LA CUCINA ITALIANA 1932
N. 1 - 15 Novembre 1932 LA CUCINA ITALIANA Pag. 7 A CUCINA SAGGIO DI ECONOMIA A ROMANZO T O NOT A R I pollaiate nelle sale da pranzo so- no una cafonata. — Inoltre ha preteso e pre- tende che ogni portata abbia il pezzo musicale adatto. Bocche- rini e Lulli per le entrées di pe- sce; Cimarosa, Paisiello ed altri settecentisti per i servizi leggeri verdura; adagi di Beethoven, ca- vatine di Rossini o arie di Belli- ni per gli arrosti; musica briosa alle frutta. Mai Wagner che, se- condo lui, fa. andare tutto di tra- verso; niente Chopin perchè è un lugubre; quanto ai moderni cere- brali, da Strawinski a Debussy, tutti al bando per evitare emicra- nie, sbadigli, crampi. — E' un bell'originale. — Ci vuole la mia pazienza; non pretendeva che al pranzo di- plomatico dell'altra sera ci fosse- ro oltre i musici anche le dan- zatrici ? — Così si faceva nei festini romani dell'epoca cesarea. — Un « pasticcio di beccacce e un paio di belle gambe — dice Nando — fanno più politica este- ra di dieci Cancellerie ». — Secondo i tempi. — Hai visto l'ultima impun-j tatura? — Qu a l e? — La saletta per la dispensa di sigari, sigarette, fra il bar, la sala da gioco e i salotti di conver- sazione; insomma, la tabaccheria. — E' sua l'idea? — Sua, sua. — E' una trovata; la credevo di tua invenzione; tutti ne ammi- ravano lo stile modernissimo e, soprattutto, la praticità. — Dodicimila lire per la do- tazione di sigari e sigarette di ogni qualità. Ho dovuto mettere una servente per frenare gli ap- provvigionamenti dei convitati. — E' un'insolenza sotto for- ma di premura. — Un' insolenza? Vuoi tu svali- — Un grande Mecenate della tavola deve essere pronto a tutto. — Infatti ieri ho ricevuto da Nando il conto del suo primo me- se di gestione. — Ebbene? — Sai a che cifra ammonta, e- sclusi i vini, i liquori, i tabacchi; la musica, ecc. ? — Sentiamo. — Ventisettemila lire. — E' un po' forte. — Meno male che mi dai ra- gione. — Hai chiesto spiegazioni a Nando ? — L'ho chiamato e gli ho det- to : « Ho ricevuto il vostro conto, Nando; sono quasi mille lire al giorno per i pasti di una famiglia di quattro persone ». — E lui ? — « Mi aspettavo questa os- servazione — mi ha risposto — Ha il signore tenuto presente gli invitati? Nel mese ci sono stati due pranzi, un ricevimento rin- forzato e tre colazioni; sessanta persone in più ». — « Ne ho te- nuto conto » — « E il personale di servizio? Sono diciannove boc- che tutti i giorni da aggiungere alle quattro rispettabili della sua famiglia ». — « Le ho calcola- te ». — « I suoi ospiti arrivavano in automobile; gli autisti e i ser- vitori degli ospiti sono forchette robuste ». — « Lo ammetto ». — « In fine, signore, convengo che ventisettemila lire -in un mese so- no una cifra contundente e che in parte costituiscono un furto bello e buono ». — Nando ha detto questo? — Il furto, secondo lui, è dei fornitori. — Perchè non li cambia? — Gliel'ho consigliato. — « Ci sono due specie di furti — mi ha soggiunto — dei quali ogni vero signore deve fingere di non accorgersi: il furto dei fornitori e il furto dei servi; il primo rap- presenta un sovrappiù di premu- re, di selezione di prodotti e di prontezza di esecuzione, che il fornitore assicura al cliente in proporzione del rialzo nei prezzi che il vero signore non discute; il secondo è il corrispettivo di una sollecitudine, di una deferenza, quasi direi, di un affetto che il servitore accorda in più dei suoi obblighi a chi lo tratta con mag- giore signorilità ». — Nando è un bel tipo! — La sintesi del suo discorso è stata questa : il vero gran signo- re è colui che si fa derubare con più eleganza. — Ci sarà un limite, spero. — Me l'ha detto: «Non si allarmi vostra signoria; cotesto genere di furti è ineluttabile, ma difficilmente va al di là del tren- ta per cento! ». — Insomma, che cosa dovrei dire a Nando ? — Ora viene il peggio: si è fitto in capo una nuova idea.- Vuo- le nel parco una riserva di caccia; i ke che la caccia gioverebbe al saie ricambio; le leprini fagiani e ogni selvaggina debbono prove- nire dalle proprie riserve e non dal mercato, appunto per evitare abusi su un capitolo dei più co- stosi. — Perchè non glielo dici tu? Il padrone è sempre più autore- vole. — Te l'ho detto: non so resi- stergli; d'altra parte io non vo- glio più sostenere altre spese. -— Fai chiamare Nando. —• Qui in giardino ? — E' meglio. Dove vai? —- Ti lascio solo con lui. — Tu scherzi; devi rimanere. — Sii cauto. Eccolo che viene. E' tanto suscettibile; non vorrei disgustarlo. Capitolo nono 1 piaeer id speneder — Il signore mi ha fatto l'o- nore di chiamarmi? Ossequi, Ec- cellenza. — Buon giorno, Nando; par- lavamo con Svampa del vostro progetto di una riserva di caccia nel parco. E' una idea simpatica; come vi è venuta? — Non so se il signore mrau- torizza a parlare. — Parlate pure liberamente: Sua Eccellenza Mazzacorati è il mio migliore amico.- — La salute del signore, per quanto buona, grazie a Dio, pure mi dà qualche pensiero. — La mia salute? — L'argomento è riservato, lo so. •— Svampa sta benone; me lo confermava or ora egli stesso lo- dandomi la vostra cucina alla quale accredita le sue migliorate condizioni. — Il signore è la bontà fatta persona; anche per questo il mio occhio veglia su di lui. — Ebbene, che dice il vostro occhio? — Dice che il signore non fa moto sufficiente. Ogni giorno set- te od otto ore inchiodato a un tavolino. — Per fortuna, Nando, per fortuna, se non avessi il bridge... — Non posso entrare negli af- fari del signore : so che andando a letto alle tre dopo mezzanotte, alla mattina egli deve riposare fino alle undici; il bagno, la ve- stizione, i giornali, ecc., lo tengo- no chiuso in camera fino all'ora di colazione. Dopo colazione in- comincia ad arrivare sente. — Quando la gente non fa co- lazione con me. — Volevo dirlo: alle tre del pomeriggio si inizia la partita che va sino all'ora del pranzo e dopo pranzo di nuovo il bridge. In- somma, tutto il moto del signore consiste nel cambiare di seggiola e di poltrona. — E' la vita degli uomini di affari. — La quale è piena di acciac- chi e di tribolazioni. Così non va, signore, non va. — Nando non ha torto, mio caro Chiccone. — Che dovrei fare? — Un signore non ha che una maniera decorosa per fare del mo- to: la caccia. — Perchè? C e la scherma, il canottaggio, il golf. — Con tutto il riguardo do- vuto alla obbiezione di vostra ec- cellenza, mi permetto di osserva- re che la scherma, il canottaggio, il golf sono esercizi alla portata di tutti. — Svampa potrebbe fare ogni giorno un'ora di equitazione. — Io a cavallo? Coi miei cen- tosedici chili? — Centoquindici, signore : controllati ieri mattina. — No, no; uomo a cavallo, sepoltura aperta; preferisco il mio parco in un modo molto più sem- plice: una bella passeggiata a — Il signore mi scusi, ma pas- seggiare a piedi per un parco di quattrocento ettari non c'è pro- porzione! Tanto varrebbe posse- dere un giardinucolo di quattro pertiche. Che sugo c'è ad essere un signore per fare quello che è consentito a un qualunque pove- retto? — E' una fissazione, la vostra; a caccia, scusate, non possono an- dare tutti? — Nei campi o nelle tenute altrui, sì; ma in una riserva pro- pria, no. — Bella differenza. -— Grandissima: la caccia di un signore presuppone dovizia di selvaggina, apparato di guarda- caccia e di battitori, mute di cani di razza, sèguiti di dame e di gentiluomini, colazioni improvvi- sate nelle radure con provvigioni fragranti, vini rinfrescati, appeti- to sano: giocondità, eleganza, fi- nezza; l'altra caccia non è che deambulazione, bracconaggio, fa- tica e, mi scusino, sudore. — Già; e le spese dove le met- tete? — Di fronte alla salute del signore non posso e non devo pre- occuparmi di questioni seconda- rie. — Per organizzare una riser- va come voi dite occorreranno al- meno duecentomila lire all'anno. — Non sono competente; si potrebbe interrogare il capo dei guardacaccia del signor Principe Bentivoglio; mi pare che sia li- bero. — Vi ringrazio, Nando: voi mi dovete credere un nababbo. — Non ho l'onore di essere l'amministratore dei beni di vo- stra signoria; ma so che il signore ha a sua disposizione uno dei più grandi piaceri della vita. — Cioè? >— 11 piacere di spendere. — Con prudenza. •— Con signorilità. — Spendere con signorilità si- gnifica, per voi, spendere senza necessità. —- Spendere senza necessità è come donare; donare nel modo più nobile togliendo al donato quel senso di soggezione e di in- feriorità che si chiama gratitu- dine. La signorilità dello spendere sta nell'assenza di qualsiasi calco- lo. Specillare la,cifra richiesta per un servizio o per una merce può essere consentito all'uomo di af- fari, al mercante, all'indigente; non mai al signore sulla cui lar- ghezza, quando anche venisse scambiata per dabbenaggine, tut- ti i contraenti debbono poter fare assegnamento. La larghezza crea la reputazione, il rispetto, la fidu- cia, l'ammirazione, più dell'inge- gno, dell'arte o del potere. Qui sta l'attributo, il piacere della si- gnorilità. Se, talvolta, io desidero di essere ricco è, appunto, per procurarmi un piacere che è sco- nosciuto alla maggior parte di co- loro che lo sono. — Con il vostro metodo, an- dreste presto in rovina. — Può essere; ma saprei go- dermi almeno una frazione della vita, assolvendo in pari tempo un grande dovere. — Lo chiamate un dovere, buttare i denari dalla finestra? — Il primo dovere dell'uomo ricco è quello di spendere; anzi è la sua specifica funzione sociale, il suo viatico, la sua giustificazio- ne, la sua ragione di essere; molti ricchi, purtroppo, si sottraggono a cotesto dovere e sono gli incon- sci fomentatori di tutte le dottri- ne dissolvitrici, dalla democrazia al comunismo, che hanno per ba- se l'odio della ricchezza e condu- cono i popoli alla disperazione. — Mi pare, Nando, che voi farnetichiate un pochino. — Chiedo perdono alle loro signorie della mia troppa confi-* denza; ma il discorso mi ha por- tato ai confini della mia conce- zione sociale. •— Sareste un pensatore? (continua) UMBERTO NOTARI — La bellezza femminile è Strettamente legata alla cucina e alla tavola. Durante la mia car- riera ho avuto l'onore di avere in- torno alle tavo.e da me servite molte belle signore: a comincia- re dalla signora principessa Bàsia Bentivoglio la quale, se non erro, è bellissima. — La conosco; è la più bella donna di Roma. — Ebbene la signora princi- pessa si è sempre degnata di a- scoltarmi, di seguire i miei pre- cetti e di apprezzare i miei lavori gustando e assaporando ogni co- sa con quella discrezione e quella dignità che si addice a una dama del suo rango; è diventata sem- pre più bella. La cucina è il più grande « Istituto di bellezza » che esista sulla terra; e una pen- tola, quella pentola che lei, si- gnorina, disdegna perchè non ne conosce nè il maneggio nè i ser- vigi, può operare sulla leggiadria di un volto femminile' prodigi assai più duraturi di quelli che si ottengono dalle anfore e dai barattoli dei profumieri. In genere, le donne curano la loro bellezza quando sono giova- ni; è molto facile. E' dopo i tren- t'anni, signorina, che una bella donna deve cominciare a fare i conti con me. Una tavola, anche la più mo- desta, possiede molti segreti sco- nosciuti alla maggior parte delle signore e delle signorine che non hanno il tempo di curarla o che protestano di non averlo; fra tanti segreti, ve n'è uno che vo- glio rivelarle: quello di mante- nere belle le donne dai trent'anni in avanti; senza « zampe di gal- lina » agli occipiti; senza anelli sul la go la e senza ba r g i g l i sotto il mento; con braccia ben tornite, spalle di raso, fianchi di buon ta- glio, carnagione, bocca e occhi ri- splendenti come hanno le donne preferite dagli Dei c forse anche dagli uomini. Senonchè le medi- tazioni su codesto segreto non si possono cominciare quando i trenta anni sono compiuti ; biso- gna iniziarsi molto tempo prima; ìe catecumene che entrano a qua- rantanni nel tempio difficilmen- te si salvano dalla dannazione. — Allora, Nando, siamo in- tesi : per mezzogiorno preciso tutto pronto. — Che cosa signorina? — La colazione alle mie a- miche. — Quando? — Ogg i - — Signorina, sono le dieci; le pare possibile preparare una co- lazione di trenta coperti in due ore? — Non è l'uomo dei miracoli ? — Non mi ha detto ancora quello che desidera. — Mi pare che lei avesse pro- posto un pasticcio.-.. — Di maccheroni. — E poi? — Ho in dispensa una galan- tina di pollo; poi, per acconten- tare la signorina, potrei disporre < una porpora di pomidori in insa- lata, una frittura dolce di fiori : di acacia e, per finire, un'aiuola di ananassi irrorata di mara- i schino. ì — Tutto qui? < -— Le pare poco? — Non per me; per le mie ospiti. — Vuole premettere una ci- vetteria di antipasti? — Prosciutto magro. — Ne ho del sontuoso: quel- lo fatto dai contadini del suo si- gnor padre; preparerò delle libel- lule di prosciutto librate su ru- giada, ossia su una salsettina ap- pena appena frizzante. — Non farà male alla pelle? — Le pare? E' la salsa di Pe- nelope. — La salsa di Penelope? — Sì, signorina; Penelope non era solamente una bellissima signora che aspettava al telaio il suo adorato marito; s'intendeva anche un pochetto di cucina e preparava questa salsa che, se- condo la leggenda, pare piacesse molto ad Ulisse, il quale ricam- biava le attenzioni della sua deli- ziosa rnogliettina con molto amo- re e inusitata fedeltà. Capitolo ottavo Defineizion d! e nm stqneor — Prendiamo il caffè in giar- dino? — Volentieri. — Staremo con più libertà. Devo parlarti. — Che aria di mistero! — Caro Mazzacorati, tu devi farmi un piacere. — Dimmi. — Bisogna fare un discorset- to a Nando. — Non sei contento di lui ? — Niente da dire sulla sua cucina. —• La colazione di oggi era una piccola opera d'arte. — Ogni giorno è così; io sto meglio, non ho più pesantezze; mia moglie digerisce bene; Cicì non fa più la scontrosa; persino quello scavezzacollo di Luchino viene a tavola con puntualità; la mia casa all'ora dei pasti è diven- tata un orologio; ma tutto ciò co- sta una enormità. — Ti fa spendere troppo. *— Un subisso. —• Tutti, i cuochi hanno le mani bucate. — Quelle di Nando sono ad- dirittura due breccie di Porta Pia. — Imponi un limite. — Si fa presto a dirlo; con Nando è impossibile. — Perchè? — Se provo a resistergli egli tira fuori tali argomenti che io sono costretto a dargli ragione e le centinaia di migliaia di lire sfumano come neve al sole. — Centinaia di migliaia di lire? — Prima di tutto ha voluto riformare di sana pianta le cucine che ha collocate all'ultimo piano. -— E' più razionile. — Poi ha richiesto tre sale da pranzo: la invernale, la estiva e quella dei conviti. — Che è una reggia : te ne faccio i più vivi complimenti. — Sia pure; contemporanea- mente ho dovuto procedere al- l'impianto delle cantine, con un cantiniere di sua fiducia. — Minghetto. — Centododicimila lire di vini. — Pre l i ba t i s s imi. — In seguito, ha voluto mu- tare tutti i servizi da tavola: to- vaglie, posate, piatti, bicchieri; altre novantaseimila lire. — Le belle cose costano. — Mi ha messo la rivoluzio- ne nella servitù : sette nomini in cucina — i « discepoli », come lui li chiama —; e per la tavola, col pretesto che i camerieri — dice lui — hanno l'aspetto di ne- crofori e che quando si mangia bisogna aver sotto gli occhi belle faccie di salute, forme gradevoli e colori festosi, mi ha messo in- torno otto ragazze ampezzane in costume del loro paese. — Simpatiche; ha ragione. — Già, ma Luchino, capisci, me le pizzica tutte e sua madre si dispera. — Luchino ormai è un gio- vinetto; lascialo vivere. — Chi dice niente? Io mi li- mito a qualche paternale; ma torniamo a Nando: per il pran- zo diplomatico ha voluto lo scal- co. Sulla questione dello scalco ho provato a ribellarmi. Mi ha dato gli otto giorni. — Lui a te? — « Se la gente — mi ha detto — è abituata a vedere pre- sentare in tavole vivande trinciate in modo da sembrare relitti di un disastro ferroviario, io non mi presto. Quando io dò le risorse della mia arte a un trionfo di tac- chini, o a una apologia di por- chetti al latte, intendo che l'ope- ra mia non si profani con un lu- dibrio da macellai. Tutte le carni fini vanno dissezionate e presen- tate a regola d'arte. L'interprete di queste regole è lo scalco che è un dotto di grande pregio, come lo prova l'importanza che la ca- rica possedeva alle corti dei mo- narchi nei tempi in cui si sapeva mangiare con decoro ». — Tutti i torti non ha. — Che vuoi che ti dica? Quando, alla conclusione del di- scorso Nando ha esclamato : « E' tempo, signore, che gli uomini abbiano il senso dell'onore della loro profesione; io mi sentirei di- sonorato se vedessi azzannare una mia pernice come l'azzanne- rebbe un mastino e brancicare una mia sogliola come la branci- cherebbe un gatto ladro! ». — « Sta bene, Nando, sta bene; cal- matevi; — gli ho detto — pren- dete lo scalco ». — Senonchè le concessioni non bastano mai. Ai pranzi di cerimonia egli, ora, pretende la musica. — Il godimento è duplice. — Vada; un po' di frin-frin, quando si mangia, piace anche a me; ma Nando va all'assurdo:' vuole un quartetto d'archi di pri- mo rango. — E' meglio. — Vuole che l'orchestrina sia invisibile; non è delicato, egli so- stiene, che i convitati si sentano guardati da gente estranea men- tre mangiano, nè che i suonatori stiano a guardare la gente che mangia. — Infatti, le orchestrine ap-
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