LA CUCINA ITALIANA 1932

' tnostri mobj/f portano questa marca |¡4 — Va bene! Va bene! Domani! E venne il domani. — Ammazzato il capretto? Come era ostinato Papà Giovanni! — Domani! Domani! Ma anche al domani, Caprin era vi- spo quanto mai. Papà Giovanni cominciò a gridare: — Come va questa faccenda? Anco- cora il capretto vivo? Avevo ordinato di ammazzarlo! Quando si vuol aspet- tare? Quando saremo alla vigilia e non avremo più tempo?... La signora Matilde bruciò le ultime cartucce. Arditamente propose di ac- quistare dell'altro capretto e lasciare che caprin corresse libero pei campi. — Via, doveva averla capita anche lui, — a quella bestiola si erano affeziona- ti tutti alla cascina! Pei nipotini era un trastullo, rana compagnia... E poi?... Era così buono... così tenero... così at- fettuoso...! Perchè ucciderlo? Tutto fu vano. Papà Giovanni non volle sentire ragioni. — Mantenere un altro animale? Sì, con le annate così scarse ! E poi ! Per- chè si erano cercati dei sotterfugi per tenerlo in vita questo caro Caprin? 0- ramai c'entrava anche il puntiglio. 1 nipotini si sarebbero divertiti con le bambole e coi pupazzi. Niente! Caprin doveva morire ! - — Lorenzo, presto... va in dispensa e scanna quel capretto! Lorenzo, il figlio maggiore, fu pron- to a parare la botta. — Non posso, papà... Ho già attac- cato il biroccio e devo trovarmi in pae- se con un mediatore... Ho un appun- tamento. — Allora tu, Bernardo... Bernardo fu più sincero : — Papà... prendi chi vuoi, ma non dare a me un incarico simile... — Come, ti rifiuti? — Cosa vuoi? Ho preso ad amarla quella bestia... sarà una grulleria... ma tanto è più forte di me... Povero Caprin!... No! no... io no! Papà Giovanni cominciava a sbuf- fare. — Dov'è il camparo? E il camparo comparve. — Presto!... Prendi Caprin: va in in dispensa a scuoiarlo! Il camparo prese Caprin fra le brac- cia, andò in dispensa e vi si chiuse dentro. Tutti quelli di casa intanto si erano rifugiati nello loro stanze. A far che? Io non saprei; solo posso dirvi che più tardi, qiuando uscirono, molti avevano gli occhi gonfi. Passò un'ora. Papà Giovanni era solo, nel suo stu- diolo; intento a far conti. A un tratto la porta si aperse. — E' permesso? N o n a c q u i s t a t e u n c a p o n e s e n o n s a p e t e ^ c o m ' è c o m p o s t © Signora! La vostra pelle è delica- ta. Voi dovete ricordarlo quando acquistate un sapone. Questo deve essere assolutamente puro. Oltre 23 . 700 specialisti raccomandano di adoperare sempre un sapone a base di oli puramente vegetali. Informatevi dunque della compo- sizione del sapone che acquistate. Il Palmolive non fa mistero della sua composizione: fabbricato con oli d'oliva, di palma e di cocco, non contiene materie coloranti. È il segreto della sua rinomanza. Il sapone Palmolive è sem- pre Venduto sotto involucro. Esigetelo con la fascia nera ed il nome in lettere dorate. 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Hai fatto quello che t'ho ordinato? — Ah signor padrone!... — Che c'è? — Ah signor padrone!... — Avanti... — Ah signor padrone!... — In malora! sei non ti spieghi!... — Quando devo dirla schietta... io non ho avuto il coraggio!... Anche tu?! Ma v'ha stregati tutti quel maledetto? — Ah signor padrone!... — Va al diavolo anche tu col tuo signor padrone! — Se provasse! Non si può..., fa cer- ti occhi!... — Sapete che v'ho a dire? Che sie- te tutti quanti delle femminette, dei conigli, dei buoni a nulla!... — Creda... non si può... se provas- se... — Sicuro che proverò. E vi farò an- che vedere che un uomo non deve a- ver tante malinconie per la testa! E détte queste parole, Papà Giovanni uscì infuriato. Caprin, al solito, giocava nel cortile. — Ah sei qui, lazzarone furfante? Andiamo... vieni!... To'... Caprin... Ca- prin... E Caprin, ubbidiente e rispettoso, saltellando, col mlusetto in alto dime- nando il codino, seguì il padrone nel- la dispensa. IMPER I A - ONEGL IA 0 CIQRNO pote ¿e d'/ere sub/io con ¿JOO et/ resto tri A.NOVAK ESI t F. cu MILANO-Via Torino. 52 GENOVA - Salita S.f1atteo.29R NAPOLi-Via dei Mille, tó Spedizione ovunque Così, per la seconda volta, in casa di Giovanni Moltacorda, fittabile alla cascina Benpensata, al pranzo di Pa- squa, la famiglia rimase... senza arro- GRAIIS: Cata/ogo it/ustr. OTTOMAKE e POLTRONE Papà Giovanni aveva fretta. — Nel- la dispensa era solo. — Molto meglio! Non vi sarebbero state tante smorfie- tanti sdilinquimenti di donna! Oh per Diana, avrebbe fatto veder lui come si eseguiscono certi ordini sen- za tentennare, senza dubitare, a colpo sicuro. Aprì la cassapanca. Ne levò un coltellaccio enorme, lungo ed affilato... — Qua... vieni qua... galantuomo... La vedi la ghigliottina? E così dicendo, Papà Giovanni agi- tava in alto il suo coltello. Caprin alzò il bel musetto roseo e guardò. A dirla schietta, pareva non desse una grande importanza alla co- sa, perchè diede una dondolatola con la zampina destra, annaspando l'aria! — Quanto sei bluffo! Mi fai ridere davvero con quel muso... — Si sedette, poi riprese : — Lo sai che fra poco, là, sarai mor- to? Alla parola « morto », Caprin seni- brò ricordasse il suo giuoco preferito. | Non stette in forze, si lasciò cadere a i BARTOLAZZI, v i k i ^ n I X S S H N 0 1 1 J U k A - V ^ JL*V-* -OL J . i l . CASA DI CURA, CONVALESCENZA E RIPOSO Primo Istituto Clinico italiano specializzato -ber lo studio ed ?1 trattamento dell' Luíüi CauIII K ALBA 1 ^^Jw-PlEMpNTl v j í -vJ u ^ a g o di L o m o ) D Ü L A P E R T O T U T T O L ' A N N O Pag. 6 Che brutta Pasqua! Al contrario degli altri anni, quella sera nella casa patriarcale di Giovanni Moltacorda fit- tabile della cascina Benpensata, il pran- zo di solito così allegro e giocondo, era stato il pranzo del malumore. Sfido io! Quando il vecchio Papà Giovanni trovava a ridire su qualche cosa, la era finità ! Non aveva .riguardi per nessuno, nè per la moglie, nè per i figli, nè per i nipoti, nè per i generi, nè per le nuore Il padrone di casa alla fin fine era lui. Il capo della « sacra famiglia » e- ra lui. Poteva quindi imporre la sua volontà ed anche i suoi malumori... no? Ma che diamine era successo quella sera? Un fatto ben grave. Papà Giovanni borbottava oramai da un'ora: «Domando io! Una Pasqua senza l'arrosto di capretto! Con tante donne in casa. Donne che pretendono di saperla lunga. Sì! Bel sapere! Dì lungo, non hanno che la lingua! ». E le donne di servizio che ci stava- no a fare? Tutto d giorno con le mani alla cintola. E la fattora? E il guar- diacaccia? E il camparo? Tutti fannul- loni. Possibile che nessuno della casa avesse pensato a provvedere il ca- pretto? Santo cielo! Lo sapevano pure ch'egli ci teneva alla tradizione! A Natale, risotto, tacchino e panettone di Milano. — Al primo dell'anno, salato e la torta tradizionale con tanto di fava. — Alle Pentecoste gli agnellotti in brodo, e a Pasqua le ova con le olive e l'arrosto di capretto. Non c'era tan- to a ridire. Bisognava rispettarle le vecchie usanze, altrimenti dove si an- dava a finire? Addio famiglia patriar- cale, addio unione, addio forza! — Far delle novità!? Modernizzare? Sì... per andare in rovina. Si doveva fare quel- lo che i vecchi avevano sempre fatto. Tanti pasticcetti, perchè? E il pud- ding e le salsette alla francese? Roba che guastava lo stomaco e toglieva tut- ta la poesia di certe giornate di festa! Uff.... Proprio vero: non c'era più re- ligione, non c'era più sentimento, più niente. E lòm tòm e tòm tòni... il borbottìo di Papà Giovanni continuava come se in cucina avessero messo a bollire del- le castagne. Povera signora Matilde! La moglie, si sa, era quella che più ne soffriva. La poverina, una vecchietta tutta pelle e tutta occhiali, sul naso, era sempre là, seduta vicino al consorte brontolone, rassegnata a sentire ed anche a dar ra- gione. Ma gli altri? Oh! gli altri, quella sera, vista la ma- la parata, erano scomparsi. Ad uno ad uno, alla chetichella, in punta di pie- di, avevano riparato in un'altra sala e là raccolti ridevano, di soppiatto, del vecchio Giovanni e delle sue fisime. Intanto mamma Matilde cercava di calmare le ire del nume. — Andiamo, Giovanni, non prender- tela tanto a male: sì, hai ragione. E' stata una dimenticanza; ti do parola, una cosa simile non accadrà più! — Se capitasse... guai! aveva escla- mato con voce cupa il signor Giovanni. — Per l'anno venturo, ascoltami be- ne, ne do ordine formale sin d'ora: sei mesi avanti acquisteremo un ca- pretto, così per la festa di Pasqua non mancherà l'arrosto. — Ho detto! e basta! E su que i r« ho detto e bas ta !» il vecchio fittabile si era alzato dalla sua poltrona, aveva preso il lume e, bron- tolando ancora fra i denti, si era re- cato a dormire. La sua giornata era finita. L'ordine era stato formale e preciso. Sei mesi avanti Pasqua, il capretti- no era acquistato. L'arrosto era assicu- rato. Quel caprettino era davvero curioso: tutto bianco, con una macchia nera nel- la fronte, precisamente sopra l'occhio destro; un musetto roseo, lungo, affi- lato; la bocca aggraziata; una fila di. dentini che parevano d'avorio; le orec- chie corte ed aguzze; due occhi azzurri come il cielo; le due zampine davanti agili e delicate con movenze gentili da gattina innamorata, infine una piccola coda corta che finiva con un piumino simile ad un batuffolo di bambagia. Quando il caprettino teneva la testa diritta, col musetto in alto, socchiuden- do di tanto in tanto l'occhio destro, assumeva un'aria così scaltra e biri- china che moveva il riso. Quella mac- chia nera a sghimbescio, quello striz- zare dell'occhio, quell'agitarsi del co- dino avevano un certo non so che di comico che piaceva; dall'altra parte lo sguardo era così dolce e melanconico che destava un vero senso di commo- zione. Insomma quel caprettino biso- gnava amarlo ad ogni costo. Alla cascina Benpensata l'arrivo del capretto fu un avvenimento. Non vi parlo dei nipotini di Papà Giovanni! Una festa! Un delirio! Gigetto appena 10 vide, esclamò : — Oh bello, ecco Caprin! Caprin? — Si trovò subito che quel- lo era un bel nome, e là bestiola fu così battezzata. Papà Giovanni, sol- tanto, lanciò un'occhiata diffidente: — E' un po' magro, disse, bisogne- rà ingrassarlo, altrimenti a Pasqua ro- sicchiererao delle ossa! Ingrassarlo?! Figurarsi! Otto giorni dopo l'acquisto, Caprin era diventato 11 padrone della cascina. Tutti i buoni bocconi erano per lui. In casa, sotto i portici, nei cortili, nelle stalle, dappertutto, una voce so- la : — Caprin! Caprin! Caprin! — Tut- ti lo chiamavano, tutti lo volevano. Caprin però non aveva preferenze. Dove c'era un pezzetto di zucchero da gustare, dove lo attendeva una carez- za egli era là, di corsa, saltellante, vi- vace, allegro, gentile. I bambini ne fa- cevano d'ogni colore : giocavano, ride- vano, si rotolavano per terra con lui. Un vero compagno, un amico, un fra- tello. E quante cose aveva già imparato! — Caprin! qua la zampa! E Caprin con un grazioso movimen- to offriva la zampina. — Caprin! al salto! E Caprin faceva la capriola. — Caprin! Ora ti uccido! Ppum! Morto! E Caprin si buttava a terra, disteso, socchiudendo gli occhi. Al mattino chi suonava la sveglia? Era Caprin. Egli entrava in tutte le ca- mere. D'un salto era sul letto, si avvi- cinava al dormiente, lo urtava con la testa, lo toccava con la zampina. Pare- va dicesse: «Su dormiglione! Sveglia- ti! E' tardi, sai? » Nelle giornate pio- vose se ne rimaneva in casa, accovac- ciato ai piedi della padrona. Era una gioia per la signora Matilde tenerselo vicino, accarezzarlo come un altro fi- gliuolo. Chi non amava Caprin? Sei mesi san molti, ma il tempo vola. Pur troppo! L'inverno era finito. Fiorivano le rose. La primavera era splendida. La campagna attorno alla cascina Benpensata rideva tutta sotto un cielo purissimo, accarezzata dalle dolci brezze di marzo. La natura ri tornava alla vita, tutto sembrava av- volto in una folata di gioconda poe- sia. Le persone soltanto pareva non partecipassero a quel risveglio, a quella gioia primaverile. Perchè? Pa- squa si avvicinava. Caprin doveva mo- rire! Doveva morire? Certo. Era il patto. Lo sapevano tutti, dalla vecchia signora Matilde, all'ultimo contadino delia cascina; eppure nessuno di loro voleva parlarne per il primo. Pareva fosse un mistero, una angoscia segre- ta dell'anima di tutta quella buona gente. Caprin? Con quel musetto, con que- gli occhi dolci e languidi, con quella zampina gentile, doveva essere sacrifi- cato, brutalmente sacrificato sull'alta- re della tavola. L'avevano acquistato appositamente. L'avevano nutrito, accarezzato appun- to per averlo più grasso, più saporito. Non era stato un tradimento continuo? Tante cortesie, tanti buoni bocconi, tante moine, perchè? Per rendere più appetitoso il piatto di Pasqua! Come sono vili ed egoisti gli uomini!... Migliori le bestie, le mille volte! Più sincere, più buone. Ah se non ci fosse stato Papà Gio- vanni! si sarebbe potuto modificare..., tiare uno strappo a ciò che s'era con- venuto. Ma con quell'uomo ostinato e terribile, chi poteva aver tanto corag- gio da proporre la salvezza di Caprin? Venne il giorno tremendo. La fami- glia Moltacorda era tutta riunita nel tinello pel solito pasto mattinale. Pa- pà Giovanni ad un tratto uscì a dire: — E così figliuoli? Quando si am- mazza questo capretto? A Pasqua non mancano oramai che dieci giorni! La proposta, sebbene preveduta da tutti con ansia e con terrore, giùnse come inaspettata. Fu un fulmine a ciel sereno. Successe un silenzio. Poi il vecchio riprese: — Oh! parlo con voi! La buona signora Matilde tentò ¡li- na scappatoia. — Eh! c'è tempo! — Non tanto! Ricordatevi che il capretto mi piace infrollito. Bisogna pensarci almeno una settimana avanti. La conversazione era troppo penosa. La signora Matilde volle troncarla:

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