LA CUCINA ITALIANA 1933

'M-anglar meglio » spend^ LA CUCINA ITALIA GIORNALE DI GASTRONOMIA PER LE FAMIGLIE E PER I BUONGUSTAI CUCINA CASALINGA . ALTA CUCINA . CUCINA CONVIVIALE » CUCINA FOLCLORISTA CUCINA PER STOMACHI DEBOLI • CUCINA ALBERGHIERA . ARTE DELLA TAVOLA . RlCETTAKl N. 1 — ANNO V - 15 GENNAIO 1933 - ANNO XI ESCE IL QUINDICI DI OGNI MESE - TELEFONI: N. 62041, 62042, 62043, 62044, 62045 — KOMA - Palazzo Sciarra . ROMA - TELEFONI: N. 62041, 62042, 62043, 62044, 62045 — N. 1 OGNI NUMEIJO CENT. 50 — ABBONAMENTO ANNUO L. 5,30 . ESTERO L. 10 — INSERZIONI: L. 4 AL MILLIMETRO ANNO V — 15 GENNAIO 1933 - ANNO XI ESCE IL QUINDICI DI OGNI MESE UN' INCHIESTA SUI GRANDI ALBERGHI Via le minute barbare! Come tutti i grandi alberghi del naie è intraducibile. Anche per mondo, anche i nostri sono ancora chi conosca le lingue, una minuta una barriera fra gli stranieri ed il alberghiera è sempre qualcosa di paese. In ogni razione, il grande : indecifrabile. Per me, in un alber- albergo è ancora l'inevitabile prò-' go inglese, o tedesco, o francese, tocollare assorbente Ambasciata di Cosmopoli, sempre la stessa tanto ai Tropici quanto al Polo, gelosa dei vostri contatti con la gente, con le idee, con i costumi, con i pro- dotti del luogo. E' vero che lo stile dei viaggi impone un minimum di universalità, ma questo minimum non dovrebbe max diventare un maximum, ed i grandi albergatori dovrebbero finalmente aderire al paese nel loro precipuo interesse, massime in Italia dove gli stranieri han sempre amato la terra e le sue usanze non meno che i suoi monu- menti. I grandi albergatori italiani dovrebbero finalmente creare una mensa italiana, che sarebbe ad un tempo un'opera patriottica ed un magnifico affare. Non si tratta, co- me qualcuno d'essi potrebbe im- maginare, di conceder qualcosa alla volgarità paesana. Tutt'altro ! Si tratta di creare negli alberghi un vero capolavoro d accogliente ari- stocratica squisitezza, poiché ogni vera aristocrazia è sempre aderen- te alla terra. Un'inchiesta sui grandi alberghi r di Firenze, di Livorno, di Perugia, 'di Roma, di Napoli, di Palermo, dà oggi questi risultati: nella mi- nuta, la mensa paesana (vivande, nivi nomenclatura) non rappresen- ta che un tre per cento, e un cin- que nei casi migliori. Vivande, vi- ni, nomenclatura della grande mensa alberghiera italiana appar- tengono, insomma, ancora per il novantacinque se non per il novan- tasgftg su cento a quel cosmopoli- tismo albergtfri ero che gli stranieri trovano particolarmente insipido in un paese come l'Italia, famoso per la saporita varietà- della mensa non meno che per lo splendore del- l'arte. Ogni giorno, gli stranieri si domandano se valga la pena di se- dere ad una luminosa mensa paler- mitana o romana, per trovarvi un Potage à la Julienne. Tutti sanno come' la grande mensa alberghiera sia volentieri disertata a Roma, a favore di oste- rie che riavvicinino finalmente lo c o l o r V f n ° s t e s s o standard na- ia minuta è sempre qualcosa di russo: un incomprensibile poema di Puschin. Date dunque agli stra- nieri una buona minuta italiana, come un saporito poema italiano. Non abbiate paura: la decifreran- no verso per verso e impareranno tutti i versi a memoria. La nomen- clatura della nostra cucina paesa- na è non meno originale delle pie- tanze. Pizza, ossobuco, saltimboc- ca, strozzapreti: ecco nomi che dicono ben di più che la vostra in- sipida nomenclatura gallica. I napo- litani hanno un piccolo fritto d'una specie di ravioli originalis- sima, che chiamano « calzoncini abbottonati ». Offrite agli stranieri una minu- ta paesana, e darete loro qualcosa d'originale e, insieme, d'indimen- ticabile, come sostanza, prima di tutto (prodotti locali squisiti), co- me cucina (semplicità e immedia- tezza), come nomenclatura (indi- vidualità fantasiosa d'ogni piatto). • • * Se avete un briciolo di fantasia, confrontate per un minuto la mo- notonia della vostra Cosmopoli e la povertà schematica della cucina alberghiera internazionale, tutta idee fisse in un ossessionante odor di salsa, con la cangiante ricchez- za della mensa italiana. In Italia non c'è una cucina unitaria: ci so- no, per lo meno, dieci cucine re- gionali, una più attraente dell'al- tra, scortate da un vero esercito di vini, di liquori, di acque. Nes- sun paese del mondo ha mai dato alla mensa un cosi scintillante te- soro di matèria e di spirito. La no- stra mensa è, com? nei, dipinti Ve- neziani, Un'incomparabile, festa di tutti i sensi, cui l'anima partecipa senza abbassarsi. Cominciate col dare allo stranie- ro il senso di quest'incantevole va- rietà locale. Ai dieci o venti vini dello standard cosmopolita, comin- ciate col contrapporre la stragran- de ricchezza dei vini regionali, poema di cento profumi e di cento co e commensale, ma il grande sti- le è sempre nel finger d'ignorarle quanto più le si tenga presenti: e certi piatti casalinghi della nostra cucina, i veri « fritti » di Roma e di Napoli, o le vere « insalate », presentati nella loro immediata ric- chezza, avrebbero ben più sapore per i palati stranieri. Ecco un'epi- grafe che starebbe bene in testa ad una minuta: Misticanza d'indiviola, d'erba noce e di riccctta, caccialepre e lattughella con due fronde di rughetta: misticanza delicata, saporita, profumata. « Fritto di casa » napolitano, classico, come saresti accolto tu da giudiziosi stranieri, presentato nel- la tua croccante immediatezza, e col metodo « frienno magnanno » ! A mensa, la cafoneria non è mai nel semplice; è proprio nell'ag- ghindato. Un artigiano,, nella sua quasi povertà, vi può offrire una squisita colazione: e una ricchissi- I ma sala d'albergo, con cento came- rieri, può darvi invece la più op- pressiva sensazione di disagio. • • • Via, dunque, una buona volta, le minute barbare: e restituiamo all'Italia e agli ospiti stranieri una mensa italiana integrale, con tova- glie e vetri e maioliche ben paesani, che parlino un buon linguaggio agli occhi, e vini e vivande paesa- nissimi che parlino un linguaggio anche migliore al palato, e musi- che italiane festant; che parlino un linguaggio adorabile allo spirito. Non un'archeologia musicale, ma neppure il solito gÉzz. Gli stranie- ri ne sentono anche troppo a casa loro, e alla mensa italiana preferi- rebbero sentire qualcosa di più ti- picamente italiano: le ottime melo- die nostre d'ogni tempo e d'ogni paese. Vediamo se in qualche grande albergo di qualche regione italia-' na, si riesce finalmente a mettere insieme una minuta di questo ge- nere, semplice, equilibrata, e quin- di scintillante di grazia. Se ci sarà inviata questa desideratissima mi- nuta, da qualunque regione d'Ita- lia venga, noi saremo lieti di pub- blicarla, a titolo d'onore, come un documento della civiltà nazionale. Eugenio Giovannetti straniero alla cucina paesana: ma anche qui si ricade, prima o poi, nel vecchio errore. Appena salito in fortuna, l'oste si crede tenuto a dar decoro alla sua mensa e co- mincia a chiamar ristorante la ta- verna e mette un direttore in falde: e, con le falde .lei direttore, ecco arrivare il grande stile alberghiero e il potage à la Julienne , e gli stra- nieri in men che si dica pigliare il largo verso un'osteria veramente osteria ancora ed odorosa di cuci- na paesana. Ed il nuovo oste alla moda, al veder tanta inaspettata ressa di stranieri, s" ringalluzzisce a sua volta e già, attraverso il gaio fumo dello stambugio, intravede anche lui le falde d'un direttore che s'avvicinano. Grandezza e de- cadenza di Cesare Birotteau ! Rammento, a proposito, un ri- storante romano su terrazza, che avevano inaugurato con molto an- glicizzato sussiego come un Rooj garden restaurant, nel>rÒea d'atti- rarci gli stranieri. Gli stranieri non ci andavano che per certi gnocchi alla romana ch'erano l 'u- nica cosa che quel sopraelevato cuoco sapesse fare: e le signore straniere gli mandavano vere e proprie ambascerie perchè si de- gnasse di comunicar loro quella ricetta ben paesana. Qualcuna di quelle signore mi raccontava ci ; una piccola trattoria italiana di New York aveva attirato con l'os- sobuco una gran folla d'america- ni, e che, arrivata in Italia, ella si stupiva nel non veder inai quel piatto nelle minute degli alberghi. Insomma, questo novantacinque per cento di falde « di pietanze straniere è una solenne buschera- tura pei nostri alberghi che appa- rirebbero cento volte più signorili « più attraenti agli stranieri, se si decidessero ad offrir loro una mi- nuta tipicamente italiana, prepara- ta per g ' io dalla cucina italiana, presentata in buona lingua ita- liana, servita con un garbo italia- no. «Ma gli stranieri non capireb- bero questa minuta ' ». E voi cre- dete che, in media, essi capiscano quella barbara che presentate ora? Come un poema, un piatto origi- zionale delle carni, del pesce, del- le verdure, delle frutta, dei dolci, quale la tradizione alberghiera l'ha fissato, abbiate il coraggio di con- trapporre una scelta più familiare e più larga, che sia veramente una antologia e non un campionario ufficiale. Perchè, per esempio, un grande albergo di Livorno o di Viareggio deve sentirsi diminuito nello scrivere sull- minuta la schietta parola « caciucco » ? O per- chè un grande albergo di Firenze deve rifiutarsi ad ammettere nella sua lista quel «Tortino di carcio- fi » ch'è una gloria delle massaie toscane o i « Cardi trippati alla fio- rentina », altro piatto tanto sem- plice quanto .squisito? 0 perchè un grande albergo d< Palermo non dovrebbe tenere presenti nella mi- nuta, coi loro pittoreschi nomi, le attraentissime specialità siciliane, e dovrebbe negar diritto di cittadi- nanza alle « Intuppatelle » o all'in- dimenticabile « Torrone gelato » di Catania e di Messina? La dol- ciaria siciliana, an capolavoro cui na collaborato la fantasia di più razze e che vale nella mensa quello che le Mille e una notte valgono nella letteratura, attraverso un'in- dustria alberghiera più avveduta avrebbe oggi un mercato mondiale. La sala alberghiera è insomma ancora troppo lontana, in spirito ed in forme, dalla regione che l'ali- menta, Essa considera ancora co- me suprema eleganza l'ignorare la cucina e la terra: e la suprema ele- ganza è invece oggi nel farle sen- tire vicine. I nostri nonni, nel loro idealismo, avrebbero considerato come insopportabili volgarità cer- te piccole confidenze che oggi la cucina si piglia con la sala da pranzo, mandandovi, come onesti ambasciatori, carrelli fumanti e fornelli supplementari. Noi trovia- mo queste confidanze molto umane e ben rassicuranti. Ed anche in questo, lo stile alberghiero, scio- gliendosi dalla sua monotonia com- passata, avrebbe oggi tutto da gua- dagnare con una cucina cordiale, immediata, balzante, come la no- stra. Non dico che non si dehban più mantenere le distanze fra cuo- Conviti e banchetti apostolici ( L e memor ie di un cuoco) Gasterea è la musa del giorno, pali non meno interessanti e me- Ma che cosa sono i banchetti e i . morabili. conviti d'oggidì al confronto di j Ecco come egli ci descrive una quelli d'un tempo?... Roba da ri- « collazione » data in un giardino Eccezionalmente anche questo numero delia CUCINA ITALIANA viene spedito a tutti gli abbonati compresi quelli di cui la quota del nuovo anno in non è àncora pervenuta al'l Amministrazione, pres- so il GIORNALE D'ITALIA - ROMA E' inutile dire che dopo il numero odierno la spedi- zione a tutti coloro che non avranno rimesso l'im- porto dell'abbonamento 133 sarà automaticamente sospesa tìere!... Miserie!... Parodie!... Sono rimasti, soprattutto, famosi, per non dir leggendari addirittura, i conviti dei papi d'ima volta, al cui paragone impallidiscono tutti i menus moderni, come risulta dalle « Memorie del cuoco Bartolomeo Scappi », celebre per esser rimasto per parecchi anni al servizio di pa- pi e cardinali dei secoli scorsi. E' un libro interessante e curio- so, che merita di esser saccheg- giato a vantaggio dei lettori. -3» Sappiamo che Pio n . Piccolo- mini, prima di aver la tiara, fu letterato, buon commendale, gio- viale cortigiano e non cer':o dispre- giatore dei sollazzi della vita. Amò soprattutto i piaceri della tavola, come risulta dalle spese occorren- ti per la sua cucina, le quali supe- rano di gran lunga quelle degli al- tri papi del suo secolo, e si aggi- rano intorno ai duemila ducati al mese. A quanto pare, aveva un de- bole pei capponi; e lunghi- elen- chi se ne trovano infatti, nei registri delle spase, segnati cosi: « Per uno cappone grosso e grasso per Nostro Signore bolognini 36. (Il boiognino valeva quanto il ba- iocco; ogni cappone costava dun- que, a que' tempi, una lira e qua- ranta centesimi all'incirca), Se gli piacevano i capponi « grossi e gras- si », non dispregiava però le pro- vature, i fagiani, le starne, i pic- cioni, le pernici, ! cinghiali, i con- fetti, gli sciroppi, i pasticci ecc. ecc. Tra i formaggi preferiva il parmigiano. Pei vini nessuna pre- ferenza: bianchi, vermigli, roma- neschi: tutti eran buoni, ma ad patto che dovessero essere assag- giati prima da lui. Proprio alla vi- Jiua del giorno, in cui scagliò ful- minante anatèma contro Grego- rio d'Hemburg, precursore, della Riforma, Pio I I « si divertì attorno di Trastevere: « La tavola — lascio a lui la parola — con tre tovaglie, adornata con diversi fiori e fron- de, la bottiglieria con diversi vini dolci e garbi, la credenza ben for- nita di varie sorta di tazze d'oro, d'argento, di maiolica e di ve- tro, e prima che fosse data l'ac- qua odorifera alle mani, fu- posto sotto ciascuna salvietta una ciam- bella grossa, fatta con latte, ova, zuccaro e butirro. Ogni volta che si levò la tovaglia, si mutò salviet- te candide; per i canditi si messe sulla tovaglia sei statue di rilevo in piedi; le prime di zuccaro, le seconde di butirro, le terze di pa- sta reale. E tal collazione fu fat- ta dopo il vespro con varie sortì di strumenti e musiche». La colazione si componeva di due « servizi »: primo servizio: Dia- na e cinque ninfe di zuccaro. Fu- ron servite in tavola: candite di zuccaro asciutte di più sorte e be- neplacito; cerase palombtne; fra- vole svacate con zuccaro sopra; uva fresca conservata; melango- le dolci monde; mostacciuoli na- politani; spolette di marzapane; morsalletti di pasta reale; pìgnoc- cati freschi; ciambelle di monache; capi di latte; butirro passato per la siringa; giuncate in fronde con zuccaro e fiori sopra; bottarghe a fette con sugo di limoncelli; schi- nale; aringhe; tarantello; alici aivonci insalate di sparagi; di capparetti; uva passa e zuccaro; di cedro in fette; di lattughe e fiori di borracina; pasticci di tro- te da sei libbre l'uno; focaccine con butirro; olive di Spagna; o- reocthine sfogliate piene di riso turchesco... Prendiamo fiato, mentre viene portato in tavola il secondo «ser- vizio» fra sei statue di burro, di cui rappresenta « un gran villano in Campidoglio». Ed eccoci al se- II 17 gennaio 1566 fu poi solen- nizzata la seconda incoronazione di Pio V con « quattro servizi di credenza e due di cucina a undici piatti con undici scalchi e undici trincianti, eccettuando il piatto di Sua Sant i tà». Nei «Diario» dello Scappi sono elencate per quella giornata cam- pale 132 qualità diverse di cibi, fra cui 55 sorta di pesci, 540 ostri- che; 1500 fra vongole e telline; 22 astaci; 300 gamberi; 100 pol- pette di storione, da quattro once l'una ; e poi torte di datteri, cestel- li di paglia pieni di uccelletti; i regni di Sua' Santità fatti di pa- sta reale, e le armi dello stesso «ripiene di materie varie». Molte e molte altre cose ci sa- rebbero da aggiungere a quei me- nus sardanapaleschi. Ma temo di nauseare anziché aguzzar l'appeti- to dei lettori, ai quali auguro buon anno e buona digestione! GAETANO MIRANDA un pollastro con molta mostar- condo « menu « Piselli teneri les- La sposa e la tavola l pranzi «.di gran parata» in casa nostri ricami e merletti italiani di cui d'una sposina, sono fuori luogo. Man- cano sempre tante co.etie in una ca- sa appena creata! E l'organizzazione che richiedono certi ricevimenti non può essere ancora perfetta come è ne- cessario sia in t^li occasioni. Occorre dunque contentarsi e invi- tare gli amici più intani, quelli che possono chiudere un occhio, e maga- deve andar gloriosa la nostra Nazione. Tornan di moda vincitrici, gettando all'aria l'anti-estetico e antigienico uso dei tovaglioli all'americana, che sono — fra le altre cose — anche scomo- di. Dunque, bella tovaglia bianca, e to- vaglioli non molto grandi, uguali alla tovaglia. E una sobria guarnizione di fiori wn profumati o di porcellana ai H anche due, su le piccole mancanze pregio. ¡Si mette una sola posata, che che può avere la neo Padrona di casa. Qualche sposina mi ha scritto per sapere come dk,;xnrre a tavola i posti per gli invitati. A me piace molto il sistema classico. La padrona di casa a capo-tavola: alla sua destra la per- sona più. importante, a sinistra quella che, per importanza viene immediata- mente dopo, e così via. Se vi sono uomini e donne, naturalmente devi mettere il cavaliere vicino alla dama. Bisognerebbe invitare sempre persone che se non sono amiche abbiano al- meno un'affinità spirituale o morale di vita, affinchè il pranzo risulti ani- mato da conversazioni liete che impe- discano di osservare se talvolta il ser- vizio ha una piccola pecca o se dalla cucina il riatto tarda ad arrivare 1 prnzi dove le persone non si conoscono e non si affiatano sono mortalmente noiosi e gelidamente pesanti. Tu non haA servitore — giovine sposa — ma hai una camerierina gio- vane e intelligente. Bada che sia ve- stita impeccabilmente di nero, con un civettuolo grembiulino bianco di forma moderna. Grandi polsi e picco- lo colletto di organdi bianco e una leggera cresta di pizzo o di organdi sul oapo, che raccolga e mantenga in ordine i capelli. I guanti di filo bian- co sono anch'essi necessari. Quando tutti ì tuoi invitati saranno giunti e tu avrai servito loro un vermouth o un coek-taii preparato da te, (vuoi la ricetta?' Sì, te la darò) allora la ca- meriera annuncerà che sei servita. E tu aprirai il passo col tuo cavaliere, mentre tuo marito ti seguirà con la signora viù importante, per andare in camera da pranzo. La minestra va distribuita gt!à ver- sata nel piatto apposito, e messo su d'un altro piatto. Man mano che le persone finiscono di mangiare i piatti vanno mutati. Uno ad uno, non pa- recchi alla volta come nelle trattorie. Ora poi, bada che i lunghi pranzi con tante « portate » non usano più e que- sto rende più difficile compilare un « menn » armonico. la tavola? Ecco, tornano di moda le belle tovaglie grandi, candide, guar. nite e arricchite di pizzi graziosi, quel vien mutata di volta a volta. Questo | usa ora anche per i bicchieri. Man mano che si serve il nuovo vino si vuota il bicchiere. Ma a me, personal- mente è una voga che non va. Trovo che non è comoda e vi sono molti con- vitati che preferiscono non cambiar vino. tid ora ecco due ricette: Cock-taii, si chiama questo, Simo- netta's Smilie. E' molto semplice e adatto alle signore. j 0 ti do la dose pei un bicchierino, tu poi fai ìe pro- porzioni. Metti un quanto di Ver- mouth italiano, un quarto di yer- mouth francese t un quatto di gin, po- che goccia di limone, una goccia di absinthe o in ma&wriaa. di questo, di anisetta o di mistrà. Aggiungi anche se vuoi, ma non è necessario, qual- che goccia di cognac. Scuoti a lur"i. Prepara i bicchierini oagnando i'crr- lo con un po' di limone e passandolo lievemente su uno strato di zucchero in polvere, servi freddissimo. Un buon risotto coi piselli, alla ve- neta? Ecco. Metti dei burro in una casseruola, con poca cipolla. Quando è rosolata, versa i piselli con tant'ac- qua che basti a coprirli. Fai cuocere lentissimamente, finché siano raggrin- ziti e abbiano consumato tutta l'ac- qua. Salali, non molto, assaggia per sentire se sono cotti (ci vogliono quasi due ore). Allora prepara una casse- ruola con burrc e cipolla, fai rosolare metti nella casseruola ti riso che avrai pulito con un panno di bucato; ma non lavarlo: il riso non deve essere lavato se vuoi che non diventi come una colla. Versalo nel burro soffritto, e fai rosolare per qualche momento. Aggiungi un bicchiere di vino bianco. Intanto mentre i piselli cuoceranno, avrai preparato del buon brodo di carne. Versane, un ramatolo nel riso j e rimesta sempre, continua ad ag- 1 giungere il brodo poco alla volta fin- ché il riso sia quasi cotto. A questo vunto innnrnora al riso i piselli ri- mesta ancora. Aggiungi parmigiano, un cucchiaino di estratto di carne e un pezzo di burro crudo. S?rvi e vedrai che riceverai dei complimenti. RINA SIMONETTA da' e pepe ». E il giórno della sco- munica «si digerì duo paro de tortole, due capponi e del pro- sciutto». L'indomani, fra le tante altre cose, mangiò «quattro tor grassi ». Paolo II, veneziano, amava in- vece i iegatini di maiale, le sal- siccie, il sanguinaccio e le « cora- telle». Nelle note di cucina si tro- va, infatti, registrato, quasi ad ogni pagina « prò fegato de porco per Nostro Signore». Ai capponi preferiva le quaglie, i tordi e le allodole. Non amava affatto le pro- vatore. Nei giorni di magro, pesce a tutto pasto. In complesso però le sue spese di cucina non supe- ravano mai i cinquecento ducati mensili. Fra tutti i vini predilige- va il « moscadello ». Sisto V, che si crede figlio d'un navicellaio sa- vonese, fu, prima d'esser papa, fra- te francescano, e gran divoratore di carne di vitello, vaccina, castra- to, capretto e galline. Suoi vini preferiti furono il córso, l'Elba, il vino di Fiano a quello di San Se- verino. La spesa mensile si aggi- rava fra gli otto e i novecento du- cati. Nel giorno di Natale del 1482 donò a tutti gli ambasciadori, cioè ai due di Spagna, e a quelli di Mi- lano, Genova, Siena, Venezia e f Re Ferdinando, una vitella per cia- scuno. La mensa di Alessandro VI si distingue da tutte le altre mense papali per una sovrabbondanza di aromi: pepe, zinzero, cannella, zaf- ferano, cornino, noci moscate, ani- ce, uva passa, mostarda, ecc. A pa- pa Alessandro VI, oltre le acciu- ghe, le sardelle, le salsiccie ed ogni sorta di salumi, di cui fu ghiotto, piacquero i vini più prelibati e squisiti, che trovansi elencati nei registri di cucina nell'ordine del : la preferenza: vino di Corsica, di Paola, di San Severino, di Riviera, «Mensavera marzerano » di Ter- racina, di Grimignano, rosso di Marzella, di Tallia, Ciniglia, chia- rello, Greco di Sicilia, del Giglio, Razes ecc. ecc. H giorno della sua morte — il 18 agosto 1503 — le spese di cuci- na ammontarono a ducati 256 e bolognini 13. Nel giorno antece- dente al decesso, Alessandro VI aveva mangiato gamberi, uova, «cucurbite» con molto pepe, pru- gne, confetti e torte dolci avvolte in carta dorata. Il curioso libro di Bartolomeo Scappi, «già cuoco del cardinal Marino Grimanì, del cardinale Pio di Carpi, del cardinal Campeggio, ed indi prefetto dei cuochi apo- stolici sotto Pio V, maestro del- l'arte del cucinare, con la quale si può ammaestrare qualsivoglia cuo- co, scalco, trinciante, o maestro di casa» ci fornisce altri menus pa- si con aceto e pepe; carciofani cot- ti con sale e pepe; tartufole; pal- mette napolitane; pasticci di pere Ricarde ; pere guaste inzucchera- te pere moscarolè; viscide palom- bine; raviggioli fiorentini; cacio panneggiano in fettucce; scafi te- ner con la scorza; caci marzo unì; mandorle fresche spaccate su fo- glie di vite; neve di latte inzuc- cherato con cialdoni; ciambellet- te; marroni cotti alla brace e stu- fati nelle rose serviti con sale, zuc- caro e pepe; composte di rape, ca- rote, citrioli e finocchio marino». Nel centro della mensa, cinque «statue ignude» raffiguranti Ve nere, Elena Troiana, Paride, Giù none e Pallade... Qua e là, disse- minati sulla tovaglia, maz .il di fiori col piè lavorato d'oro e di se- ta, e stecchini profumati con ac- qua di rosa. Come « dessert » furon final- mente serviti: «cedri, limoncelli, cocomero, meloni, pere, persiche, albicocche, cucuzze, noci nostrali e noci moscate candite, fugaccine dì cotognata, scatole d'anaci e di copetta, confetti grossi, semi di melone confetto, folignata confet- ta e confetti di mandorle, pistac- chi e pignoli ». E questa fu — come scrive l'ot- timo Scappi — una merenda di magro. Figuriamoci quelle offerte in giorni di grasso!... Nel pranzo dato in onore di Car- lo V imperatore, quando entrò in Roma, furon serviti non meno di 200 piatti diversi. Lo Scappi era, dei resto, un cuo- co genialissimo, capace di amman- nire, in un pranzo di magro, quin- dici piatti di sole uova accomo- date diversamente; e ccn un solo storione, pescato nel Tevere, com- pi il tour de force di cucinare « se- dici portate diverse ». Alla cucina papale ogni regione ed ogni paese inviava le sue « specialità » più fa- mose: l'India inviava i suoi polli; la Schiavonia i suoi galli; Cornac- chie le sue anguille; Pisa i suoi bi- scotti; la Corsica le sue ostriche; Parma, la Toscana e la Romagna i loro caci più squisiti; Napoli i mostaccioli; Ponte Salaro i suoi gamber;; Tivoli e Monterotondo le loro olive, ecc. Lo Scappi scrive che l'ultimo giorno di ogni mese era abitual- mente dedicato alla solennità del- la gola. E, a quanto pare, le com- medie servivano assai bene ad a- guzzar l'appetito. Infatti, dopo la rappresentazione d'una commedia intitolata: «Gli inganni », fu ser- vita una merenda di 52 (dico cin- quantadue) portate. E, l'ultima, di dicembre, nella tradizionale notte di S. Silvestro, dopo la commedia di Plauto: « Psendo lo ». fu servita una ranetta di 38 portate. IL TPCOLARE DOMESTICO E' fatica degna della maggiore considerazione quella di concedere all'arte della cucina, tutta l'impor- tanza che le si conviene; non per ghiottoneria, ma perchè tra cucina,-; focolare domestico, famiglia, pace e lietezza della famiglia, ricchezza e bontà di prole, esistono rapporti strettissimi, anche se questi rappor- ti non siano tenuti nel debito contò* dagli studiosi di politica e di socia- logia. Gli Dei Penati che sorveglia', vano all'antica famiglia di Roma avevano anche ih custodia quegli alimenti che sono necessari affin- chè la famiglia viva in lietezza t prosperità. In altri termini erano, anche i tutori della cucina, come Dea Vesta era la tutrice del foco* lare. Nell'età presente, il focolare do* mestico, nobile e patetico termine nel quale si comprende anche la cucina, si trova in condizione spe- cialissima. Un mutamento profon- do è arrecato dai cosidetti surrogati delle sostanze alimentari più seni« plici e sane; in secondo luogo ven* gono le manipolazioni in iscatolt della grande industria alimentare; in terzo luogo viene la fretta « l'ansia della vita moderna, che non permette più di attendere alla cuci- na con quella serenità e con quella pazienza che valgono a rendere buone e saporite le più modeste vU. vande. Certamente esiste la superba cu* dna dei grandi alberghi, esiste l'o- pera dei cuochi illustri, ma tutto, questo è. a beneficio dei privilegiati della fortuna. Rimarrebbe a parlare di un altro elemento disgregativo del focolare/ ed è la donna. Questo essere indi-, spensabile come il pane nostro quo- tidiano, va acquistando tanta peri- zia per la penna da scrivere anche versi e novelle e romanzi, quanta ne va perdendo per la cucina ed i fornelli; i quali rimangono di solito affidati alle donne di servizio. Alfredo Fanzini Accademico d'Italia Tute el Gonicazioii relative alla Amministrazione della CUCINA ITALIANA (rinnovazioni di abbonamenti, nuove adesioni dì aboonati, re- clami per disguidi o ritardi po- stali, e ordinazioni di copie o pagamenti da parte dei riven- ditori d'Italia e dell'Estero), debbono essere indirizzate alla AMMINISTRAEZION dle GIORNALE D'ITALIA ROMA - Piazaz Sciar.ra ROMA L'abbonamento alla CUCI- NA ITALIANA, da oggi al 31 dicembre 1933, costa — LIRE 5.30 —

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