LA CUCINA ITALIANA 1931
• ICA'I f . / N. 4 - 15 Aprile 1931. LA C U C I NA I T A L I A N A ! MANICARETTI - -PIATTI PRELIBATI - CUCINA FOLCLORISTA - CUCINA CONVIVIALE Alle ricette delle donne dia rifulgono per nobiltà di censo e di blasone, si aggiun- gono oggi quelle di elette rap- presentanti delV aristocrazia \ dell' ingegno, le quali conti- nuano la serie mirabilmente iniziata nei Primi numeri de La C u c i n a I t a l i a n a (con arti- coli o ricette a suo tempo [ pubblicati di Ada Negri, Mar- gherita Surf atti, Contessa E- lena Morozzo della Rocca, Ester Lombardo, Carola Pro- esperi, Benedetta, ecc.). UNA RICETTA Dì MA&CO POGGIO GATOME DETTO IL CENSORE, TRASCRITTA E ANNOTATA DA L A U M O R V I E TO Lei, cara Delia, ha un bel nome e Una buona fama e fra le sue bell'opere /a un'altra opera santa: quella di inse- i Piare die donne d'Italia a mantenere la Pace in casa. La pace di casa non è meno difficile da mantenere della pace fra nazioni, e lo vediamo. Ed è fatta, \ c °nie quella, di mille piccole cose, e /'"a queste vi è il cibo quotidiano. Af- fidata, quindi, anche alle mani della Massaia attraverso a quelle della cuo- Cct : e tanto più se le mani appartengo- n ° poi tutte alla stessa persona. Man- ' S®ar bene mette la gente di buon u- ; "¿ore, e noi tutte « cape » di. casa ne Oppiamo qualche cosa. C'è un po' di Nuvolo nell'aria: questo arriva stanco, quell'altro ha avuto delle seccature; 1 "R niente basterebbe a far scoppiare I u n temporale. Ma la massaia è alle- gra, pensa al suo pranzetto che per fortuna quel giorno è ben combinato i e ben riuscito; uno dice qualcosa di spiritoso, quell'altro ride... 0 il tem- porale è scongiurato. Il buon mangia- re ha fatto il miracolo. I Miracoli che succedono spesso, gra- [ zie att'intelligente operosità delle no' ' * tT *i mannaie. Ma succede anche il ro- l 'escio; succede che qualche volta nel- h' famiglie più tranquille, in giornate di sole, un arrosto bruciato o una ri- petizione troppo frequente dello stesso F '-ì&o faccia scoppiare perfino dei ful- mini a cielo sereno. E questo non do- \ irebbe più aacadère, oggi, [chp dopo land, e buoni, buonissimi anzi, libri : di cucina, appare perfino il giornale specializzato, La Cucina Italiana, a in- segnare non' so quante pietanze nuove e belle, economiche e buone. Econo- | miche e buone tutt'insieme, perchè ; °Sgi, e lo dimostra l'esito trionfale del ! concorso delle settanta lire, oggi una , Massaia attenta e intelligente può nu- \ tr itsi e nutrire bene suo marito e i j s Uoi figlioli con una spesa rélativamen" 'e piccola, e una fatica relativamente Codesta. Più faticavano le massaie dei tempi antichi, Non gas, nemmeno un forno avevano : non conoscevano lo zuc- chero, e neppure la grattugia! Sicché per fare una torta, anzi la torta di mezzo maggio... La ricetta l'abbiamo nientemeno che da Catone, anzi da Catone il Censore, ma se dovessi tra- scriverla come la dà lui nel suo libro Dell'Agricoltura, sarebbe un po' diffi- cile riuscire a capirla, e — per « La Cucina Italiana » — la riduco a modo mio. COME SI FA LA TORTA DI MEZZO MAGGIO Per fare la torta di mezzo maggio ci vogliono otto libbre di farina, 14 libbre di cacio pecorino, 4 libbre e mezzo di miele, e delle foglie d'allo- ro, oltre a un po' d'olio. Con 4 libbre di farina e accqua, (niente ova, ma ricordatevi che la ri- cetta la dà Catone il Censore, il quale non voleva sprechi), si fa, nel mortaio, una pasta, che si riduce poi a strati sottili. Con le altre 2 libbre di farina, e col cacio pecorino, (che non sia aci- do, che sia fresco, e messo in acqua), si fa una pasta; questa pasta si lascia asciugare, si mette in mortaio asciutto, e si tritura quanto si può. (La Cucina Italiana direbbe più semplicemente che si gratta, ma Catone il Censore non aveva mai visto una grattugia). E non basta triturare l'impasto in- durito, ma bisogna anche farlo passare allo staccio. Poi si aggiunge il miele, e si mescola ben bene. Adesso abbia- mo pronte le sfoglie e l'impasto : si tratta di mettere tutto insieme nella terriera, (la quale è una tavola adatta, che abbia un piede per lato). Prima di tutto bisognerà foderare questa tavola adatta, ossia tortiera, con foglie d'allo- ro unte con olio, poi sovrapporre a queste foglie uno strato di pasta; fare insomma il rivestimento della torta. Si disporranno poi a strati il composto di cacio farina e miele, e le sfoglie di pasta già preparate, finché se ne ab- biano, avendo cura che l'ultimo strato sia di pasta. Ecco che la torta è finita di fare, ma bisogna cuocerla. Disponi un fuoco lento, temperato; e quando il mattone sarà caldo ponivi sopra la tor- ta, e ricoprila di un coperchio caldo, e tutto intorno poni brace. Cucina primitiva, questa! Quando la torta sarà cotta, togli dal fuoco, e a- spergi del miele. Questa è la torta di mezzo maggio. Cucina e ricetta primitive, che faran- no apprezzare tanto più alle nostre mas- saie le comodità delle quali godono, con risparmio di tempo e di fatica, e con possibilità di resultati quali anti- camente non sarebbero stati possibili nè immaginabili. Zucchero, forno, gas, grattugia! Cose, queste, che avrebbero fatto arricciare il naso dell'autore, o meglio raccoglitore, della ricetta della torta di mezzo maggio, a lui che man- giava e vestiva più che semplicemente, rifuggiva da ogni novità, e qualunque eleganza gli pareva corruzione. Pure io credo che, non lo zucchero e la grat- tugia, certo La Cucina Italiana l'avreb- be: approvata, come quel giornale che insegna alle donne a occuparsi della casa e dei suoi pasti quotidiani, e a risparmiare tempo e fatica, ottenen- do buoni resultati per la salute, per la tasca e per la moralità della famiglia. Avrebbe approvato, certo, anche il con- corso delle settanta lire, e anzi credo che ci avrebbe partecipato. Sarebbe stato, io credo, uno del 3600 concorrenti. Avreb- be seguito con ansia, io credo, tutte le, vicende del concorso. Ma il difficile sa- rebbe stato, per lui, vincere il premio. — LAURA ORVIETO. Una ricetta di RADA C O R R I E R I J A G O N I S (Brillante giornalista e scrittrice apprezzala, collabora in riviste, pubblica novelle e al- tri scritti, sempre seguila da calda ammirazio- ne per il suo stile, per l'acutezza delle sue esposizioni originali e interessanti). CROSTINI DI FEGATINI DI POLLO Si prende: Fegatini, capperi, rosma- rino e si passa tutto alla macchina; Olio e aglio sano (che poi si leva all'ultimo momento). Si mette al fuoco tutto insieme aven- do aggiunto sale e pepe. Si lascia insaporire. Se riesce troppo asciutto si aggiunge un pochino di bro- do. Si spalma su crostini di pane to- stato. Si p o s s o n o servire caldi o freddi. — RADA GORKIERI-JACONÌS. Due ricette di MARINELLA LODI Oltre ad aver preso dai suoi genitori (Luigi Lodi: il Saraceno e Olga Lodi-. Febea) le altissinte qualità giornalistiche — (collabora al Giornale d'Italia, al Messaggero, alla Tri- buna e a Donna) — ne ha ereditato il forte e agile ingegno, rivelatosi in romanzi ammirati di cui il suo primo : « L'amore è inutile » ebbe unanime successo di critica e di pubblico). FUNGHI ALLE ERBETTE Scegliete il ceppo di quei funghi l a cui carne o polpa sia consistente e pro- fumata. Levate i tubi del cappello, parte che si distacca facilmente come i peli del carciofo col quale ha rassomi- glianza. Sopprimete egualmente il pedi- eiuolo, ponendo in disparte quelli che sono consistenti e pieni. Lasciateli ma- rinare per qualche tempo nell'olio con sale e pepe. Fateli poi cuocere sul piat- to o nella tortiera con burro fresco, cipolline, cipolle, scalogne, prezzemolo, serpentaria, tagliati minuti. Aggiunge- te pepe grosso, sale, copertura di pane e servite. ZUPPA ALLE PUNTE DI ASPARAGI Prendete delle punte di asparagi; ta- gliatele in modo che non oltrepassino i due centimetri di lunghezza; fatele im- bianchire nell'acqua e bollire in se- guito dieci minuti nel brodo grasso. Prima di servire versate il tutto so- pra crostini di pane fritti nel burro. — MARINELLA LODI. Due ricette di • R O S S A N A (Altra giornalista apprezzata e scrittrice di novelle e drammi. Si rammentano di lei lo- devoli articoli di appassionato interesse e di utili segnalazioni,, conseguenza di una sua visita ai Reclusori femminili'). AGNELLO ARROSTO Prendere un buon cosciotto d'agnel- lo del peso di un klo e mezzo. Asciu- gaterlo pulirlo con un panno di buca- to senza bagnarlo. Ogni pochi centi- metri del coscio fare un buco. Intro- durvi del burro fresco sale e una fo- glia di salvia. Nela parte della costata e rognone mettere burro buono, salvia e sale, poi chiudere con le costerelle stesse. Un- gere il tutto con burro, cospargerlo di sale fino e salvia polverizzata. Metter- lo in un testo di rame ben stagnato. Aggiungasi patate di piccola grandez- za, ben salate e con qualche fogliolina di salvia. Il tutto al forno ben caldo, ma non eccessivo, dopo un'ora avrete un'arrosto squisito e delicato. FAGIUOLI CON LE. COTICHE PER STOMACO DELICATO Mettere i fagioli ben lavati a bagno la sera. La mattina dopo gettare qeul- l'acqua metterne della nuova, aggiun- gervi una grossa cipolla con qualche chiodo di garofano infisso. Per cuo- cere a fuoco lento senza fretta. Sem- pre la sera prima preparare le cotiche ben rascEìate pulite e senza peli. Te- nerle a bagno la notte. La mattina far- le bollire fino a cottura completa. Get- tare via il brodo passarle all'acqua fre- sca, poi tagliarle a piccolissimi dadi quadrati. Cotti i fagioli passarli allo staccio con pazienza fino a spremerne tutta la parte attaccata alla scorza. Passare allo staccio anche la grossa cipolla. Diluire il purè con l'acqua stessa dei fagioli, aggiungervi i quadratini di co- tica, far bollire il tutto per un'ora a fuoco lento col sale necessario e un buon pezzo di burro. Preparare dei quadratini fritti di pane nero e ser- vire ben caldo, sul quale verrà versata al minestra di spessore giusto. — ROS- SANA. Tre ricette di P I N A BALLAR IO (La nostra valorosa collaboratrice che, olire a distinguersi nel giornalismo è, come ognuno sa, anche l'apprezzata autrice di novelle e ro- manzi. INVOLTINI DI PROSCIUTTO ALL'ARDUINA Arduina, l'eroina di — Io t'insegno l'amore — prima di valicare l'Atlantico ha fatto colazione con questi squisitis- simi involtini che darebbero ali a un bruco. E per ammanirli bisogna passare al- lo staccio un etto di buona ricotta, un etto di tonno, mescolarli a un tuorlo d'uovo e involgere il composto in belle fette di prosciutto crudo. Chi volesse render più piccante il composto non avrebbe che a unire una acciuga e un pugno di capperi o di sótt'aceti. Chi volesse offrire gli involtini col tè, non avrebbe che a introdurre nel- l'involto un bel grissino, o arrotolarvi intorno il prosciutto stretto stretto in modo che il grissino funzionasse da manico. CARDI O PEPERONI CON — BAGNA CAUDA — ALLA SCIATORA Per dirigere quésto piatto della vec- chia cucina piemontese occorre per lo meno sciare quattro ore, ecco l'origine del nome. Ma è eccellente. Preparare a parte i cardi o i pepero- naturalmente crudi. Portatevi a tavola una macchinetta, ad alcool, ponete sul- la fiamma un pentolino, nel pentolino buttate una cucchiaiata d'olio con un po' di burro, soffriggetevi una dozzi- na di spicchi d'aglio affettati, tre o quattro acciughe ben pulite e priva- te delle lische, aggiungete una tazzina d'acqua e lasciate bollire. Quando la salsa comincerà a conden- sarsi abbassate la fiamma e mangiare in- tingendo cardi o peperoni in questa delizia, poi uscite a sciare... ma non baciate nessuno. TARTUFI ALLA MARCHESA DI SABLÈ Prendete mezzo kg. di castagne sec- che, ammollatele, cuocetele, passatele allo staccio: passate che siano unite un tuorlo d'uovo, un cucchiaio di li- quore che vi piace, zucchero quanto basta per addolcirle, una nocciola di burro, impastate, fatene pallottole gros- se come noci, nel centro di ognuna in- troducete una ciliegia candita, e pas- satel le nel cacao o nello zucchero. Chi mangia questi tartufi ne avvantaggia di stomaco... e di borsa. — PINA BAL- LARIO. Una ricetta di SIBILLA ALERAMO Ed infine daremo una ricetta della squisita autrice di Endimione. Della quale, proprio in questi giorni l'editore Mondadori (dopo la pubblicazione di Gioie d'occasione) ha dato la ristampa di quel Romanzo, che la rese ce- lebre ancor giovanissima : «Una Donna». PERE liI ENDIMIONE Prendere una bella pera, ben matu- ra e butirrosa, e metterla a macerare per tre giorni in acqua di rose, con 15 grammi di bacche di ginepro e qual- che foglia d'alloro. Estratta la pera, la si lascia asciugare, indi la si pone nel forno, finché la buccia sia perfetta- mente dorata, la si toglie, la si spruz- za leggermente di zucchero e di al- cool, si dà fuoco e si serve fiammeg- giante. — SIBILLA ALERAMO. Negli esaurimenti nervosi lo stomaco ha bisogno di un ali- mento leggero e ipernutrien- te.La pastina glutinata BUI- TONI è l'alimento che ha per eccellenza tali requisiti. ¡Pag. 5 Una colazeion princiapesc E' capitata qui, giunta da Bologna, S. A. R. l'Infanta Eulalia della Casa Regnante di Spagna, accompagnata da S. E. Emanuell Carrosco, Rettore del Collegio di Spagna, di Bologna, e da alcune dame di Corte. Lieto di far cosa grata alle lettrici duella nostra « Cucina », invio la lista della colazione intima da me preparata all'lbergo « Royal » : Briquets de Caviar Croûte de macaronis Poisson frit à l'Emilienne Suprêmes de Volailles au truffes Petits pois au beurre Crêpes Snzette Salade de fruits Dessert BASTONCINI DI CAVIALE. — Coll'aiuto di un tagliapaste a rotella si tagliano, da una pasta sfagliata, delle piccole liste larghe 1 centimetro e lun- ghe 5, si stendano sopra una placca e si indorano con dell'uovo sbattuto, cuocere al forno e tagliarle in seguito a metà per tutta la sua lunghezza; stendervi un composto di caviale e burro bene amal- gamato nel mezzo e ricongiungere le sfogliatine. Servire in corona con un bel ciuffo di prezzemolo fresco nel cen- tro. CROSTATA DI MACCHERONI. — Si prepari una pasta, frolla coi se- guenti quantitativi; 500 gr. di fior di farina; 325 gr. burro; 200 gr. zucche- ro; 4 tuorli d'uovo; 1 uovo intero — gusto, buccia di limone. Si copra internamente una* tortiera d'i circa 30 cm. di diametro riempire di maccheroni passati al burro, formaggio ©' qualche mescolo di besciamella, nel centro adagiare un intingolo di animel- le, filoni, e regaglie di pollo coprire colla pasta rimasta, indi chiudere con un foglio di pasta frolla alcune decorazio- ni sopra a capriccio e cuocerla a for- no moderato per circa 30 minuti. PESCE FRITTO ALL'EMILIANA. — Varietà di pesce fritto all'olio servito ben dorato con prezzemolo fritto pure e limoni tagliati in diverse foggie. SUPREME DI POLLO AI TAR- TUFI. — Si levino i petti ad alcuni pol- li lasciando l'ossicino dell'ala tanto che al momento di servire vi si possa in- trodurre una « papilliotte » si colori- scano leggermente al burro, sgrassarle con del Madera finissimo, aggiungere dei ritagli di tartufi e lasciarli cuoce- re unendovi qualche carcame di pollo precedentemente rosolato. Cotti che sia- no ritirarli e passare la salsa allo stac- cio di crine. Servire con fondi di car- ciofi ripieni di funghi tritati, alcune fettine di tartufo sopra ogni suprema salsare e servire ben caldo. I piselli in legumiera a parte. FRITTATINE SUSETTA. — Con 250 gr. farina; 1/2 litro di latte; 100 gr. zucchero; 100 gr. di burro; 4 uova intere si otterrà un composto piuttosto liquido col quale si faranno diverse frit- tatine sottilissime ciascuna verrà spalma- ta di confettura d'arancio e arrotolata disposte poi sopra un piatto d'argento (o di metallo) spolverizzate di zucchero e qualche goccia di Curaçao, passarle alla salamandra finché lo zucchero co- mincia a caramellare indi servirli. — ANDREA VERGANI, Capocuoco - Royal Hôtel San Marco - Ravenna. ne aveva visto di tutti i colori — quan- do stanco, vecchio, triste rievoca la Cor- te di Luigi XVI, scrive: « — Chi non ha vissuto prima della Rivoluzione, ignora la gioia di vivere. Come eravamo fanciulli, tranquilli e fe- lici! 7» E allora? Di tutto quel buon tempo non ri- mane ormai che un ricordo vago; ma ci rimane il ricordo dell'ultimo pranzo di Corte... Madame Campan ci ha trasmesso pro- prio il Menu dell'ultimo pranzo che fu servito a Luigi XVI al « Trianon ». Es- so è un po' effarant, ma è interessante. Ascoltatelo : « Quatre Potages. Deux Grandes En- trées, dont une pièce de boeuf aux. choux, et une longe de veau à la bro- che. Seize Petites Entrées: pâtées, cô- telettes, tète de veau, poulets, cochon de lait à la broche, volaille, abatis, cari ré de mouton, dindon, riz-de-veau, ca- neton, poularde, blanquette. Quatre Fiors d'Ouvré: filets de lamperuux, veau broché, consommé de jarret, din- donneau froid. Six plat de nôt: poulet, chapon, levraut, lapereau, perdreau,, dindonneau. Deux Entremets : du jam- bon de Westphalie et un buisson de brioche. Seize petites entremets, com- prenant des légumes, des oeufs, de la crème, des oeufs pochés au jus, des con- fitures, des pâtisseries ». Come si vede, in quel tempo eì aveva quello che comunemente si dice « una buona forchetta ». Ma, ahimè, sono gB ultimi momenti. Viene subito, fulminea e terribile, la Rivoluzione; e quando il nembo è pas- sato, si aprono i primi Restaurants... Da allora comincia un'era nuova; l'èra del gastricismo!... ALFREDO R « • ® " G r a n C o p e r t o , , - L ' u l t i m o " m e n u , , d i L u i g i X V I Le lettrici della Cucina Italiana si so- no certo commosse alla tragica fine del famoso Vatel, descritta con inenarrabi- le grazia da Madame de Sévigné e ma- i'nificamente tradotta per la Cucina nel ''liniero di gennaio dalla più illustre e più celebre scrittrice contemporanea proprio in questi giorni solennemen- te onorata — : Ada Negri! Sta bene per la bella lettera; ma si ha torto di fare del Vatel un martire della Cucina. Pensate: qual'è il Maestro di Bocca che in simili circostanze, mancando un piatto, non sarebbe stato capace di im- provvisarne un altro, avendo tutte le immense risorse che teneva a sua di- sposizione il Grand Condé per poter flatter il Sovrano? È precisamente nel cimento che le anime di eccezione si Manifestano!... Invece, che fa il Vatel in quest'ora decisiva, in cui può salva- fe l'onore gastronomico del suo padro- ne? Niente di buono, nè per sé, né per Cucina... Rinuncia alla lotta. Diser- ta. Si chiude nella sua camera. Bisognò c he salvasse la « situazione » Gourville l'intendente del Grand Condé — fa- cendo una ecatombe di oiseaux d'eau. E allora? Allora la sostituzione fu trovata felice e il pranzo delizioso. Bra V o Gourville! Maurice des Ombiaux, scrittore assai sereno, ci parla senza be- nevolenza alcuna del Vatel. Ha ragio- ne da vendere. Anche Paul Reboux di- C e che il solo nome che avrebbe dovu- t o passare alla posterità, avrebbe dovu- to essere quello di Gourville. Invece, no. La gloria non ricorda che il nome di Vatel, il quale, dopo tutto, fu un de- bole, che ha mancato di immaginazione e di carattere. Ingiustizie della Storia... Ma la Cuci- na ci è avvezza. Ricordate? Il Duca di Montmorency crea il Pollo alle Cilie- ge. Richelieu battezza una salsa origi- nale. Ma non si è poi d accordo sul no- me di battesimo... Fu essa mahonnaise in onore di Port Mahon? Manionaise, perchè fatta di uova maniés? Moyeu- naise perchè ha per elemento princi- pale il « giallo » che fa centro dell'uo- vo, come il moyeu (mozzo) fa centro di una ruota di carretta? E chi lo.sa? ! . ,. Sentite: un certo giorno il Marescial- lo di Luxembourg dà un gran festino. Il Menu comporta una fricassèe de pou- lette à l'ivoire, cioè in salsa bianca. Im- provvisamente, il Maresciallo deve al- zarsi da tavola in gran fretta: lo chia- ma il Re. Si ordina ai commensali di proseguire il pranzo. Ma, mancando l'o- spite,"cessa l'allegria e molti piatti ri- tornano intatti nelle cucine. Verso la mezzanotte, il Maresciallo ritorna a Pa- lazzo: è affamato. Ordina gli si serva « quello che c'è ». Chaufroid ( C.h.a.u. f.r.o.i.x.), il suo ufficiale di Bocca, gli r e c a intatta — la Fricassèe de pou- let à l'ivoire. È trovata deliziosa. Qual- che giorno dopo, si fa iscrivere sul Me- nu un volatile preparato in tal manie- ra. L'Ufficiale di Bocca, l'intitola « re froidi » de volaillé ; ma il Maresciallo, volendo fare onore a questo artista del- la Cucina, esige sia cambiato il nome e vuole che si scriva : « Chaufroix » de volaillé. Oggi questo piatto, assai noto, si chiama Chaud-froid, come si trattas- se del nome di una malattia... Ecco co- me l'Infortunalo Monsignor Chaufroix non conobbe che una gloria effimera... Non soltanto per le pietanze, la Sto- ria cade in fallo o in dimenticanza; ma anche — e qui la cosa diventa seria- mente gl'ave — per il Cerimoniale. Di- venta grave, perchè tutta quella forma- listica etichetta darà prima agli Enei ne, verifica i tovaglioli, il cucchiaio, la forchetta, il coltello e lo stuzzicaden- ti di Sua Maestà. Dopo di che, Yannunciatore ritorna alla Sala delle Guardie a battendo an- cora tre colpi, grida: — Signori, alla Carne del Re! Il pranzo si chiama così: è un piatto di carne che viene scortato:... Esso giun- ge accompagnato da tre guardie del coi-' clopedisti e poscia ai' Tribuni della Ri- Po e preceduto dal Maestro di Casa, che voluzione, argomento serio di avversio- porta un bastone guarnito di argento ne tenace e furibonda. Tale insomma dorato, ed è seguito dagli Ufficiali di da essere ritenuta accusa formidabile Bocca e dal Gentiluomo Servente. Tut- per... la palingenesi storica. | ti, al loro passaggio nelle sale, pronta * » mente si alzano... Allorché il primo « servizio » è in ta- vola, arriva il Re. E qui bisogna lasciar addirittura la parola al Conte di Varo- quier, il quale cosi riferisce (nello Sta- to generale della Francia del 1789) la cerimonia del « Gran Coperto » : Sua Maestà, essendo arrivata a ta- Diamo un'occhiata alla tavola del XVIII secolo. La Dispensa, la Cantina, la Panette- ria, la Cucina fine, la Cucina Ordina- ria, la Frutteria, la Legnaia formavano, come è noto, i sette uffici della « Bocca del Re ». Tutti dipendevano, per l'an- damento, da un primo Maestro di Casa, vola, il Maestro di Casa presenta al Re chiamato addirittura Gran Maestro di il tovagliolo bagnato per lavarsi, di cui Francia. Da ciò si comprende come la ha fatto la prova all'Ufficiale del Bic- Bocca occupasse — all'ultimo Luigi — ! chiere. Colui che serve da coppiere, gri- im posto assai eminente nella Casa del I da ad alta voce, non appena il Re ha j chiesto da bere : « — Da bere per il Assai interessanti sono le descrizio- ! Re! - » . F a la riverenza a Sua Mae- ni che gli storici del tempo ci lasciaro- ; sta, va alla credenza a prendere dalle no sul « Gran Coperto » , cioè il pran- ! mani del capo dei coppieri la sottocop- zo che il Re faceva corani populo, or- j pa d'oro con bicchiere e due caraffe di dinariamente nella grande anticamera | cristallo piene d'acqua e di vino; torna della Regina e con essa. i preceduto dal Capo e seguito dall'aiu- La tavola era collocata nel centro, : tante di bicchiere. Giunti tutti e tre al- per esser ben veduta. Terminati tutti i la tavola reale, fanno profonda riveren- preparativi, f annunciatore andava fi- za a Sua Maestà. Il Capo si trae da par- rio alla Sala delle Guardie del Corpo e ; te e il Gentiluomo Servente, versa dal- a gran voce gridava, battendo tre colpi: le caraffe un po' di vino e d'acqua in — Signori, al Coperto del Re! È il primo segnale. L'orchestra della Camera prende posto in una'tribuna e suona la prima gavotte. Intanto il Gen- tiluòmo Servente, taglia, le fette di pa- nna piccola tazza d'argento dorato, chiamata essai (saggio) che è tenuta dal Capo degli addetti al Bicchiere; que- sti ne riversa metà in un'altra simile che gli vien presentata dal suo aiutan- te e beve (il che si chiama fare il sag- gio) e il Gentiluomo Servente fa la ri- verenza a Sua Maestà, gli scuopre il bicchiere e gli presenta in pari tempo la sottocoppa in cui stanno le caraffe. Il Re si serve da sé il vino o l'acqua. Finalmente può bere! Finalmente be- ve!... ». Ma qui non bisogna prendere le co- se troppo sul serio. Prima di tutto perchè in quel tempo di infinita mollezza, il Cerimoniale e la Etichetta costituivano l'anima, la vita stessa di una nazione; poi perchè il R«, scrupoloso e puntuale, non solo non de- rogava mai dall'uso stabilito dai suoi antenati, ina a questo « Gran Coperto » non ammetteva nessuna ostentazione e soprattutto nessun infingimento; ed in- fine perchè, terminata la messa in sce- na della etichetta francese, Il Re e la Regina si recavano... a mangiare tran- quillamente nei loro appartamenti. Al- meno così sostiene il Barère. Non c'era che il Re Sole, che, intrepidamente, di- vorasse... due pasti: l 'uno ufficiale e l'al- tro privato. Ma si sa, Luigi XIV, aveva il verme sol i tario- Era questo il tempo in cui tutto — anche il più bizzarro artificio — ap- pariva naturale. E il popolo, il buono e semplice popolo, non aveva nulla da ridire. Era stato per un'ora col suo Re e se ne andava contento. Lo stesso Heroier — nel Quadro di Parigi del 1782 — scrive: « — Al « Gran Coperto » il parigino nota che il Re ha mangiato di buon appetito e che la Regina non ha bevuto che un bicchier d'acqua. Ecco ciò che fornirà — sog- giunge il Meroier — argomento di con- versazione per quindici giorni in tutta Parigi... » E lo scettico e beffardo Talleyrand — che nella sua lunga vita fortunosa
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