LA CUCINA ITALIANA 1932
IFM € . MEI « A 1< T~'At« L I A N A n Pag. 5 LA TAVOLA DEI BUONGUSTA MANICARETTI-PIATTI PRELIBATI -CUCINA FOLCLORISTA-CUCINA CONVIVÍALE GE L A TI « Molte famiglie appena la stagione riscalda si abbandonano al giuoco inno- cente dei gelati con un risultato il più delle volte assolutamente lacrimevole. Spesso non si arriva a gelare ossia a ren- der duro il composto, e si accusa... il latte condensato, la qualità dello zuc- chero od altro, ma la vera ragione non è li. Prima di tutto bisogna poter usa- re di una macchinetta, badare che il miscuglio di ghiaccio e sale sia nelle giu- ste proporzioni ( cinque parti di ghiac- cio ed una di sale grosso pestato), pre- ferire il ghiaccio naturale a qw.Uo ar- tificiale; tener riparato con panni ba- gnati il miscuglio frigorifero dal- con- tatto dell'aria acciò si disciolga il me- no possibile, badare che le dosi siano esatte. Tutto questo osservato, i risulta- ti sono sicuri ». Così scrive il Cav. Pettini nel Suo ma- gistrale volume « Cucina e Pasticceria ». Non dimentichiamo che VEscoffier nel suo « Guide Culinarie », quantunque francese, è costretto a dare il vanto al- l'Italia in materia di gelati. Egli scrive: « ...I gelati sono la conclusione del « pranzo, e perciò non hanno minor ini- « portanza di tutto ciò che concerne la « cucina. Se ben fatti e ben presentati, « rappresentano anzi l'ideale della più « fine squisitezza. « In nessuna parte del mondo come « in Italia il genio di quest'arte ha dato « tanto sfogo alla fantasia e creato tan- « te delizie in tèma di gelati. « L'Itaiia, culla delle arti in genere, a può essere definita anche cidla del- « l'arte del gelato. « Sopratutto i napoletani hanno una «meritata reputazione per il modo co- « me hanno saputo perfezionare questa « importante branca della scienza ah- a mentare... ». . E dopo tali premesse di due celebri- tà (Funa italiana e l'altra francese) pas- siamo alle ricette. Nelle quali, come sempre, abbiamo cercato d'intonarci alla stagione: D. N. »»i».^.^i^iniMipBSifw ut - G e l a t i d i f r u t t a •vsfe ...DI PESCHE... Dodici pesche molto mature e succo- se, si sbucciano e si passano al setaccio. Alla poltiglia che si ottiene si aggiun- ge zucchero pesto, mezzo litro d acqua fresca; i nòccioli delle pesche pestati, un po' di àcido citrico sciolto: il tutto deve segnare 22 gradi al pesasciroppi. Si colloca allora nella forma. Appena il gelato è fatto, si possono aggiungere due o tre cucchiai di zucchero mon- tato. mé. Poi si mette nella forma di gelato e si fa gelare in mezzo al ghiaccio pesto. ...DI LIMONE... Preparate uno sciroppo sciogliendo in acqua fredda lo zucchero necessario, ag- giungendovi il sugo e la scorza, sottil- mente grattata, di 6 limoni freschi. La- sciate per un'ora in fusione, passate per setaccio nella sorbettiera e lavorate il composto fino a che sia liscio, pastoso e duro. N.B. Tutti i gelati duri si possono, ol- tre che in grossi stampi, modellare in piccole forme per metterle sotto ghiac- cia a indurire. Basta poi immergere gli stampi nell'acqua calda per staccare fa- cilmente il gelato e servirlo subito, su piatti coperti di tovagliolo o su appo- siti piattini. ...DI ARANCE... Si procede, come per il gelato di li- mone mettendo la scorza grattata di quattro arance e di un limone per ogni litro di sciroppo e dopo l'infusione di un'ora si passa per setaccio nella sor- bettiera e si lavora come di regola. N.B. Quando in questo gelato si ag- giunge la scorza di arance ben matu- re, grattata, il gelato prende una colo- razione così naturale, gialliccia, che non abbisogna di aggiunta di colore artifi- ciale. ...DI CREMA COI PISTACCHI... Sbucciate 150 grammi di pistacchi ben verdi. Avrete già cotta una crema alla vaniglia; pestate i pistacchi con qual- che cucchiaio di detta crema, passateli per staccio fino, indi riuniteli alla cre- ma, aggiungendovi verde di spinaci, qua- lora essa fosse sbiadita. Lavoratela in sorbettiera. — AMEDEO P ETTINI - Capo Cuoco di S. M. il Re d'Italia. ...DI ALBICOCCHE... Mezzo chilogrammo di albicocche ma- ture si passano, così come s o n o , al se- taccio; quindici grammi di mandorle amare, sbucciale con previa immersio- ne nell'acqua, si grattuggiano finemen- te; 37.5 grammi di zucchero, il succo di un limone, un po' d'acido citrico sciol- to nell'acqua, un litro di acqua fresca; tuttociò si mette insieme alla polpa del- le albicocche passata al setaccio, in mo- do da avere la »entità di circa 22° Bau- ...AL GINEPRO... Mettete in litri 2 di acqua bollente gr. 500 di bacche di ginepro e lasciate raffreddare in fusione. Passate l'infu- so allo .«taccio e aggiungetevi Kg. 1.500 di zucchero « pile » , sciogliendolo a freddo. Per legare, unite 6 tuorli d'uo- vo, che avrete previamente sbattuti: versate il composto nella sorbettiera e fate gelare. .¿.DI SPUMANTE BIANCO Mettete nella gelatiera mezzo litro di sciroppo e una bottiglia di spumante bianco. Alla fine del congelamento, ag- giungete un bicchiere di sugo di frago- le e una buona quantità di fragole in- tiere. Date ancora, qualche giro e servi- te poi in coppe. ...DI POPONE Passate per staccio la polpa di mezzo popone fresco, di buon gusto e maturo, mettetela in terrina e stemperatela con sciroppo (per ogni litro d'acqua circa 350 grammi di zucchero, sciolto a fred- do). Se misurerete il miscuglio col pesa- sciroppi, badate che non oltrepassi i 22 gradi acciò non sia troppo grasso, nel qual caso si aggiunge un po' d'acqua; spremetevi qualche limone e versatelo nella sorbettiera. Uff DOELC ORIGINOALISSIM Mando una ricetta personale. In origi- ne, mi costò magre figure e baruffe in famiglia. Nella prima ricetta usai per- sino i cetrioli, le zucche, e perchè non dirlo, i peperoni, di quelli forti bene inteso. Nella seconda sostituii: le ca- rote, e i cavoli di Bruxelles. Nella ter- za vi provai mele, pere e pesche e così la cosa poteva andare, ma non piac- que a tutti; allora studiai ancora e provai il presente. Il successo fu pie- no, ma obbliga il manipolatore a gran- de attenzione, perchè lo zucchero in padella si trova a disagio. Tuttavia si facciano coraggio le lettrici della Cu- cina Italiana. RICETTA Prendete quattro piatti piani se per dose di sei persone come è la presente, di più capacità se per maggior numero e via, via in proporzione. Disponeteli uno accanto all'altro da sinistra a de- stra. Avrete a portata di mano quanto segue: Zucchero a velo gr. 200; Cacao fine (Perugina) g. 20; Vanillina una presa gr. 0.01; Fecola di patate gr. 30; Uova n. 5; Noci moscate prese 1 gr. 0.02; Cannella Regina idem; Burro gr. 100; Mostarda di Romagna dolce o Marmel- lata a piacere gr. 50; Mandorle tritate e sbucciate gr. 10; Pinoli mondati n. 25; Torrone finissimo (Talmone) 'gr. 20; Candito a piacere tagliato a dadi sotti- lissimi (io uso l'ananasso) gr. 25; Lat- te un decilitro e mezzo; Miele un cuc- chiaio; Pistacchi n. 15. Numerate i piatti, perchè mi è ac- caduto nelle prove preliminari di sciu- pare parecchio; ottenendo « Barufe in Famegia » Nel primo piatto a sinistra ponete un cucchiaio ricolmo di zucchero a velo, un cucchiaio pure ricolmo di cacao, una presa di vanillina, mezzo cucchiaio di fecola di patate. Nel piatto appresso (n. 2) un cuc- chiaio di zucchero come sopra, un cuc- chiaio di fecola di patate ricolmo, una presa di cannella. Per il terzo attendete e così pel quarto. y ' ri ' Rompete un uovo nel primo piatto e uno nel terzo, ma versatevi però solo il chiaro, il torlo mettetelo nel quarto. Montate la chiara del terzo piatto' e montata che sìa, aggiungete una presi- na leggera di noce moscata che appena si avverta. Ora rompete altro uovo nel secondo piatto, ma versatevi solò il ehia- ro, il torlo mettetelo pure nel quarto piatto curando che non si rompa. Mon- tate la chiara del secondo! piattò e e montata che sia, aggiungetevi uno dei torli che avrete messo nel quarto e incorporatelo bene. Se la chiara del secondo piatto, per la presenza della fe- cola e dello zucchero non montasse, non importa, basta che sia ben sbattuta pri- ma di versarvi il torlo. Rompete un uovo nel primo piatto e mescolate per bene. Ora mettete in una padella, preferibilmente di allu- minio, un pezzo di burro quanto una noce, e fatelo sciogliere a fuoco ro- vente, e sciolto che aia gettateci il com- posto del terzo piatto, e fatene una frittatina sottile che rivoltata e cotta da entrambe le parti, distenderete nel terzo piatto. Rimettete al fuoco la, pa- della con altrettanto burro e ripetete l'operazione col secondo piatto. Poi ripetete l'operazione col composto del primo piatto. Ora prendete la mo- starda, o la marmellata, e cospargete la frittata del piatto n. 1 e rivoltatela sii se stessa in modo da averne un ro- tolo. Poi pestate finemente le mandorle, il torrone, i pinoli, aggiungetevi un cucchiaio da caffè di zucchero a velo, il tutto ponete in un piatto, versateci un torlo del quarto piatto, mescolate bene il composto e distendetelo sulla frittatina del terzo piatto, che arrotole- rete come l'altra. Ora prendete il can- dito e il miele, mescolatelo insieme e coprite la frittata del secondo piatto che arrotolerete come le precedenti. Mettete a bollire al fuoco il latte con circa tre cucchiaiate di zucchero e fa- telo bollire per mezz'ora, quindi po- netelo a raffreddare. Rompete due uo- va ponendo a parte i chiari dai torli, montate i chiari poi aggiungete i torli mescolando. Nel frattempo se il latte non fossi? abbastanza freddo, tagliate tutti i rotoli a fettine di un centimetro circa di spessore, curando che non si rompano, lasciandoli tagliati ognuno nel suo piatto. Prendete uno stampo liscio ungetelo bene con burro liquefatto, e cominciate a ricoprirne il fondo con due rotelline del piatto n. 1 poi con due del n. 2 poi con due del n. 3 e còsi di seguito sopraponendoli in mo- do che vengano ben suddivisi tanto che ogni rotellina di ogni singola frittata sia presente i n ogni parte della forma, per- chè la caratteristica speciale di questo dolce è quella che quasi ogni boccone cambia di sapore se disposte le rotel- line a dovere. Mescolate le due uova colle chiare e col latte, passatele per colino sopra i rotoli nello stampo. Po- nete lo stampo a bagnomaria per un'ora se di questo quantitativo, se è per più, in proporzione. Cotto che sia (il solito stecchino fa da spia) sformatelo, e nel tempo della cottura avrete pronte que ste glasse. Alla base del dolce spalmate un cerchietto di glassa bianca tanto da ricoprire un terzo dell'altezza del dol ce, sopra, un cerchietto di glassa colora- ta in rosso, ed infine una colorata in verde. Coi rossi d'uovo rimasti nel piat- to n. 4 e con gli altri per preparare la glassa, cospargete la sommità del dol- ce avendoli intrisi con zucchero a velo, un cucchiaio a livello, per ogni torlo e nel mezzo metteteci un disco di glassa bianca. Poi servite, se non credete di cospargerlo qua e là di fiori canditi o di altri ornamenti. Si avverte che nel caso di duplicare o triplicare le dosi, bisognai attenenti lai concetto che- le frittate debbono riuscire sottili, quin- di o padella grande, o maggior nu- mero. — L'abbonato VsNCENZo MAIO1,1 - Saludecio (Forlì). TORTA DI MAGRO... O QUASI Sciogliere 50 gr. di lievito di birra (anticamente si usava il lievito da pane, ma ora si rimpiazza benissimo con quel- lo di birra) in una tazzina di latte tie- pido indi unirlo a mezzo chilo di fa- rina. Agitare bene ed impastare con un po' d'olio, sale ed altro latte se occorre. Formarne un pane e lasciar levitare co- perto per circa due ore. Quando la pasta è lievitata stenderla, senza più impastarla, in un tegame di rame ben unto di burro e olio. Mettere sopra allo strato di pasta acciughe sala- te, ben lavate, a pezzi, sei o otto spic- chi d'aglio non sbucciati, olive sott'olio, due cucchiai di capperi, tre pomodori a pezzi. Origano. Caspargere tutto di buon olio piuttosto abbondantemente. Far cuocere al forno. E' squisita servita calda ed è un piat- to di magro se non magrissimo. — L'Ab- bonata G. B ERTOLLO MARIANI - Genova. P R O D O T TO IN ITALIA LIRE 2 A L PEfcZO j P e r c f i è orribile? PercQè la vostra carnagione, se trascurala, perde presto la naturale frescfiezxa. Oltre 20.000 esperti di bellezza raccomandano l'uso continuo del sapone Palmol ive. Massaggiate sul viso fa schiuma del sa- pone Palmolive in mo- do che questa pene- tri nei pori. Risciac- quatevi con acqua tie- pida poi con acqua fredda. Conserverete sempre la morbidez- za della carnagione. £ . 9 , rata «dop, £ e p 'a ^ b r Q « N / o í RfiSjS- Zio* Pes. re. l -vr ' 5 0 0 * 0 0 0 CAPI DI. BESTIAME accu r a t amen te selez ionato ha semp re a disposizione nelle sue praterie la Comp. Liebig. - 3000 al giorno ne v e n g o no abbattuti, e trasformati in estratto con le^più t scrupolose precauzioni igieniche,- Chi può dire altrettanto? •'vfjfflr PURO ESTRATTO DI CARME LIEBIG DELLA COMPAGN IA LJJEjSlfi. N . 6 NANDO E LA CUCINA tate. Vostra Signoria non permet- terebbe certo che mi servissi del- l'ascensore destinato, per esempio, al servizio del pesce per mettervi un pasticcio di fegato d'oca, o di quel- lo dei dolci per mandare alla tavo- la fagiani ai tartufi, nè di servir- mi dei montacarichi refrigeranti per presentare una frittata fiammeg- giante, o di quelli surriscaldati per gelatine di frutta o altre ga- lanterie àlgide. La giustezza delle temperature e l'armonia degli aromi andrebbero a soqquadro. Sono coef- ficienti elementari di una cucina ap- pena dirozzata. — L'installazione ebe consigliate richiederà tempo e denaro. — Ciò riguarda gli ingegneri o gli architetti di Vostra Signoria: io mi limito ad avvertire che in condizio- ni differenti non p oit r e assolvere li mio mandato. — Sta bene; li interpellerò. — Informo inoltre Vostra Signo- ria che bisognerà cambiare tutte le batterie. ' —~ Quali batterie? — In primo luogo 1 focolari; non so comprendere come si possano as- saporare vivande cucinate col gas o con l'elettricità. Sono procedimenti da cucina economica, per gente che ha fretta, che non dà importanza ai doni della Provvidenza, che avvili- sce gli alimenti e ignora le relazioni che intercedono fra il cibo e il fuo- co. È il fuoco che ha rivelato all'uo- mo l'immensa ricchezza dei comme- stibili offerti dalla natura e l'infini- ta varietà dei sapori. Sostituire alla divina fiamma della legna l'accen- sione graveolente di un gas o l'ari- do arroventamelo di un ferro è un sacrilegio. Un pollo arrostito da una cànnula di idrogeno o m un forno elettrico è come un bel viso di don- na sfregiato da un colpo di rasoio. — Voi negate il progresso. — Io parlo di cucina e non di elet- trotecnica; parlo di un'arte, di una scienza che presiede alla nutrizione dell' uomo, provve de alla sua esi- stenza e collabora alla sua sanità fisica, alla sua forza intellettuale, alla sua efficienza morale. In cucina — ' " ' f non ci sono nè progressi nè regres- si. Ci sono splendori e decadenze come avviene per la civiltà di cui la cucina è il fedelissimo specchio. La civiltà di un uomo, vale a dire la squisitezza dei suoi sentimenti, non si misura dalla mole dei suoi gua- dagni o dei suoi poteri, ma dal pre- gio in cui tiene il suo desco fami- gliare, povero o ricco che sia, e la civiltà di un popolo non si de sume dalle reti ferroviarie o dai servizi po- stali, ma dai pasti. Gli Americani, che sono un popolo brutale, mangia- no ignobilmente, e 1 Nyam-Nyam, popolo fra 1 più selvaggi, sono anco- ra all'antropofagia. I regni di Augu- sto, di Alessandro Magno e di Lui- gi XIV giunsero al massimo della potenza e della civiltà; e furono contemporaneamente le epoche d o- ro delia cucina. In casa di Anfitrio- ne, di Mecenate e di Lucullo non c'erano nè fornelli a gas, nè cucine elettriche, ma le loro tavole riful- gono ancora, dopo duemila anni, degli splendori e delle raffinatezze a cui quei sommi seppero elevarle. — Per carità, Nando, non vi ri- scaldate tanto per il sistema dei for- nelli; disponeteli come desiderate. —- Vostra Signoria non avrà da pentirsene; del pari troverà oppor- tuno liberarsi al più presto di tutta l'utensileria metallica; io non pos- so essere il complice di venefìci. — Che intendete dire? — Intendo dire che le pentole, :e casseruole, gli stampi ed ogni altro recipiente in ferro smaltato, in ni- chelio, in zinco e in alluminio seno un'insidia permanente tesa all'ap- parato gustativo e digestivo di Vo- stra Signoria, della sua famiglia c dei suoi ospiti. Io sono per l'umile argilla incontaminata ed incontami- nabile: per la semplice e buona ter- ràglia che mantiene le idonee cale- rie e custodisce devotamente ì ra- pori e i profumi concessi dalla Or.r potenza suprema alle sostanze ce- stinate alla vita dell'uomo. L'ara - la è una Vestale ; forse l'ultima dell ; Vestali; mai potrei sacrificarla al;a irreligiosità ed alla grettezza di que- sto secolo di metallo al cromo. — Sta bene; vada per la vesta. argilla. • ' '! !# • — Grazie. Può Vostra Signoria (Segue a pag. G,
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