LA CUCINA ITALIANA 1932
v w a i s mi-zs " AA,: .«p»r»i BJ ° LÌ BfIÍA spender meno,, GIORNALE DI GASTRONOMIA PER LE FAMIGLIE E PER I BUONGUSTAI CUC I NA C A S A L I NGA - A L T A CUC I NA . CUC I NA C O N V I V I A LE - CUC I NA FOLCLOR I S TA - CUC I NA P ER S T O M A C HI D E BO LI - CUC I NA A L B E R G H I E RA - A R T E D E L LA T A V O LA - R I C E T T A RI S O C I E T À ' A N O N I MA N O T A R I (Istituto Editoriale Italiano) - M I L A N O - V i a N . 8 — A N N O I V — 15 A g o s t o 1932 O G NI N U M E RO CENT. 50 — A B B O N A M E N TO A N N UO L. 5 — E S T ERO L. 10 • M o n t e N a p o l e o n e , 4 5 - . I N S ER Z I ON I : L. 4 A L M I L L I ME T RO T e l e f o n o N . 7 0 - 3 5 7 ESCE I L QU I ND I CI D I OGN I ME SE Il Medico Poeta e "l'arte di convitare,, Al solo guardare l'unico di lui ritrat- davvero passar la voglia di convitare, to esistente, che si conserva nell'ospeda- nè quella di farsi convitare, che più le di Monza dove per dieci anni, dal conta. 1849, coltivando le muse fra una sutu- Rivelando il suo spirito moderno fin ra e un salasso, fu medico primario, dalle prime pagine, eccolo scagliarsi Giovanni Raiberti richiama un po', con la sua fisionomia da gaudente bonaccio- ne, Rossini, Brillat-Savarin o il cardi- nale di Richelieu, e i buongustai più celebri che se non proprio una rasso- miglianza di lineamenti hanno tutti fra di loro quella dell'espressione: serena, e pacata nel volto tondeggiante, dagli occhi chiari, dal sorriso perenne, dallo sguardo malizioso che sembra sempre lì lì pronto per dar la stura alle bar- zellette. . Per omaggio allo stesso Raiberti che definisce la statistica « un assurdo ma- trimonio del capriccio coH'aritmetica » l io non ne invocherò qui una dimostra- tiva dei buongustai in rapporto al buo- numore; una rassegna a. tal proposito dimostrerebbe • come infallibilmente la giovialità s'è accoppiata sempre all'a- more per la buona cucina, da Rabelais (« Pantagruele e Gargantua ») che fu di umore giovialissimo, al Tassoni, che solo par prepararsi i pasti interrompeva la stesura della « Secchia rapita » ; da Cer- vantes, il « padre » di Don Chisciotte, capace di percorrere decine di miglia a piedi per degustare la specialità di una osteria, al— nostro Trilussa che sui ta- voli imbanditi delle buone trattorie ro- mane, con davanti un piatto di carciofi alla giù di a o di tagliatelle con regaglie, scrive, magari sul rovescio della lista, l edi le argute poesie. Fra gli umoristi, dunque, ai ritrovano i buongustai, pro- va lampante dell'universale asserto del buon sangue e del buon vino! Il quale, si sa, implica buona cucina. L'arte di convitare Olindo Guerrini, sentendosi giunto agli ultimi anni della sua esistenza e lontano dal tempo delle polemiche stec- chettiane, quasi preso da un certo ri- morso per non aver dato gran che di Utile con la sua produzione poetica e letteraria, sanno tutti quali ammenda contro all'usanza — ancóra purtroppo oggi non del tutto scomparsa —, al modo volgarmente adoperato per invi- tare uno a pranzo, pregandolo « di ve- nire il tal giorno a far penitenza, e, con brillante arguzia, contro i falsi spregiudicati che si vedono saltar fuo- ri ovunque, a proposito del numero tre- dici a tavola. Naturalmente, la supersti- zione l 'A. non può proclamarla in via assoluta; ma come più persuasivamen- te reagire con un anfitrione, puta caso, che voglia convertirvi al suo modo di pensare dopo avervi fatto trovar sedu- to primo della seconda dozzina ed ul- timo degli invitati, se non come il Rai- berti propone? •— « Stiamo dunque a vedere che, oltre all'avervi fatto l'ono- re di accettare un pranzo, dovremmo subire una paurosa lezione di filoso- fia! » — Naturalmente, oggi siamo lontani da quella dama citata, dal Raiberti che quando invitava a pranzo, « dall'amico del cuore » pretendeva il sacrificio del- la rinuncia della presenza a tavola ad ogni costo per evitaré l'evitandoTtume- ro; ma ancora oggi non tutti daran tor- to a quel tale che da un pericolo si- mile si -salvò con la fuga accusando ur- genti affari, più terrorizzato, oltre che dal numero, dalla presenza a tavola di un medico e di un prete! (Caposaldo fondamentale per un con- vito è l'allegria : da qui la necessità di saper « c omb i nar e» gli ospiti; di que- sta accortezza, che il Raiberti analizza con acume ed arguzia, quante volte non capita di riscontrare ehe sono state pri- ve le padrone di casa? L'arte di con- vitare, certo, non è facile. Ma appunto perciò, noi • col « dottoraccio di Mon- za » la chiamiamo arte: « Anzi, fra tut- te le arti che si dicono belle, perchè in- tese a soddisfare l'intelligenza e gli af- fetti, questa si dovrebbe chiamare bel- lissima. Conoscendola s'imparerà a non onerari »«u l u u l i t j «« . 1 • » . volle fare: scrisse un libro di cucina, evi tare chicchessia, ad evitare gli m- L'arte di utilizzare gli avanzi, convinto che questo poteva essere il miglior mo- do di rendersi utile alla società. Giovanni Raiberti, forse anch'egli da uno scrupolo, per... « ripagare il pros- simo della sua opera di medico », fu preso allorché « con le prime rape del cinquanta e coi primi ravanelli del cin- quantuno » licenziò alle stampe le due parti della sua opera L'arte di convitare, che opportunamente ritorna ora alla ri- balta nell'elegante edizione dei Libri di- vertenti (Istituto Editoriale Italiano, Mi- lano, L. 5,50), e appare, strano a dirlo, fresca, aggiornata malgrado più d'ot- tant'anni siano passati da che fu scritta. Sembrerebbe che molte cose, per esem- pio, in fatto di galateo della tavola, fos- sero, cori lè esigenze moderne, radical- mente cambiate. Ma non è così. Sia perchè le norme del vivere distin- to appartengono alla categoria dei con- cetti universali ed una sgarberia fon- damentale sarà sempre tale, nei popoli civili, oggi e domani, in ogni latitu- dine e longitudine, sia perchè il li- bro parte da una massima di Brillat- Savarin che, pari a quelle di Salomone, nessun evento, potrà far mai crollare: Convier quelqu'un c'est se charger de son boncheur pendant tout le temp quii est sous notre toit. li tredici a tavola Partendo da questo concetto, è logi- co come il Raiberti non possa cadere in errore. E la felicità egli non la in- tende che in senso lato ; piena, assolu- ta. « Il pranzar bene non basta, — dice — ma bisogna pranzare in buona com- pagnia; perchè ciò produce il piacere morale e raddoppia il piacere fisico, rendendoci capaci di mangiare il dop- pio del solito » . Da questa battuta si vede subito qua- le intonazione ha l'opera : tutt'altro che una sequela di massime schematiche, a- ride! Una conversazione piacevolissima impregnata di buonumore, che non fa 1 G. RAIBERTI — Il viaggio di un ignorante a Parigi (Società Anonima Notari • Milano) L. 5,50 - pag. 10). , ignorante a Parigi. Così, quando a due d'essi campioni è capitato di vivere nel- la stessa epoca, pur se non hanno avu- to vincoli d'amicizia personale, da una reciproca calda simpatia si son sentiti attratti, a tal punto che il medico-poeta, in un brindisi dedicato al Cigno di Pe- saro così s'esprimeva nel gustoso idio- ma meneghino: Quand pensi in tra de mi qui vorrei) vess Se mai .se dass el cas de baraUamm, E che tiri sù 'l cunt de chi gh' è adess De grand in su la terra in tutt i ramm, Quand, disi, in del me coeur foo sta revista, Me ven semper Rossini in cap de lista. « Dimmi come mangi e ti dirò come scrivi », proclamavo tempo fa in un al- tro articolo che voleva dimostrare la ^rispondenza che esiste — ed è innega- bile — fra letteratura e gastronomia. Parafrasando il noto proverbio: sareb- be ora troppo azzardato mutar la pa- rafrasi in « Dimmi come mangi e ti di- rò,,. chi ami »?... FRANGO DE AGAZIO. La massaia moaerna ci, Ualimentazione della nutrice no «? orme da 10 a ore ' ° ie 1 Dtre ™ vecchio dorme poco. La sensibilità ner contri sgradevoli e a volte insopporta, bili, e tant'altre cose si impareranno; alcun© delle quali su queste colonne « Delia » già trattò con molta grazia. Raiberti e Rossini Ho già detto come L'arte di convita- re del Raiberti, abbracciando concetti universali, appaia aggiornata e tale da potersi leggere, oltre che con diletto co- me sarà anche fra dieci secoli, con pro- fitto (mi si perdoni la parola piuttosto materialuccia), come non avviene di al- tri libri del genere che, nella rapida evoluzione degli usi e dei cotetumi, per- dono la loro attualità... prima ancóra di fare la loro comparsa in vetrina. Aggior- nata a tal punto da andar contro corren- te, come suol dirsi, in qualunque parte, al tempo in cui venisse per la prima vol- ta pubblicata, quando s'usavano quei pranzi interminabili che nemmeno a Napoli il giorno di San Gennaro oggi si vedon più. « Perchè mai dodici, quat- tordici pietanze e peggio ancora? Si porta intorno un ventricolo solo, miei cari, e non si può insaccare le vivande nelle cosce e nelle gambe. Perciò quel- la gran sequela di cibi è una superflui- tà assurda come i popolatissimi harem dei principi maomettani, e noi dobbia- mo lasciarla a gloria esclusiva della gentaglia danarosa quando celebra noz- ze e v<upl farsi ammirare dal rozzo pa- rentado. Là tutto è un'armonia; e la sposa grassa e rubizza, con indosso tut- ti i colori dell'iride e mezza bottega d'orefice, incoraggiata assiduamente con la voce e coi gomiti à mangiare rispon- de sghignazzando : « Sono piena che non ne posso ipiù » , e fra le grida as- sordanti scaglia manate piene di con- fetti in volto agli avvinazzati commen- sali », Ma torniamo, per concludere, alla premessa. Se può sembrare, ed essere, soggettiva la somiglianza fisica da me riscontrata fra il Raiberti e gli altri il- lustri buongustai, non ha certo caratte- re personale l'identità « artistica » che nessuno potrà negare appena accosti il Barbiere — poniamo — al Don Chi- sciotte, Pantagruele al Viaggio di un L'alimentazione cibila madre che al- latta è sempre stata oggetto di una in- finità di studii e di preoccupazioni per parte dei medici, delle donne stesse e dei profani, e una quantità di precon- cetti e di errate interpretazioni hanno portato ad innumerevoli errori diete- tici quantitativi e qualitativi. Il problema è invece assai semplice: madre nutrice sana può e deve man- giare durante l'allattamento tutto quel- lo che mangiava prima di diventare madre, può e deve adoperare tutti i condimenti possibili. Essa deve, natu- ralmente, escludere dal suo vitto quegli alimenti che potrebbero recare nocu- mento alla propria salute; vale a dire i cibi male tollerati e che provocano reazioni morbose dell'apparato dige- rente, o reazioni morbose generali, e cibi che diano tossinfezioni. ¡La donna che allatta dovrà ingerire possibilmente ogni giorno una certa quantità di vegetali crudi, evitandoli beninteso — in periodo di epidemia di tifo o quando non si sia sicuri della loro provenienza igienica. Dovrà evitare altresì : latte crudo, car- ni tritate e, insaccate, carni conservate-,' frutti di mare. Riguardo alla quantità dei cibi neces- sari alla donna-nutrice in teoria essa do- vrebbe corrispondere alla dieta normale di equilibrio, più una metà di essa ; pra- ticamente vi si sopperisce con 1 aumento del numero dei pasti quotidiani e con l'aumento del valore nutritivo dei singo- li pasti. La massaia in guanti Massaie, che pur nella caccia alla pol- vere quotidiana, implacabile in casa vostra, ripugnate all'uso dei vecchi cen- ci — pezzi di grembiuli stinti, di ca- micie logore, di sottane smesse — mas- saie a cui piace conservare — pur nel la- voro che insudicia — un senso di pulizia e di bellezza, sappiate che il regno di quegli sbrendoli malinconici è finito. Ecco un guanto pulitore e un c o p r i - scopa che potrete trovare in commer- cio, o fare da voi, se siete ingegnose. Il guanto, nel quale potrete ficcare la mano (mantenendola immune dal- la polvere, è fatto d'una maglia di mor- bido cotone che racchiude lunghi fi- li. Esso può venir umettato di qualche goccia di trementina o di liquido rat- tieni-polvere, e passato sui mobi l i: i peli ricercheranno e si accaparreranno la grigia nemica fin nelle modanature dove si caccia subdola. Meglio ancora: il guanto debitamente insaponato o i- numidito e intriso di fine polvere de- tersiva servirà a lavare perfettamente bagni, lavabo, davanzali e scalini di marmo: se non pure servirà allo scru- poloso autiere per la sua macchina. Il guanto pulitore non ciondola per la casa: con un suo apposito cappio si appende ad un posto fisso, e quando è sudicio lo si dà in bucato, e ne torna pulito e decente. Quanto al copri-scopa, eseguito a ma- glia con lo stesso sistema, è così conge- gnato che si può »rivestire con esso l'ar- matura di legno d'una vecchia scopa a cui l'uso consumò le setole. Allora si raggiungono le altezze dei vetri e del le pareti; e si detergono gli uni, e si liberano delicatamente le altre, da pol- vere e da ragnatele. Sudicio, il copri- scopa si slaccia, si toglie, e segue nel bucato il guanto suo compagno. Guerra dunque alla grigia nemica! e guerra... in guanti bianchi! vosa della donna, la predispone all'in- sonnia. L'insonnia accompagna molte malat- tie; specie malattie di cuore o di reni, disturbi digestivi^ reumatismi. Molte, volte l'insonnia è dovuta ad abuso di cibo, a fatica esagerata, a strapazzj. Spesso le cause più futili si ripercuo- tono sul sonno della persona nervosa. Se l'insonnia è dovuta a disturbi del- la digestione, allora raccomandiamo di mangiar poco alla sera, senza carne, senza cibi pesanti, e, sopratutto, senza caffè e senza tè. Invece del tè si prenda, un'infusione di fiori di ti- glio oppure di fiori d'arancio un'ora dopo il pasto (o, meglio, di camomilla). Quando l'insonnia è abituale, il ba- gno tiepido generale prolungato è il mezzo migliore a cui si possa ricorrere. Gli ammalati si sentono bene nell'acqua tiepida e provano un vero rilassamento che li calma e li invita al sonno. Que- sto bagno dovrà prendersi prima del pasto e durerà 30 minuti. Quando il ba- gno non è possibile, si faccia almeno una docciatura calda lungo la spina dorsale, prima d'andare a letto a mez- zo d'una spugna inzuppata d'acqua molto calda. Insomma bisogna vincere l'insonnia, senza ricorrere ad ipnotici velenosi, il cui uso deve farsi solo die- tro ricetta del medico. Per conservare la linea e la salute COEM MANAGIAV GARIIBALD Contro l'insonnia L'esperienza ha dimostrato che gli animali muoiono più per mancanza di sonno, che per privazione di cibo. Il sonno è necessario perchè la fa- tica di ciascun giorno scompaia e per- chè l'organismo possa riparare alle sue perdite. 1 L'età influisce sul sonno: il bambi- Consigli contro l'obesità o contro l'u- ricemia. — Non bisogna alzarsi trop- po tardi nè troppo tardi andare a let- to. Si cammini due volte al giorno al- l'aria pura. Si faccia ginnastica da ca- mera a finestre aperte, senza corrente. Meglio ancora sarà prendere, avanti la ginnastica o la passeggiata, un bagno tiepido o caldo o una abluzione o una doccia seguita da frizione o da massag- gio. Il massaggio, i bagni di sole, i va- rii generi di sport, purché non esagera- ti, sono utilissimi. Nell'alimentazione bisogna regolarsi in modo da diminuire la quantità di a- cido urico che si forma nell'organismo (specie dai quarant'anni in avanti). Quindi sono da abolirsi le sostanze ricche di nuclea-albumine, donde l'aci- do urico deriva, cioè i vari visceri come rene, fegato, milza, cervello, pancreas, le varie glandole (animelle) le forti quan- tità di carni e specialmente del maiale, tutte le carni conservate, i pesci troppo grassi, i frutti di mare, la cacciagione e i brodi di carne, le salse, i formaggi fermentati e i legumi (ceci, piselli, fa- ve), chè contengono purìne in abbon- danza. Sono consigliabili carni bian- che, pesci magri, latte, qualche uo- vo, pomidoro ben maturo, vegetali fre- schi brodi vegetali. Fare uso moderato di pane, cereali, zucchero e di grassi (specialmente se cotti). Preferire la cot- tura delle carni o bollite o arrosto. Si beva poco caffè e poco thè, vino in quantità moderata e preferibilmente bianco e leggero per la digeribilità; ma se si avesse tendenza all'artrite, pre- feribile il rosso. Idem per le forme ner vose. Una scuola tedesca faer fidanzate La prima scjiola per le fidanzate che si è aperta da poco a Eisenach offre alle giovani l 'occasione di una pre- parazione pratica per la futura casa. Professori titolati insegnano e speri- mentano i diversi lavori dell'andamen- to domestico, la preparazione e la pre- sentazione dei cibi, il servizio della ta- vola, la maniera di ricevere, le cure da prestare ai bambini, e anche il giar- dinaggio e i lavori d'arte applicata. Per esservi ammesse, occorre la prova del fidanzamento. In Italia, la Scuola per diventar mo- glie è finora quella... dei varii Istituti di Bellezza! La ricorrenza è stata così solenne che, dopo oltre due mesi, si parla e si scrive ancora di Lui non soltanto in Ita- lia, ma dappertutto. Non sembrino perciò tardive queste note che riguardano l 'Eroe dal punto di vista di questo periodico: della ta- vola imbandita. Nè sembrino irriveren- ti e in contrasto con le insaziate idea- lità della Sua nobile vita. Garibaldi, uomo in tutto equilibratissimo, non vi- veva — ohibò! — per mangiare, ma mangiava per virere, e, senza essere af- fatto un gourmant, seguiva la massima del Savarin : « Poiché Dio ci ha ordi- nato di mangiare, dobbiamo obbedirlo con appetito e buon gusto... » . A questo punto forse qualcheduno penserà: — Ma voi che ne sapete? A- vete forse vissuto nella intimità del- l 'Eroe? Io no... Magari! Ma ho vissuto quasi sette anni della mia prima giovinezza, di quegli anni che non si dimenticano, in un ambiente di fervore garibaldino, in quotidiana dimestichezza di vita e di lavoro con Anton Giulio Barrili e coi suoi compagni d'armi, che convenivano quasi ogni sera al suo giornale, ancora fervidi di battagliero entusiasmo; pri- mo e più assiduo di ogni altro o Steva, Stefano Canzio, e qualche volta Menot- ti e qualche volta Ricciotti, buoni, sem- plici, cordiali, che genovesemente par- lavano del padre — o papà, — e ne narravano la vita, i gusti e le abitu- dini. Anton Giulio Barrili novelliere in- dimenticato, giornalista insuperato, com- battente valorosissimo, caro a Garibal- di che a lui rivolse almeno due terzi del suo epistolario politico, mi aveva chiamato, appena ventenne, presso di sé, al Caffaro dove conobbi anche Gan- dolin, l'altro mio adorato Maestro... ... Ma casco io forse nelle vanità del- l'autobiografia? Dio me ne scampi! Di- co queste cose di me, solo perchè i let- tori non credano che invento di sana pianta. Quella sera, adunque, Anton Giulio Barrili mi chiamò e mi disse con accen- to insolitamente cupo e addolorato: — Ho deciso che lei vada a Capre- ra... — A Caprera? — Sì. E' morto il Generale... Parta subito, sia diligente e si faccia onore. Lei è il primo giornalista che va a Ca- prera in questa luttuosa contingenza. Caprera ! Giusto in quei giorni avevo letto nel Clelia, uno dei romanzi scritti da Ga- ribaldi (Egli ha tentato e spesso con bel garbo quasi ogni genere letterario) una breve descrizione di come era Ca- prera, quando, nel 1851, il Generale ne acquistò una porzione, coi pochi danari ereditati da un congiunto: « ...Nell'arcipelago italiano, che co- mincia al mezzogiorno della Sicilia e termina a tramontana con la Corsica, trovasi un'isola quasi deserta, uno sco- glio di puro granito. Le sue sorgenti d'acqua dolce sono stupende, benché, in estate, non abbondanti. L'isola non manca di vegetazione selvatica, che non è d'alto fusto, non consentendolo le bu- fere. Ma il guaio dei venti quasi conti- nui e forti vi produce il beneficio del- la salubrità dell'aria. I cespugli, sorti nell'interstizio dei massi, sono tutti aro- matici e àe, ospite su questa terra de- serta, tu accendi il fuoco, senti la fra- granza dei rami bruciati imbalsamare l'aria ». Non fu forse questa fragranza che suggerì all'Eroe la prima idea della cremazione? Ma « l i s o la quasi deserta», lo « s co- glio composto di puro granito » era di- ventato un grande podere ridentissimo quando io vi posi il piede, ventiquattro ore dopo lasciata Genova. Il novello Cincinnato, come dicevamo allora par- lando di Lui, e il Re Galantuomo, ave- vano trasformato il granito in un cam- po d'orzo dalle spighe dorate, o in un prato ombreggiato dai tamarischi e dai cipressi, o in un giardino odoroso di ro- se e di gerani, o in un orto dove cre- scevano i cavoli, i fagiolini, le zucche, le lattughe, i pomidoro, le melanzane, che Egli, quasi fino all'ultimo, aveva coltivato, provvedendoli di concio, con quelle stesse mani che avevano rove- sciato un trono. Vi era anche un largo spazio dedicato agli odori, ossia alle erbe profumate per uso della cucina, so- pratutto al basilico... Quanto basilico! E' stata la visione di quel praticello tut- to basilico che mi ha fatto tornare in mente ora o menestrón, e trenettei co o pesto e le altre profumate vivande, a base saporosamente vegetale, che l 'Eroe preferiva. Tutta cucina genovese: la cu- cina, mai dimenticata, della adoratissi- ma mamma Rosa; la cucina della sua sana adolescenza, quando l'appetito non si faceva chiamare. Anzi... La cucina genovese, ( come in gene- re rispettivamente le varie cucine re- gionali) rispecchia in certo modo il ca- rattere dei liguri. Di prima impressione i- liguri e le lo- ro minestre leggermente condite d'aglio riescono quasi ostici al forastiero. Poi, se ci si abitua al loro sapore, non si tro- va altrove nel mondo nulla di più squi- sito. I liguri, ha detto testé il Duce (e sono mortificato di non ricordare testual- mente le sue efficacissime paròle) sono un adorabile impasto di praticità) e di idealità. Così, dico io, la loro cucina. Mazzini era ligure; le melanzane al forno sono liguri; Garibaldi era ligu- re; la cima piena (a gimmo pinn-a) è li- gure; Goffredo Mameli era ligure; la torta pasqualina è ligure; Anton Giulio Barrili era ligure; o praebogion è li- gure, Edmondo De Amicis era ligure, le lattughe ripiene sono liguri... Ah, le lattughe ripiene, come piace- vano all 'Eroe! Era la minestra del gior- no di Pasqua, ricca di delicati sapori. Egli sedeva al desco, con la famiglia e qualche amico fidato: modèsto desco, modestamente imbandito in una mode- sti sala che, se chiudo gli occhi, rivedo come era allora. Intorno, sulle pareti bianche, girava- no festoni di lauro e di mortella. C'era un bel ritratto di Alessandro Manzoni e uno del Presidente dell'Uraguai, en- trambi con dedica. Le tende alle fine- stre erano rosse a fiorami gialli. Una poltrona articolata con leggio, una spi- netta, una scansia con libri inglesi e con le opere poetiche del Foscolo, un album con le fotografie dei Mille, due fisarmo- niche, un calendario americano che s'era arrestato alla funesta data: 2 giugno 1882... L'Eroe sedeva al desco, mangiava con buona voglia e conversava, narrando talvolta nobili e grandi episodi. Oltre alle lattughe ripiene egli gusta- va assai lo stoccafisso con le fave lesse: stokfisch e baccilli. Glie lo spedivano in regalo da Livorno o da Genova i suoi fidi commilitoni e quando tardavano troppo egli lo.chiedeva. Era il solo re- gaio che accettava, oltre alle berrette di velluto e alle pantofole ricamate d'oro, che gli. spedivano le sue ammiratrici da ogni parte del mondo. Un altro regalo l 'Eroe accettò un gior- no con riconoscenza da Vittorio Ema- nuele. Il Gran Re da tempo si lambiccava il cervello: — Che cosa potrei regalare al gene- rale Garibaldi? Finalmente si decise: — L'accetterà? Non l'accatterà? Pro- viamo! E spedì a Caprera una grande baroà con un carico singolare : terra. Terra ve- getale, pingue, bruna, leggera. Garibal- di ne fu incantato e ringraziò il Re con tanta effusione che questi s'affrettò a concedere molti bis. Ed ecco come lo « scoglio di purd granito » potè trasformarsi ( l 'ho det- to) in un podere modello, dove ogni zolla può vantare una nobiltà senza pari, per essere stata oggetto dell'iu- mile fatica di vanga e di zappa del Duce dei Mille e anche per essere de- rivata all'isola sacra, doppiamente sa- cra, dalla sollecitudine generosa e in- gegnosa del Padre della Patria. MICCO SPADARO,
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