LA CUCINA ITALIANA 1932
N. 12 - 1S Dicembre 1932-XÍ LA CUCINA ITALIANA m® - amù&ÈXMmsm >— Per forza, eccellenza. In qualunque professione gli uomi- ni possono progredire anche sen- za possedere una testa. Non ha piai incontrato Vostra Eccellenza ministri, generali, magistrati, fi- nanzieri di poco cervello? La professione di cuoco non consen- te consimile lacuna. Quando non c'è testa o nella testa non c'è cer- vello, non si può essere cuochi. Io lo sono e la mia testa pensa a molte cose. — Mi mettete in curiosità: quale sarebbe la vostra concezio- ne sociale? Tutte le crisi dipendono da un difetto di circolazione della ric- chezza; da un lato moltissimi po- veri; pochi ricchi dall'altra. — E' un difetto conosciuto da almeno duemila anni. Perchè non lo si corregge? »— Perchè è incorreggibile. .— E tale rimarrà sin tanto che s 'insegnerà alla gente solo l'arte di lavorare, di guadagnare e di ri- sparmiare. — Che altro vorreste inse- gnare? «-s- A spendere. — Vi pare che occorra un in- segnamento speciale per appren- dere agli uomini l'arte di spen- dere? — Sì, eccellenza; specialmente ricchi. — Non sanno spendere i ric- chi? -— Oggi non più. — Volete che spendano quel- lo che non hanno? Ormai anche ì ricchi sono al verde. — La guerra mondiale, accan- ito a tante rovine, ha creato anche immense fortune. Molti che non avevano un soldo hanno accumu- lato centinaia di milioni. Che ne hanno fatto. Che ne fanno? Pi- docchierie. Alcuni hanno creduto di diventare signori comprando Un titolo nobiliare, altri si sono 'dati le arie di proteggere le arti Collezionando le croste e i rottami degli antiquari internazionali; pppure lanciando una stella di ci- nematografo, o mantenendo una compagnia di guitti per i begli oc- Chi di una attrice, o donando alle biblioteche dello Stato incunabili rari e libri preziosamente miniati C pagati a peso d'oro; altri hanno rilevato dalla aristocrazia impo- verita ville, castelli e palazzi riem- piendo gli aviti cortili di automo- bili gradasse, gli scaloni marmo- rei di servitù in giacchetta e i do- rati saloni della più triviale igno- ranza; i più munificenti hanno creduto di raggiungere il massi mo della signorilità montando scuderie da corsa, o sguinzaglian- do yachts alle gare nautiche di Montecarlo, di Ostenda o di Can- nes. Non uno, eccellenza, non uno è stato capace di conquistarsi una fama, un primato, una si- gnoria in quella suprema mani- festazione della ricchezza altrui stica che si chiama « la tavola ». — Siete severo, Nando, con gli arricchiti. — Il ricco che non onor la tavola non è degno di vivere. — Mi pare che in casa mia la si onori, convenientemente. — Se così non fosse, io non avrei l'onore di essere a! servizio di vostra : signoria la quale, cir- condando la tavola di ogni sua cura e potenziandola con tutti i suoi mezzi, darà la dimostrazio- ne più eloquente di quello che in- tendere si debba per arte e signo- rilità dello spendere; perchè spen- dendo per la tavola non si spende per sè, ma per gli altri e si man- tengono alte e immacolate le tra- dizioni che furono in ogni tempo dei veri signori e dei grandi po- poli: le tradizioni dell'ospitalità. Come riunire intorno alla propria tavola le donne più ornate di bel- lezza, di intelletto o di virtù e gli uomini più eletti nell'arte, ntl- la letteratura, nella politica, nel- la scienza o nel censo, se non of- frendo loro quanto di più squisi- to possa venire presentato al più esigente e al più educato dei sen- si: il senso del gusto ? — Ho capito, ho capito. — L'approvazione di vostra signoria mi consola e mi permet- te di aggiungere che, discorren- do di squisitezze gastronomiche, nulla esiste di più signorilmente fine della selvaggina e nessuna selvaggina è più delicata di quel- la fornita dalle proprie riserve di caccia. — Che ne dici, Mazzacorati ? — Dico che Nando ha ra- gione. Capitolo decimo P e s c e c a n e d i r i t o r n o — Papà, posso salutarti? « Certo, Cicì; buon giorno. — Buon giorno, papà caro, come stai? <— Benissimo. Sei molto affet- tuosa stamattina. Che cosa desi- deri? *— Niente. — Davvero? E vieni a salu- tarmi così presto? •— Sono le undici. — Lo so: ma di solito, per dirmi buon giorno, aspetti l'ora della colazione. -— Sei di cattivo umore? — Tutt'altro! Perchè dovrei essere di cattivo umore? — Così, mi pareva... Davvero sci allegro? — Allegrissimo. — Come sono contenta! Va- do subito a dirlo alla mamma, che era in ansia. — In ansia di che? — Di niente: credeva che stamattina tu fossi di malumore. Anche Luchino mi ha detto : « Vai a vedere papà : chi sa come è arrabbiato ». — Che strambi discorsi stai facendo ! Sto benissimo e di umo- re sereno come sempre. — Oh, papà, quanto mi pia- ci! Tieni: questo è per la mam- ma, questo per Luchino e questi sono per me. — Cicì, sta' ferma : quali gril- li hai stamane? — Chiami grilli i miei baci? Vedi che sei arrabbiato? ! — E dagliela! — Hai letto i giornali di sta- mattina ? — Sì, cara. — Tutti? — Tutti. — E non sei in collera? — Ma è una fissazione! I giornali non mi fanno nè caldo nè freddo. — A me, invece, è venuta la bile; anche la mamma e agitata e Luchino... — Ebbene? — Forse non dovrei dirlo. — Che è successo a Luchino? — E' uscito per andare a rom- pergli la testa. — Non capisco niente. Rom- pere la testa a chi? -— A quello del Silurante. •— E perchè? •— Per l'attacco. — Quale attacco?, -— L'attacco a te, —• A me? -—• Non hai visto?. — No. — Adesso mi spiego perchè non sei arrabbiato. — Dov'è il giornale?. — Eccolo. — E' quello il posto dà te- nere giornali? — Il pigiama è senza tasche. — I giornali si tengono in mano. Dove l'attacco? — Lì, in prima pagina, in- titolato « Pescecani di ritorno ». —- Che roba è questa? -— Non farci caso, papà. — E' una enormità ! Io « pe- scecane » ? •— Non leggere... •— ...« a questo mondo c'è della gente che si direbbe eata apposta per offendere il più ele- mentare buon senso... —• Papà... — ...« ci sia la crisi o non ci sia, questa gente tira dritto con cinismo per la sua strada senza guardare in faccia a nessuno, ga- vazzando e scialacquando, incu- rante di ogni strettezza e soffe- renza altrui... » — Lascia... •— ...« gente volgare che non si perita a questi lumi di luna di organizzare ogni giorno ed o- gni notte in sontuosi palazzi, fe- stini, banchetti e cene spendendo in tripudi scostumati somme e- normi che basterebbero ad assi- curare il pane a centinaia di fa- miglie di onesti lavoratori. « Il protòtipo di cotesti pesce- cani di ritorno è il signor Chic- cone Svampa, sedicente e rubi- condo campione mondiale di bridge. E' un signore eñe va te- nuto d'occhio... ». -— Papà caro, caro; fi voglio più bene di prima. Tutti siamo solidali con te. — Tutti chi? — I domestici.-.. — Hanno letto? — Le mie amiche sono addi- rittura furenti. — Hanno letto anche loro ? — Il telefono da stamani non dà requie. Tutti chiamano: ami- ci, conoscenti, fornitori : tutti vo- gliono sapere. — Che cosa? — Se tu, se noi abbiamo visto l'attacco... — Bontà loro... — Se tu sapessi quanto sono mortificati per te. E' una cagnagliata inde- -— Non voglio veder niente. —• E' una vera dimostrazione di simpatia per te. r— Che è questo? — Una camomilla preparata dalla mamma. »— Porta via quella roba! — Bevi qualche cosa, ti farà bene. Vuoi che ti faccia il mio cocktail? — Non voglio niente. »— Càlmati, papà. — Basta così ! Sono calmis- simo. Vai a vestirti. — Subito, papà: vuoi uscire con me? — Ti ho detto mille volte che non voglio vedere per casa gente nuda. — Olì, papà, chiami « gente » la tua Cicì ? '— Vai a vestirti, ti dico.; •— Sono in pigiama. — Il pigiama non è un ve- stito. — Ho le maniche e i calzoni lunghi... Non una parola di più! Ecco come arrivano gli attacchi dei giornali. Tutti abusano della mia bontà e della mia tolleranza. Tutti fanno a modo loro, tutti comandano. Io devo sempre con- sentire, subire, pagare. Pazienza! Avessi almeno il quieto vivere! Nemmeno questo ! Finanche - Sono già cominciate le vi site. — Quali visite? — Non so; in portineria ci sono ( ottantadue biglietti : vedere? giornali vengono ad immischiar- si dei fatti miei, additandomi al pubblico disprezzo. Farabutti! Io un corruttore di costumi? Io che non guardo in faccia a una don- na da dieci anni. Io che spendo duecentomila lire al mese per of- frir da pranzo a tutta Roma, pas- sare per affamatore del popolo ! E' il colmo ! Si varca ogni limite. Ora basta. In fondo, mi hanno fatto un regalo. Da oggi casa chiusa per tutti e per sempre. La cuccagna è finita... Che è questo chiasso ? — Non ci badare. —- Intendo sapere che Cosa è questo baccano. — E' gente della strada.- — Perchè urlano in siffatto modo sotto le nostre finestre? — Sono strilloni di giornali. •— Che cosa gridano? — Il Silurante. — Sfrontati ! Dà ordine alla portineria di comprare tutte le copie. Finiranno di urlare. — E' la terza volta che com- priamo tutto: ma quelli tornano più numerosi e con più copie di prima. — Telefona alla Questura. •— Già fatto: ho parlato io stessa con il Questore. Non può far niente : lo strillonaggio è per- messo. — E' permesso ? E' permes- so? E' permesso di insultare i ga- lantuomini? E' permesso di dif- famare i cittadini? Senti che in- ferno ! Nemmeno se li sgozzas- sero ! Li senti, Cicì ? — Li sento, papà. -— Non mi tengo più. Ora esco e li prendo a scapaccic -i. No, papà, ti supplico. Lasciami andare. No, ascolta, papà mio; mi ero dimenticata di dirti... Non voglio saper niente. C'è di là il signor Nando, li vuoi che mi ha pregata.,, | — Nando? — Sì, desidera una udienza urgente; aspetta da due ore. — Ah, il « signor Nando » si permette di chiedere udienza ? Viene a proposito ! Lo licenzierò su due piedi. Egli è il primo re- sponsabile di tale scandalo. Ven- ga avanti l'illustre cuoco della malora, che, non contento di far- mi sperperare il mio patrimonio, mi toglie la tranquillità, la rispet- tabilità, la salute. Lui è il vero colpevole, con le sue ubbìe di grandezza, di fasto, di ospitalità. Ecco a che conduce la sua scien- za gastronomica ! Venga avanti, venga avanti questo megaloma- ne. Dovevi dirmelo subito che « il signor Nando » desiderava di parlarmi. Lo ricevo immediata- mente. Egli credeva di aver tro vato in Cliiccone Svampa il re dei minchioni. Sentirà. Avanti, avanti, avanti. —- Papà mio, cerca di calmar- ti; povero signor Nando, che cosa gli farai ? .—• Avrà il fatto suo. Tu riti- rati nella tua camera. Entrate. Ho detto « entrate ». Siete anche sordo? — No, signore. -— Qui, davanti a me. Sono io che devo parlarvi. Dove an- date. -— A vedere alla finestra. — Non c'è niente da vedere alle finestre. — Il signore mi scusi. Infatti, non ce più nessuno: tutto tace. — Che intendete dire? gliore attenzione a quanto desi- dero esporgli. — Mi rincresce di non essere del vostro parere. — Non ho esposto alcun pa- rere, signore, — Intendo dire che non desi dero di ascoltare in nessun modo i vostri discorsi, nè ora, nè mai, — Comprendo, giustifico i condivido pienamente l'indigna zione di vostra signoria. Nei tem- peramenti pletorici un impeto di collera interessa immediatamente il sistema epatico e può dar luo- go, magari, a risentimenti di ci- stifelea. Ho dato un tono di cir- costanza alla colazione di stama- ne. Il signore mi perdoni se, per oggi, ho soppresso le carni, le sal- se e ogni altro stimolante. —- Del vostro paradiso gastro- nomico ne ho abbastanza. Le mie decisioni sono irrevocabili. — Spero che il signore non vorrà scendere sul terreno... — Ma che andate dicendo? Scendere sul terreno? Un duello? Diventate matto? — Il signore preferisce, forse, sporgere querela? — Querela a chi ? A uno scri- bacchino? Per far ridere tutta Roma a mie spese? Si direbbe che abbiate bevuto. — Quale respiro di sollievo! Chi ha tanti amici, come la si- gnoria vostra, finisce per fare nel- le circostanze importanti a modo degli altri, anziché a modo pro- — Non posso trovare da sosti* tuiryi da un giorno all'altro. — Lo credo, signore. — Volete dunque farmi anche uno sgarbo? — Oh! — Mi pare che con tanta pre- cipitazione siate voi ad avere la tremarella. — Io tremare? E di fronte a chi? Di fronte a un demagogo? Con licenza, signore, Nando ride di tutte le demagogie, e di tutti i suoi caporioni. UMBERTO NOTA RI (Continua). — Alludo alla cagnara di quei P r i 0 5 e n c consegue sempre una poveri diavoli di giornalai. sciocchezza. Sono sicuro che le — State zitto!... Gà. Non si decisioni irrevocabili di cui par- sentono più. L'indegno carneva- V i ? 0 1 " ! I ? P f le è finito. — In attesa di conferire con vostra signoria, mi sono permes- so.... — Voi non dovete permetter- vi niente. Avete capito? — Sì, signore; ma il metodo della signorina Cicì di continuare a comprare le copie del giornale raggiungeva l'effetto opposto e la gazzarra cresceva. Così, in attesa di conferire con il signore e si- curo del suo beneplacito, sono in- tervenuto... — Siete intervenuto voi? In che modo, se è lecito? — Ho fatto mettere alcuni ta- voloni nel cortile dell'auto-rimes- sa: una spaghettata, venti polli in padella, venti fiaschi di Fra- scati, pane, formaggio e frutta a volontà. Sono quarantadue. Sono là che mangiano a quattro gana- sce; ne avranno per alcune ore. Il signore si tranquillizzi, la spe- sa è pochissima. Il direttore del Silurante può scrivere quello che vuole, ma Nando conosce la mec- canica umana meglio di lui. Boc- ca piena non strilla. Ma non è per simili quisquilie che ho chiesto di conferire con il sgnore... Capitolo undécimo ^ N a n d o l i a un piano — Ah, voi chiamate quisqui- lie i vituperi contro la mia per- sona e la mia casa? — Dio mi guardi; alludevo al modesto strattagemma per toglie- re di mezzo il fastidio di quegli strilloni. Tornata la quiete spero quindici giorni di tempo che il signore potrà porgere mi-j — Impossibile, signore, no quanto di più sensato c di più opportuno si possa fare. — Potete risparmiare i vostri complimenti. Ho detto che le mie decisioni sono irrevocabili lo ri- peto: ir-re-vo-ca-bi-li. Capito? -— No, signore. — Il vostro licenziamento. — Questa è una decisione pre- sa da me. —- Da voi? •— Sì, signore. — Voi vi licenziate? — Questo è il motivo della udienza richiesta. — Perchè vi licenziate? — Non sono adatto alla sua casa. Lo dico con profondo di- spiacere, ma sen?a possibilità di revoca. I tempi non sono ancora maturi per l'arte mia. L'avvenire darà ragione dei miei principii. — Non ricominciamo con le vostre filastrocche. — Il signore non tema. Gli sono troppo affezionato e devoto, per dargli il più piccolo dispia- cere. Mi duole una cosa sola. — Quale? — La gioia sfrenata con cui il direttore del Silurante accoglie- rà la notizia del mi>o licenzia- mento. Mi par di sentirlo sghi- gnazzare con ì suoi amici e dire: « Avete visto come si fa a mette- re in ginocchio un potente? Due paroline sul giornale ed eccolo pieno di tremarella »... — Quando intendete di lascia- re il mio servizio? — Demani stesso. — Mi concederete almeno Il Travaso delle Idee, nel suo numero del 27 novembre, dedica al nostro giornale questa arguta poesia di « Esopone » (Luciano Folgore). Per la quale, noblesse o- Uige. ringraziamo giornale e au- tore. A proposito di che, ci piace ri- cordare come La Cucina Italiana, fra le ricette di letterati, ne pub- blicasse, tempo fa, anche una (An- tipasto Folgorante)... dello stesso Luciano Folgore. Pure per lui, dunque, 1© «suda- te carte si trasformano, talvolta, in liste di pietanze ». Ed ecco la simpatica poesia del Travaso: La t Cucina Italiana » è uno strumento che a chiamar notarile io non m'attento sebbene sia diretto dai Notari, comunque è uno strumento senza pari perchè vanta, sostiene e raccomanda la virtù, d'ogni italica vivanda. al Lilibeo questo giornale fa fuoco e fiamme, mette pepe e scie per rendere attraente e saporita la tavola imbandita e unendo l'arte alla gastronomia, l'utile al dolce ed alla poesì* gratta gratta ritrova it cacmiere persino nell'artista di mestiere. Voi subito pensate ai soliti pasticci in versi e in prosai t y Ebbene, vi sbagliate, questa volta si tratta di una cosa tutta diversa e molto appetitosa, par cui si vede il vate peregrino cercar lo spunto dentro lo spuntino ed inventar qualche ricetta nuova che intender non la può chi non la prova. Così gli autori di sicura fama danno in fasta alla fame dei lettori pietanze originali in cut la trama è un complesso di gusti e di sapori, dove il protagonista è lo stufato o il fritto scelto o il pollo rosolato che viene amato dalla patatina che in tale caso funge da eroina. Nascono a volte piatti incongruenti che nessuno vuol porre sotto i denti: come ad esempio un lesso di Baccelli, un gelato di Zucca o Cardarelli, uno torta di bava in pasta rolla ed un panettoncino di Cipolla, senza contar la trippa alla Fanzini, gli agnolotti alla Viola, i tortellini al Bodrero, BragagUa e II suo timballo e i polli alla Giannino Omero Gallo. Tra le varie portate a indovinello primeggia il fricandò di Pirandello che più l'assaggt e meno ti riesce a saper se sia carne o se sia pesce, onde finisce per filosofare: a Cosi è se mi pare, ma se mi par non è, quantunque anch'io mangio e non mangio dentro il piatto mio, quindi meglio attaccarsi agli spaghetti checché ne pensi il grande Marinetti », Per fare un piatto veramente nuovo da leccarsi i mustacchi ed i capelli necessario è pigliare un Rosso d'ovo di San Secondo, sbattere i Chiarelli Luigi ed Ugo e quando son montali bene o Benelli sceglier delicati Mazzolotti di rape già lessali in un vinello D'Ambra o di Cantini travasato dai fiaschi di Berrini, metterli dentro un forno teatrale e lasciarveli qualche settimana poi darli in pasto senza preavvisi alla scena italiana che o muor di colpo o supera la crisi. Come vedete l'arte del mangiare si può cambiare nel mangiar dell'arte; anche il lauro diventa alimentare e le sudate carte ond'io chiudendo queste poche stanze si trasformano in liste di pietanze spalanco la cucina letteraria, dove %li artisti senza averne l'aria si mangeranno ancora fra di loro ma al burro, all'olio al cacio f al pomi XSoro. Esopone
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