terzi di vino bianco ed un terzo d'acqua affinchè il tutto resti immerso completa- mente. Fate cuocere nel tegame per sei ore a- vendo cura, dopo la terza, di rivoltare bene la carne. Lasciate raffreddare, sgrassate e ripone- te il tutto in un luogo fresco poiché questo stu- fato va servito freddo l'indomani. Allora.... mi direte qualcosa! - J. J. ROUSSEAU. « cibi solidi che convengono meglio, sarà bene (( richiamare alla memoria le norme d'igiene in « merito alla-masticazione; e cioè che se'questa « è fatta accuratamente, avviene che, per merito « della maggiore salivazione, il cibo si digerisce « e si assimila più facilmente; mentre chi masti- « ca in fretta e inghiottisce cibi mal triturati, « forza lo stomaco ad una elaborazione più gra- ie ve, e la digestione riesce laboriosa e pesante » . — Così, l'Artusi. Stabiliti questi princìpi, nei prossimi numeri continueremo a dare le relative spiegazioni (ac- cessibili a tutti) su quelle norme gastronomiche di cui ogni brava madre di famiglia, ogni mas- saia moderna deve impadronirsi per non ricor- rere al medico ad ogni più lieve disturbo della famiglia, e, sopratutto, per prevenire le malattie. Intanto, qualche Ricetta : BUDINO DI SPINACI Cotti, spremuti e ben tritati colla mezzaluna tre etti di spinaci, ponili in una casseruola con un etto di burro e lasciaveli subbollire per un quarto d'Ora: aggiungivi mezzo etto di farina bianca, e, dopo di averla incorporata cogli spi- naci, uniscivi due quintini di panna, mezzo etto di zucchero in polvere ed una presa di sale, tra- mestando forte la massa e lasciandola bollire fi- no a spessezza. Metti il tutto a freddare; poi uni- scivi, sotto continuo rimestamento, cinque tuor- li d'uova, un uovo intero e tre chiare sbattute in fiocca. Versa il soufflé così preparato in uno stampo unto di burro e spolverizzato con bi- scottino o pane grattuggiato, e lasciavelo cuocere a bagnomaria cól testo sopra. — Allo stesso mo- do si prepara il poddingo d'indivia. La Cucina degli stomachi deboli FAGIANO « ALLA CARUSO » Questa ricetta è per pochi, è per coloro che possono spender molto in una pietanza. E si deve appunto ad essi, se l'arte della cucina può arrivare a certi culmini. E poi noi dobbiamo pensare a tutti. Parecchi devono mangiare con economia, ma « Il medico è in cucina cento volte più utile « che non in spezieria. Tutti i cento brodi, i « cento intingoli, le cento bevande che si prepa- « rano dal cuoco- possono farvi un grandissimo « bene, possono prevenire molte malattie e cu- « rame molte altre; possono trasformare uno « scrofoloso in un uomo robusto, una donna pal- « lida e convulsiva in una madre polpacciuta e « rubizza. Sì, signori, la cucina può guarire una « indigestione, una febbre, una tisi. Anche in « spezieria abbiamo qualche buona cosa, ma i « migliori rimedi sono quelli che sanno un poco « della cucina, come il ferro e l 'olio di merluzzo. « In cucina non abbiamo veleni: in spezieria ne « abbiamo molti e di terribili, che possono in « qualche raro caso essere utili, ma che in mol- li tissimì casi posson fare un grandissimo male » . — Così, Paolo Mantegazza. « Non è facile indicare con precisione scien- « tifica quali siano i cibi che più convengono « ad un individuo indebolito dagli anni, dalle « malattie, dagli stravizi o debole per natura, « perchè abbiamo a competere con un viscere ca- «. priccioso qual'è lo stomaco, ed anche perchè ci « sono alcuni che digeriscono con facilità ciò « che ad altri è indigesto. « Partendo dal primo ed unico alimento che « la natura somministra ai mammiferi appena « nati — il latte — si ritiene che di questo si « possa usare ed abusare a piacere se non pro- « duce disturbi gastrici. « Poi passando al brodo, che dev'essere ben « digrassato, il più confacente è quello di pollo, « di castrato e di vitella; ma prima d'indicare i MARMELLATA DEGLI ANGIOLI Prendi, per es., chili 2 e mezzo di pesche, di albicocche, di corniole o simili, e passali allo staccio. — A parte riduci à la petite piume 8 etti di zucchero bagnato con tre bicchieri di acqua in cui sia stata diguazzata una chiara d'uo- vo. Ben ischiumata la chiara, che si coagula colla bollitura, e ben addensato lo sciroppo, gettavi e mescivi insieme la polpa de' frutti e lascia che il tutto bolla ancora per qualche temipo, finché l'umidità se ne vada. Anche queste marmellate ammuffiscono se si coprono con carta o con. ve- scica, e perciò coprile solo con un pannolino. Queste marmellate riescono saporite, più tra- sparenti e meno proclivi a'd ammuffirsi se si pre- parano senz'acqua e con zucchero raffinato in polvere. In tal caso, scelta la specie di frutto e decorticatolo, se fia d'uopo, passalo allo staccio, aggiungivi altrettanto zucchero quanto è il peso della polpa stacciata, e dopo qualche ora di ri- poso fa bollire il tutto a fuoco vivo per cinque o sei minuti. BIANCHETTA DI POLLO Allestito un pollo, taglialo nelle sue giunture a pezzi e mettilo per un quarto d'ora a macerare nell'acqua tiepida, indi per un solo minuto nel- l'acqua bollente. Ciò fatto, togli i pezzi dall'ac- qua e lasciali scolare. Struggi intanto in una cas- seruola mezzo etto di burro e dentro scioglivi un cucchiaio di farina, bagnandola tosto con mez- zo bicchiere di vino di Marsala ed un litro di brodo, ed aggiungendovi verdure di stagione, quattro fette di limone private della loro scorza bianca e dei loro semi, e finalmente i pezzi di pollo. Dopo una cheta bollitura di tre quarti d'ora, posti i pezzi di pollo in un'altra casseruo- la, colavi sopra la salsa facendola passare per uno staccio, e lasciaveli ribollire. Prima di ser- virli gettavi dentro un pizzico di prezzemolo tri- to, e, disposti i pezzi sul piatto, irrorali colla loro salsa, che va concentrata da sola al fuoco se non sarà addensata. OGNI POPOLO HA IL NUTRI- MENTO CHE SI MERITA. Dimim coem man. gi.. e it dòir coem scriiv Rende più felici la scoperta di un nuovo piatto che quella di una nuova stella, ammonisce Bril- lat-Savarin, e — a voler essere sinceri — n e mm e - no un astronomo saprebbe dargli torto. Invece, una pregiudiziale equivoca penetrata in questi ultimi tempi nella mentalità italiana ha posto il Buongustaio sullo stesso piano del go- loso, confondendolo col ghiottone e dandogli tutti gli attributi così poco edificanti di questo. La piova « eterna, maledetta, fredda e greve », c o n la quale Dante punisce nell'Inferno Ciacco fiorentino, prototipo dei golosi, che in vita sua amava frequentare « gentili uomini e ricchi et massimamente quelli che splendidamente man- giavano e bevevano, da' quali, se chiamato era n mangia re v'andava et similmente se invitato non lo era ejso medesimo s'invitava », ha ingiu- stamente investito anche il Buongustaio verso il quale il Divino-P o e t a c e r tamente non intese mi- rare col suo acerbo contrappasso. In Italia, l'ultimo campione, Buongustaio di gran classe, fu Gioacchino Rossini, il quale ai tartufi oltre che al « Barbiere di Siviglia » legò il suo nome ed in vita divise il suo tempo — pro- porzionatamente — f r a i a g p i n e t t a e d fl fornello. Nè Lorenzo Stecchetti, _ venuto dopo il Jar- ro e l'Artusi che pure tentarono di riabilitare la figura del Buongustaio, ripetendo il tentativo con l'autorità che gli derivava dalla fama lette- raria, riuscì — nemmeno lui il buono Olindo bolognese — ad ottenere un risultato. « Avendo scrìtto in vita assai cose inutili ed insulse — diceva — voglio finire con un libro serio, capace di procurarmi qualche gratitudi- ne ». Il canto del cigno del poeta del Canzonie- re e del Postuma fu un'opera di scienza culina- ria, ma la desiderata gratitudine non l 'ebbe da nessuno: poiché il suo atto generoso rimase in- fecondo, il Buongustaio non uscì dall'oblio e la cucina non riebbe le sue vestali.... I Rotary Clubs, appaiono nel nostro tempo, i soli gelosi custodi di una tradizione miscono- sciuta e non inutile, della tradizione del Buon- gustaio e della cucina italiana, antica quanto il tempo. Abbiamo detto « tradizione » . Da Archestrato siciliano che all'epoca di Ales- sandro Magno mosse verso la Grecia alla ricerca di cibi migliori e li cantò in un poema, ad Api- cio, immortale autore di un magistrale « Manua- le di Gastronomia » , opera che oggi toglie dal- l 'oblio Paolo Buzzi traducendola dal latino per la « Collezione Romana » dell'Istituto Editoriale Italiano; dalle donne romane che della cucina, si può dire, avevano Un culto — ed era questo uno dei supporti della famiglia nell'antica Roma 1 — alle principesse di casa Medici che con i pre- libati manicaretti della cucina toscana conqui- stavano il cuore dei francesi, attraverso lo sto- maco dei ghiotti cavalieri, con maggior successo forse dei loro congiunti guerrieri.... ^ Decadde in Italia la cucina dappoiché il fa- natismo snobistico del dopo -guerra creò una ine- splicabile antitesi fra « dama moderna » e « mas- saia moderna ». * * * Sempre, poi, in ogni tempo ed in ogni paese, la gastronomia e le lettere furono legate da stret- ti rapporti : da Cadmo che introdusse nella Gre- cia l 'arte della scrittura (ed era un cuoco) a Dumas che delle sue ricette e dei suoi romanzi andava parimenti orgoglioso; in tutti gli scrittori, lo stile riflette il gusto e le preferenze culinarie. Prendiamo, per esempio, Hugo e Rousseau : al primo non importava se i piatti della sua tavola non erano abbondanti purché vi fosse maggior numero d'ingredienti. Hugo, secondo quanto narra Teofilo C;m- thier, preparava favolosi miscugli di cotolet- te, di carciofi all'olio, di carne con salsa pic- cante, frittate, prosciutto, caffelatte e formag- gi diversi, che poi degustava saporosamente. Ed un parente del grande poeta dichiarava che, al- lorché Hugo mangiava l'aragosta, ingoiava pure i residui del guscio, come divorava i mandarini intieri senza sbucciarli. Questo disordine, questa bulimìa, questo pan- tagruelismo, questo regime quasi « torrenziale », non ci rende forse l'immagine del suo genio fre- netico che rovescia le sue metafore in un irre- sistibile Niagara di parole con un flusso caotico e splendido? Vediamo il Rousseau: Benché in qualche parte delle sue Confessio- ni, abbia scritto contro i ghiottoni, uno di questi era, invero, proprio lui. Sarebbe inutile chiedersi il perchè di tanta incoerenza, poiché è ben noto il carattere insta- bile del grande ginevrino. Che cosa amava dunque Rousseau? Piatti ab- bondanti e sani, cosciotti, arrosti, legumi, sel- vaggina, e tutto preparato con semplicità ade- guata all'uomo della natura quale egli voleva es- sere. Le preferenze culinarie del Rousseau ce le in- dica il Faguet, il quale osserva che se il Grande rimase per ben trentacinque anni presso M.lle La Vasseur, donna sciocca, laida, stizzosa, ciò potè avvenire perchè quest'amante sapeva pre- parare bene un pranzo. Si è detto che la La Vas- seur non aveva nessuna qualità; ma per il gine- vrino ne aveva due: era illetterata e buona cu- ciniera: qualità queste, tanto necessarie per ren- dere felice Un filosofo e chissà, se a Santippe non fosse mancata addirittura la seconda, per la vita tranquilla che avrebbe potuto trascorrere quanto sarebbe stata amara a Socratè la cicuta... Rousseau aveva in orrore la donna istruita — e la sua Sofia ne è la testimonianza — ed era ghiotto. — Mi ricordo degli eccellenti pasti fatti a Mo- thiér presso Gian Giacomo, narra un altro suo biografo, tête à tète con Ini: la cucina era sem- plice,-com'egli la preferiva ; succolenti legumi, cosciotti d'agnello imbottiti di timo e d'altri aro- < mediografi, artisti e uomini politici contempo- mi selvatici, arrosti ben cotti. Il fiumicello che, ranei quali siano le ricette dei piatti da essi scorreva lì vicino ci forniva le trote nella sta- j preferiti. Da quelle che viene pubblicando man gione della caccia ed io non ho mangiato mai a Parigi quaglie e beccacce così squisite come quelle che mi faceva l'amico nel suo eremitag- gio » . A questa nostra deduzione bisogna acco- stare la constatazione del Deputato Gerard, Sin- daco di Digione, che affermò solennemente nel corso di un banchetto non essergli capitata al- cuna causa per divorzio in una famiglia dove la sposa era una buona cuoca... Controprova : Gli Stati Uniti, il paese del mondo dove si mangia peggio, dove si consuma la maggiore quantità delle più svariate conserve in scatola, fino al punto che l'America del Nord impiega 150 mila tonnellate di stagno all'anno — oltre alla forte quantità di prodotti importati — per la preparazione delle scatolette, gli Stati Uniti dove le donne, in maggioranza, ignorano l'arte di cucinare, non sono forse il paese dove si divor- zia di più? Tornando a rapporti fra scrittori e cucina — (due ragioni ovvie ci consigliano di esemplifi- care con i francesi) — lo stile, vigoroso ad al- tèro del Bossuet come il suo pensiero acuto, non ricordano forse le virtù di quel generoso vino di Borgogna di cui egli tanto amava il co- lore smeraldico, lo spirito, la nobiltà e l'aroma sublime? Fénelon, di contro, non beveva che acqua: e m a „ „ t J- io ™ „„Joiicmn Incette eccezionali che si vengono a mano a mano da ciò attinse la sua mollezza, il quietismo, ìoj j,j,]'cando "* • In ognuna mano, si riscontra in ognuna qualcosa dell'arti- sta, vorremmo dire: tutto. Molti sono stati gl'interpellati chc non han- no potuto inviare una ricetta vera e propria, data la frugalità dei loro pasti. Così, dice simpaticamente con la sua solita ' schietta semplicità il Redattore-Capo del Po- polo d'Italia Sandro Giuliani: « I o sono un po- vero diavolo che nella giovinezza travagliata ha sempre mangiato, con inaudita voracità, mol- to pane e poco companatico. Oggi mangio spes- so ancora molto pane, che amo condire, quand'é possibile, con dell'ottimo vino italiano. Il pa- ne — specialmente il buon pane che sanno fare le nostre buone massaie — ha sempre costituito la mia predilezione ». Ed il Senatore Casertano, dolendosi di non poter dare una « ricetta » perchè — dice — in vita sua non si è mai occupato di combinare per sè o per altri un piatto qualsiasi, pur aman- do la buona cucina, così confessa il suo gu- sto: « Amo le uova, comunque fatte, e princi- palmente amo un prodotto essenzialmente na- poletano, quale le mozzarelle che, mariifattu- rate col latte di bufala, crude, o cctte, al te- game o allo spiedo, sono un cibo leggiero, aro-" matico, nutriente, superiore per me a qualun que pizzaiola ». ~ Senza continuare nella citazione di numero- sissime altre risposte, rimandiamo i lettori àlle spirito chimerico, quella mancanza di carattere che fece dire a Lemaitre: Un cieco Apollo ti fe' cigno e biscia... « Dimmi come mangi e ti dirò chi sei » — scrisse Brillat-Savarin : ed il Mercante de «L'Ita- lia Letteraria» così volse — di piena ragione di- ciamo noi — l'aforismo : «Dimmi come mangi e ti dirò come scrivi ». La Cucina Italiana ha voluto controllare que- sta teoria chiedendo a letterati, scrittori, coni- c'è l'uomo, il suo stile d'arte e di vita. E non c'è forse tutto ciò anche nella risposta di quell'illustre Senatore che scriveva di non po- ter aderire all'invito perchè... non gradirebbe di essere in compagnia di Josephine Baker neppure in un giornale di cucina? Brillat-Savarin, ci sembra, aveva proprio ra- t, Franco de Acazio gì Olle!

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